Consigli per gli acquisti (on line)

Interlex n.128

di Andrea Monti

Molte persone nutrono forti dubbi sulla validità giuridica di un acquisto online perché – lo si sente ripetere spesso – “non c’è un contratto scritto”. In realtà anche se non c’è un pezzo di carta firmato dalle parti, il rapporto giuridico è quasi sempre correttamente instaurato. Per la legge italiana infatti il contratto scritto (e addirittura in certi casi rogato dal notaio) serve soltanto per alcune categorie di oggetti (case, automobili). In altri termini, la stragrande maggioranza dei beni in commercio può essere negoziata “sulla parola” e dunque anche tramite l’internet. Inoltre, se non cadiamo nell’equivoco del “ciberspazio”, ci rendiamo immediatamente conto che in realtà quello che stiamo facendo null’altro è se non un acquisto a distanza, assolutamente identico a quelli che proponevano un tempo aziende come Vestro e Postalmarket. Solo che il catalogo lo consultiamo da una postazione remota e l’ordine lo effettuiamo tramite una linea telefonica. O se preferite qualcosa di meno antico, potete pensare alle televendite che tracimano quotidianamente da ogni schermo televisivo.

D’altra parte, fateci caso: gran parte delle attività giuridicamente rilevanti che poniamo in essere quotidianamente non hanno praticamente nessun supporto probatorio. Né sarebbe pensabile firmare un contratto ogni volta che si fa benzina, si acquista un capo di abbigliamento, del cibo o si va al cinema. Certo, nulla vieta di farlo, ma se all’e-business (come del resto alle forme tradizionali di attività economica) si dovesse applicare in modo pedante la normativa oggi in vigore, sarebbe praticamente impossibile fare qualunque cosa.

Gli aspetti problematici, possono invece riguardare innanzi tutto la verifica della capacità giuridica delle parti. Un contratto può essere concluso soltanto da un maggiorenne (salve pochissime eccezioni) per cui il venditore dovrebbe in qualche modo organizzarsi per essere certo almeno dell’età anagrafica del contraente (cosa peraltro fattibile usando la carta di credito come sistema di pagamento).

Ma quello che preoccupa maggiormente le persone (clienti e venditori) è la tutela in caso di inadempimento. In altri termini: che faccio se compro qualcosa pagando in anticipo con la carta di credito e poi non ricevo quello che avevo ordinato (o ricevo un prodotto diverso o difettoso)? Oppure: che succede se erogo un servizio e dopo averlo fatto scopro che la carta di credito che mi avevano fornito era rubata o falsa?

Tecnicamente i rimedi sono parecchi. La legge infatti obbliga il venditore a farsi carico degli eventuali vizi della cosa venduta, se questi sono segnalati entro otto giorni dalla consegna. Il recente decreto legislativo 185/99 garantisce poi ai consumatori che acquistano (anche) online una serie di diritti come quello di restituire il bene acquistato senza che il venditore possa rifiutarsi di prenderlo indietro (ovviamente, a condizione che il prodotto non sia danneggiato). Il venditore, dal canto suo, ha sempre la possibilità di sporgere denuncia quantomeno per truffa e ottenere il risarcimento dei danni.

In pratica, tuttavia, queste belle norme rimangono nella stragrande maggioranza dei casi delle semplici affermazioni di principio. Innanzi tutto perché si applicano essenzialmente all’interno dell’Unione Europea e quindi sono inutili nei confronti di soggetti extracomunitari, come gli statunitensi, che detengono l’ottanta percento della rete. In altri termini, questo significa che acquistando al di fuori della UE (cioè la maggior parte delle volte) si perde la “protezione” assicurata da queste norme e ci si dovrà imbarcare in una causa internazionale, magari per poche decine di migliaia di lire.

Il che introduce il secondo elemento che dimostra l’inutilità pratica di queste normative: la gran parte delle transazioni online, per quanto riguarda il business to consumer, è di modesta entità. Anche volendosi limitare alla realtà italiana, chi mai darà vita ad una causa per ottenere la restituzione di centomila lire, dovendo anticiparne molte di più in spese legali e aspettare almeno un paio d’anni per la sentenza di primo grado? Oltre il danno, dunque, si rischia anche la beffa.

Per di più, nel caso di pagamento con carta di credito, non c’è nemmeno la possibilità di bloccare l’operazione prima che venga addebitata, perché il contratto tipo che di fatto si è costretti a firmare con le varie società emittenti (Cartasì, Setefi), è strutturato in modo da “chiamare fuori” questi intermediari da qualsiasi controversia fra cliente e venditore.

Il ruolo della fiducia

A queste considerazioni però fa fronte un dato di fatto: molti – me compreso – acquistano online (specie da merchant esteri) senza problemi di sorta, inviando numeri di carta di credito e informazioni personali (pensate al comodo servizio di profilazione offerto da Amazon) senza imbattersi in problemi o difficoltà.

Come si spiega? Semplice: nella vita quotidiana, di alcune aziende ci si fida completamente, di altre meno, di altre ancora per nulla. Ciascuno di noi sa già, ad esempio, in quale negozio della propria città conviene andare “ad occhi chiusi” e in quale esercizio è opportuno acquistare soltanto sapendo esattamente di cosa si ha bisogno. E se c’è “qualcosa che non quadra” è abbastanza facile accorgersene ed evitare problemi.

Perché utilizzando la rete le cose dovrebbero essere diverse? E infatti non lo sono per niente, anzi, attribuiscono alle persone qualche vantaggio in più. Se rimanete “scottati” da un acquisto online avete la possibilità di farlo sapere a mezzo mondo (ovviamente, senza diffamare nessuno) e di “bruciare” il mercato potenziale per quell’azienda. Potete condividere le esperienze e sapere prima di comprare, cosa conviene fare.

Gli esperti di marketing chiamano questa cosa customer empowerment.il maggior potere del cliente, che – come dice Giancarlo Livraghi … non è una frase fatta ma un fatto concreto. Le imprese che invece di temerlo sanno come interpretarlo, e si impegnano in un miglior servizio ai loro clienti, possono davvero creare una comunità in cui si lavora insieme con reciproco vantaggio. E così arricchirsi contemporaneamente di denaro e di preziosi rapporti di di fiducia e di collaborazione attiva. (http://gandalf.it/offline/off24.htm)

Personalmente condivido questo approccio e sono convinto – per le ragioni che ho esposto e per esperienza professionale – che una tutela effettiva per il consumatore non passi necessariamente per l’adozione di leggi che spesso si traducono in lacci e lacciuoli burocratici e che appesantiscono l’operatività delle aziende in buona fede. Per di più, senza proteggere concretamente i soggetti più deboli.

Problemi aperti e soluzioni inapplicabili

Uno degli esempi più evidenti di questo stato di fatto è rappresentato dalla legge sul trattamento dei dati personali, volgarmente nota come “legge sulla privacy”.

A parte essere stati inondati da tonnellate di moduli, informative, richieste di consenso e via discorrendo questa legge non ha prodotto granché, specie per quanto riguarda le attività online. L’internet offre notevoli (e preoccupanti) possibilità di monitoraggio e controllo delle attività dei navigatori, così molte aziende si sono buttate a capofitto nello strutturare i propri servizi in modo da “profilare” i propri utenti e poter “trafficare” con i dati. Spesso, dietro la parola “gratis” si nasconde in realtà una richiesta ben precisa: servizi (in alcuni casi di poco valore) in cambio di dati personali e abitudini d’acquisto. Ma se escludiamo due provvedimenti (uno dell’Antitrust e uno del Garante per i dati personali) che in qualche modo hanno cercato di mettere ordine in questo ambito, tutto il resto è far west. A fronte di questa situazione, abbiamo una legge che si preoccupa soltanto di istituire procedure, moduli, e richieste di autorizzazione per andare online (legge 675/96, articolo 28).

Anche sul fronte della tutela del consumatore si registra la stessa tendenza. Il DLgs 185/99 che recepisce una direttiva comunitaria in materia di contratti conclusi fuori dai locali commerciali contiene norme dal contenuto francamente sconcertante.

Da un lato – e fin qui niente di male – impone ai venditori di fornire al potenziale cliente, prima di concludere la vendita, tutta una serie di informazioni come: dati esatti dell’azienda, tempi di consegna, specificazione precisa dei costi, modalità di esercizio del diritto di recesso che l’utente può invocare a proprio insindacabile giudizio.

Dall’altro lato, vieta inspiegabilmente ogni forma di asta a distanza e quindi anche quelle online, trascurando il particolare “insignificante” che questo è uno dei business di maggior successo sulla rete sia in Italia, sia fuori.

In uno slancio di iperprotezionismo, il legislatore ha praticamente messo fuori legge molte imprese italiane che tuttavia continuano imperterrite ad offrire questo tipo di servizio. Che evidentemente non è – nei fatti – pericoloso o illegale in sé e che quindi non dovrebbe essere così penalizzato. In conclusione, ci troviamo a vivere in una schizofrenica situazione nella quale ciò che è scritto nella legge, non è quello che accade nella realtà e tutti, per varie ragioni, fanno finta di niente.

Stranamente, tuttavia, lo stesso provvedimento che ha così tanto a cuore le sorti dei consumatori, introduce curiose limitazioni al “diritto di recesso”. In linea generale, al cliente viene conferito il potere di restituire al venditore il bene acquistato senza dover giustificare la propria decisione. Ma quando si parla di alcune altre categorie di prodotti questa regola non si applica più. Se è ragionevole che i prodotti alimentari una volta acquistati a distanza non possano essere restituiti, meno comprensibile è che la stessa regola valga per il software, che certo non subisce alterazioni organolettiche con il trasporto o con il download (in pratica: non va all’aceto).

E’ proprio sulle questioni relative al software e più in generale al copyright che si stanno registrando le cose più incredibili, con i legislatori che dimostrano una scandalosa acquiescenza alle richieste delle multinazionali dell’intrattenimento e dei programmi informatici.

Tralasciando la vergognosa campagna di demonizzazione dello standard MP3 ad opera delle major dell’intrattenimento, che invece di preoccuparsi dei delinquenti veri si scagliano contro una tecnologia che – in sé – è assolutamente utile e innocua, vale la pena di segnalare quello che sta succedendo nel settore dei DVD, secondo un copione già visto per le Playstation.

Come sapete, i lettori DVD sono “regionalizzati”; questo significa che se acquistate un film predisposto per la regione 1 (USA) non lo potreste vedere, ad esempio, in Italia (che appartiene alla regione 2). A meno di non procurarvi un altro lettore compatibile con l’altra codifica.

Questa situazione, che dipende esclusivamente dalle scelte commerciali dei produttori, ha un gravissimo impatto sui diritti dei consumatori. In primo luogo, ne viene limitata la possibilità di selezionare il prezzo più conveniente, dato che non possono acquistare sui mercati appartenenti a regioni differenti. Il che consente alle aziende del settore di esercitare un ferreo controllo sulle politiche di prezzo e distribuzione.

In secondo luogo, e forse ancora più grave, la possibilità di vedere in Italia (e viceversa) prodotti di altri paesi è legata esclusivamente alle decisioni di chi detiene i diritti d’autore. Cioè la versione europea di un certo film viene prodotta soltanto se fa “cassetta”. Tutto il resto è condannato all’oblio, limitando molto gravemente la crescita e la diffusione della cultura. Certo, si può ricorrere ai player modificati, ma così facendo si perde ogni diritto alla garanzia e, per quanto riguarda il software, si potrebbe anche commettere qualche atto illecito, sconfinante addirittura nel reato.

Sorge spontanea la domanda: che senso ha parlare di commercio elettronico, di mercati globali e new economy se poi la miopia delle grandi aziende impedisce alle merci di circolare liberamente?

In conclusione…

Queste sono soltanto alcune delle questioni ancora sul tappeto, che non si esauriscono certo negli spunti di queste righe. Molto altro ci sarebbe da dire, ad esempio a proposito della prossima riforma del diritto d’autore, o del disegno di legge sui nomi a dominio, o ancora sulle vere e false questioni relative alla firma digitale e sui tentativi di imporre un sistema centralizzato di “filtraggio” dei contenuti diffusi online. Progetti che – nell’indifferenza più totale – condizioneranno molto negativamente le possibilità di fare business online non solo dal punto di vista delle imprese, ma anche da quello degli utenti della rete. Che dovranno sempre più imparare a proteggersi non tanto dai “pirati cattivi”, quanto da burocrazie, cavilli e ambiguità.

Ecco dunque un piccolo contributo per limitare la possibilità di sorprese sgradevoli e non presentarsi totalmente indifesi di fronte a operatori scorretti o avvocati “aggressivi”. Non effettuate acquisti “d’istinto”. Se trovate qualcosa che vi interessa, innanzi tutto verificate se lo stesso prodotto/servizio è disponibile anche su altri siti, magari di venditori notoriamente affidabili

Prima di acquistare su un sito “sconosciuto”, o se avete qualsiasi dubbio, chiedete al venditore le informazioni che vi interessano. Mettetelo “alla prova”

Chiedete conferma (o stampate la pagina) che contiene una promozione pubblicitaria. Se si tratta di un concorso a premi italiano, cercate il numero di autorizzazione ministeriale

Non fornite dati o indicazioni personali (specie di terze parti, come amici, familiari ecc.), in particolar modo indirizzi e numeri di telefono, chiaramente inutili ai fini dell’esecuzione del contratto. Se il venditore esige il conferimento di questi dati, non procedete all’acquisto.

Se la transazione si interrompe e non avete la certezza dell’esito, inviate una lettera raccomandata al venditore e per conoscenza alla vostra banca e alla società emittente la carta di credito, segnalando che l’acquisto non è stato effettuato e quindi che non si deve procedere all’addebito

Diffidate dei prezzi eccessivamente convenienti. Il fatto che state acquistando online non implica necessariamente ottenere sconti galattici

Se la procedura d’acquisto o di shopping vi richiede di scaricare file eseguibili e non vi fidate in modo particolare del venditore, rinunciate all’acquisto

In caso di disavventure, raccontate la vostra storia nei newsgroup e scrivete alle riviste specializzate. Siate precisi, fate soltanto affermazioni che potete documentare e soprattutto utilizzate un tono adeguato e civile (per evitare di passare dalla parte del torto)

Attenzione: il fatto che un programma o file audiovideo siano liberamente disponibili non significa automaticamente che sia legale “downloadarli”

Stampate sempre la pagina o la e-mail di conferma dell’acquisto. Questo, specie se acquistate software o musica online, vi facilita la prova della legittimità dell’acquisto in caso di controlli

Conservate gli estratti conto della carta di credito

INIZIO PAGINA – INDICE DI QUESTA SEZIONE – PRIMA PAGINA
© In

Possibly Related Posts: