La catena delle responsabilità nella diffusione dei dialer

Interlex n.255

di Andrea Monti

Gli archi di numerazione a tariffazione differenziata (899, 709 ecc.) sono uno strumento potenzialmente utile per risolvere l’annoso problema del “come” pagare in sicurezza le transazioni online. Grazie all’addebito in bolletta, infatti, potrebbero essere evitati molti dei problemi reali (identificazione del cliente) e presunti (frodi e altre “apocalissi informatiche”) che affliggono chi vuole fare business tramite la rete.
La realtà, per lo meno quella che finisce in cronaca, racconta tuttavia una storia diversa, fatta – se non di truffe – di comportamenti “disinvolti” in qualche caso al limite del penalmente rilevante.
Assistiamo così, periodicamente, a servizi giornalistici o televisivi che, reinventando la ruota, denunciano questo o quel caso “a effetto” senza però fornire concreti elementi di valutazione delle responsabilità anche giuridiche dei soggetti coinvolti.

Normalmente, infatti, a finire sul banco degli imputati è chi diffonde il dialer. Cioè un fornitore di servizi a (dis)valore aggiunto che con i mezzi più disparati cerca di indurre gli utenti a scaricare e installare il famigerato “programmino” che effettua le costosissime chiamate.
Altrettanto “normalmente”, una volta chiamati a rispondere, compagnie telefoniche e centri servizi (i due livelli che stanno “a monte” del diffusore di dialer) si trincerano dietro argomentazioni, magari formalmente corrette, ma fuorvianti, essenzialmente basate sul concetto “non lo sapevamo, ma ora che ce lo avete detto prenderemo provvedimenti”.

In altri termini, la difesa degli operatori è basata sulla teoricamente corretta inesigibilità (ribadita con una dizione ambigua e pericolosa anche dall’art. 17 del DLgv 70/03) di un controllo preventivo su quanto offerto da terze parti (gli spacciatori di dialer) per il tramite delle infrastrutture di comunicazione.
Ma basta veramente questo a scriminare il comportamento delle telefoniche? Probabilmente no, se andiamo a verificare come queste aziende strutturano l’offerta di connettività.
E’ innanzi tutto da considerare che l’accesso alle numerazioni incriminate avviene secondo il meccanismo dell’opt-out: il servizio viene attivato di default e spetta all’utente che non lo vuole richiedere la disabilitazione (che è pure a pagamento).

A parte il fatto che sarebbe interessante approfondire se questa strategia commerciale sia perseguita nel rispetto della L. 675/96 (l’attivazione di un nuovo servizio implica evidentemente il trattamento di dati personali), sta di fatto che questi numeri hanno subito svariati interventi di chirurgia plastica che ne hanno fortemente confuso i tratti. Fuor di metafora, le connessioni dial-up a tariffa urbana sono passate da numeri “normali” a “numeri unici” con prefisso 702. I servizi a valore aggiunto (anche quelli dei dialer) sono offerti tramite numerazione 709. In bolletta, la fatturazione avviene con dicitura servizi 70x. Cioè senza distinguere il “2” dal “9”. Una confusione, questa, che non è certo segno di trasparenza e rispetto dell’utente.
Probabilmente tutto questo non è abbastanza per fondare una responsabilità in senso tecnico-giuridico, ma è certamente abbastanza per stigmatizzare negativamente un certo modo di intendere il marketing d’offerta dei servizi di TLC.

Per arginare il fenomeno ci sono molti presupposti giuridici, anche senza invocare quelle disgraziate norme contenute negli articoli 14, 15, 16 e 17 del DLgv 70/03 (vedi Occorre una querela per fermare i truffatori di Manlio Cammarata ). E in particolare quelle parti che stabiliscono la responsabilità del fornitore che viene effettivamente a conoscenza della presenza di attività illecite commesse tramite i propri sistemi o le proprie reti.
Si dirà che l’esistenza dei dialer è talmente palese da non poter essere ignorata dal centro servizi, o che il fornitore di hosting non può non sapere che sui propri server, alcuni suoi clienti utilizzano dialer, o ancora che l’utilizzo di un dialer è già di per sé elemento che dovrebbe insospettire carrier e ISP, facendo scattare l’obbligo di denuncia… pardon, di segnalazione, alle autorità competenti.

Elevando così a sistema l’inversione dell’onere della prova e la presunzione di colpevolezza. Secondo un copione che già si era manifestato a proposito della duplicazione abusiva di software e della diffusione di immagini pornografiche prodotte mediante lo sfruttamento dei minori.
Come dire, tutto si tiene.

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