La UE ci libera dai caricabatterie ma ci lascia legati ai cavi

La “direttiva caricatori” che impone di installare una porta USB-C su smartphone, tablet e computer portatili è stata salutata come una riforma che farà risparmiare i consumatori europei, ridurrà le emissioni di CO2 e abbatterà la quantità di rifiuti elettronici. In realtà, tuttavia, questa normativa è sostanzialmente inefficace, inefficiente e dunque inutile di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech

A prescindere dall’effettiva urgenza di un provvedimento del genere —il comparto tecnologico ha un non rinviabile problema di indipendenza dai grandi operatori stranieri che istituzioni europee e italiane hanno messo abbastanza in basso nella lista delle priorità  — viene spontaneo domandarsi se i parlamentari europei che hanno approvato la direttiva siano realmente consapevoli dei reali problemi connessi agli apparati “liberati” dalla nuova direttiva.

La norma, infatti, dice testualmente che nella misura in cui possono essere ricaricate mediante cavo, le categorie o classi di apparecchiature radio di cui al punto 1 della presente parte … devono essere dotate di una presa USB tipo C … devono poter essere ricaricate con cavi conformi alla norma EN IEC 62680- 1-3:2021. Anche senza essere un ingegnere elettronico, è abbastanza evidente capire che (al netto dei sistemi di ricarica wireless) per collegare un caricabatterie a un apparato serve un cavo, e che dalla parte che si collega al caricatore, il cavo potrebbe avere una presa diversa da quella che si collega all’apparato. In altri termini, l’obbligo normativo si applica al lato del cavo che si collega al terminale, e non a quello che si collega all’alimentatore.

Inoltre, la direttiva non vieta di usare altre interfacce per il trasferimento dati. Oggi, sullo stesso cavo possono passare sia la corrente per la batteria, sia i dati da scambiare con un computer. Domani, con il recepimento della direttiva e sempre al netto della possibilità di trasferimenti wireless, nulla vieta ai produttori di aggiungere una nuova interfaccia proprietaria che “consente una migliore user experience” o “funzionalità aggiuntive”. L’importante, in altri termini, è che il connettore USB-C imposto dalla UE preveda anche il trasporto dati, ma nulla vieta che la funzionalità sia disponibile tramite un’altra interfaccia.

Analogamente, nulla vieta ai produttori di rendere incompatibile un caricatore di terze parti tramite i cavi di alimentazione, facendo in modo che possano essere usati solo quelli originali o licenziati. Un esempio è il cavo lightning, utilizzato da Apple su iPhone e Ipad, che fin dal 2012 è dotato di un chip “attivo” concettualmente utilizzabile appunto per il controllo di originalità del componente. Non è impensabile, inoltre, ipotizzare che i cavi diventino anche la nuova frontiera dei sistemi di digital rights management e che —come già è accaduto— siano trasformati in data-logger o peggio.

Ci sarebbe poi da capire cosa fare dell’enorme quantità di cavi con interfacce diverse e quale sia la possibilità effettiva di recuperarli utilizzando degli adattatori. Non è infatti scontato che questi siano sufficiente per continuare ad utilizzare il vecchio cavo e il vecchio alimentatore. Un esempio è il microfono Rode iXY originariamente progettato per l’impiego sugli iPad con il connettore da 30 pin. Quando Apple è passata al connettore lightning sarebbe stato ovvio immaginare che l’utilizzo di un convertitore avrebbe consentito di continuare ad usare l’ottimo —ma costoso— microfono. Invece non è così perché il cambio di interfaccia ha portato con sé la perdita del supporto al “vecchio” hardware, con danno e beffa per il consumatore.

Come è facile capire (ma non per il legislatore comunitario) la tutela dell’ambiente e del consumatore non si ottengono semplicisticamente imponendo l’uso di un connettore.

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