Una delle grandi ossessioni che dominano il mondo del digital marketing è la convinzione che gli “analytics” siano indispensabili per capire “cosa” interessa “chi”, come rendere i contenuti più “engaging” e in che modo “monetizzare” quello che viene pubblicato. Questa ossessione è probabilmente legittima per quei siti ad altissimo traffico, che producono una quantità così enorme di interazioni da fornire indicazioni attendibili non solo sull’efficacia dei contenuti ma anche sul funzionamento complessivo del sito che li veicola. Spesso, anche per via della deficienze della normativa di settore e dell’inerzia delle autorità di controllo, il prezzo che gli utenti pagano è il trasferimento anche indiretto alle grandi piattaforme americane di pezzi della propria esistenza, ma questo è un altro tema. Tuttavia, gli analytics soffrono dello stesso destino che, in generale, affligge le statistiche: essere usati —come i lampioni dell’ubriaco di Mark Twain— più per sostenersi che per illuminare la via. Fuor di metafora questo significa rischiare di finire in un circolo vizioso a causa del quale i contenuti sono determinati dall’audience e non viceversa di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Continue reading “Liberarsi dalla schiavitù degli analytics (di tutti gli analytics)”
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