L’India compie un passo importante verso l’indipendenza tecnologica. Cosa cambia

Nuova Delhi lancia un progetto per costruire, in autonomia, processori basati su standard aperti per liberarsi dai vincoli della tecnologia occidentale. L’analisi di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law, Università di Chieti-Pescara – Inizialmente pubblicato su Formiche.net

Lo scorso 18 novembre 2023 si è tenuta una tappa importante del roadshow relativo al Digital India RISC-V program, (DIR-V) un’iniziativa lanciata dal governo indiano per accelerare la transizione verso l’uso di tecnologie open source e dunque raggiungere l’autonomia e l’indipendenza tecnologica.

Grazie a questo programma, l’India ha iniziato a contribuire allo sviluppo dello standard RISC-V, un’architettura di processori in tecnologia RISC nell’ottica di poterli anche produrre autonomamente. Un passo da non sottovalutare considerato che, come si dirà più avanti, l’India è già capace di produrre in autonomia i semiconduttori.

DIR-V è un progetto estremamente importante in termini strategici. Nel settore del software sono oramai largamente disponibili sistemi operativi e applicazioni di altissimo livello —per la ricerca scientifica, la sicurezza e la gestione delle reti di telecomunicazioni— delle quali è noto ed è possibile modificare liberamente il “codice sorgente” (l’elenco di istruzioni che fanno funzionare un programma informatico).

 

Al contrario la tecnologia per costruire l’hardware necessario a utilizzarli, e in particolare quella dei processori, è sempre stata monopolio di alcuni Paesi che, controllando ricerca, sviluppo e capacità produttiva, mantengono così il proprio primato tecnologico. Sono indicative, in questo senso, le preoccupazioni internazionali suscitate dal caso TSMC, la foundry di semiconduttori che produce la grande maggioranza dei chip necessari alla costruzione di prodotti occidentali e allo sviluppo delle tecnologie AI, e il bando statunitense imposto alla Cina sulle tecnologie per la realizzazione di chip, diventato meno efficace da quando Pechino ha dimostrato di essere in grado di costruire wafer da 7 nanometri sui quali montare i propri processori.

Ed è proprio sui processori che il progetto Digital India apre un nuovo fronte geopolitico.

La libera disponibilità del set di istruzioni di un’architettura RISC, ma, soprattutto, il fatto che questo sia frutto dello sviluppo cooperativo e decentralizzato caratteristico dell’approccio basato sul cosiddetto “software libero”, riducono la forza della leva geopolitica nei confronti dei Paesi meno tecnologicamente sviluppati. Esse consentono agli aderenti a RISC-V di realizzare processori moderni, ad alte prestazioni e, cosa fondamentale in termini di geopolitica tecnologica, immuni alla possibilità che il ricorso alla normativa sulla proprietà intellettuale o l’applicazione di sanzioni commerciali possano bloccare lo sviluppo di un comparto industriale strategico.

Se, però, il tutto si riducesse a una sinergia fra centri di ricerca e foundry pubbliche per costruire semiconduttori, e omologhi in Far-East come Silterra, il progetto Digital India rimarrebbe molto ambizioso ma non sarebbe così rivoluzionario come invece è.

Oltre ai processori, infatti, la dichiarata strategia del governo indiano è quella di costruire un vero e proprio ecosistema attorno all’architettura RISC-V fatto di board, software e componenti, ma soprattutto puntando sul fattore umano, con il coinvolgimento delle università per formare studenti e ricercatori, dando inoltre impulso alla creazione di start-up.

DIR-V, dunque, non è solo e soltanto un progetto limitato all’ambito tecnologico, ma una visione basata sull’impiego di tecnologie “libere” come fulcro sul quale poggiare leve scientifiche, economiche, industriali e, soprattutto, geopolitiche per sollevare, se non il mondo intero, di certo tutta l’India, verso l’indipendenza digitale.

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