Il Fatto Quotidiano, Libero Quotidiano e i chatbot afasici di Facebook

Benvenuti ad una nuova puntata de “I professionisti dell’informazione”.

La notizia pubblicata oggi da Il Fatto Quotidiano secondo la quale due chatbot sperimentali di Facebook avrebbero cominiciato a parlare una lingua incomprensibile per gli umani e che perciò sarebbero stati spenti immediatamente offre molti spunti di riflessione.

Il primo è che la “notizia” è vecchia perchè risale allo scorso giugno. Il fatto che che Il Fatto (perdonate il gioco di parole) la pubblichi ora va contro qualsiasi principio del giornalismo: una notizia non attuale non è una notizia. E veniamo al punto: perchè una notizia vecchia di due mesi diventa attuale? Perchè la vera notizia non è il fatto che due software si siano incartati, ma che un tabloid – il Sun inglese – se ne accorge, consentendo al giornalista italiano di scoprire l’evento. Con buona pace del giornalismo di settore – scientifico, nel caso di specie – che dovrebbe scoprire e diffondere queste notizie in tempo praticamente reale.

Il secondo è che l’analisi dell’ignoto autore del pezzo (indicato solo come F.Q.) è priva di qualsiasi approfondimento. Accetta acriticamente il fatto che software con un qualche grado di indipendenza possano essere “intelligenti” senza citare (inesistenti) fonti a supporto di questa tesi imposta dal marketing tecnologico, amplifica la sindrome di Frankenstein (la “creatura” che si ribella contro il creatore), omette di fornire qualsiasi analisi tecnica che faccia capire esattamente come sono andate le cose, lascia sospeso il lettore inesperto in una nuvola di suggestioni da fantascienza.

Il terzo è che manca di prospettiva. L’ignoto autore, infatti, non si è accorto (ma forse perchè nelle sue fonti la circostanza non era indicata) che Alice e Bob sono due nomi importanti nella storia dell’informatica e della crittografia perché sono quelli utilizzati di routine quando si deve spiegare come funziona, per esempio, la firma digitale. Come disse un esperto di codici segreti in una conferenza, oramai tanti anni fa:

se per spiegare come funziona la crittografia a chiave pubblica utilizzi i nomi di Alice e Bob si capisce che sai di cosa stai parlando.

E poi, trascrive pure mail il nome del sito dal quale è stato ispirato l’articolo (senza peraltro nemmeno linkare il contenuto): è GIZMODO, non GIZMONDO.

Non va meglio l’edizione online di Libero, che adotta un titolo allarmistico e apre il pezzo con un’affermazione oggettivamente falsa:

L’incubo che popola la fantascienza degli ultimi 40 anni è realtà: due macchine artificiali hanno iniziato a parlare tra loro con un linguaggio incomprensibile all’uomo e per questo gli scienziati del laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale di Facebook (FAIR) sono stati costretti a bloccare le sperimentazioni del programma che avrebbe dovuto rendere i robot i più intelligenti possibile.

Non c’è nessun “incubo” alla Hal 9000 che è diventato realtà.

Non c’era alcuna paura, fra i programmatori di Facebook, che i due software andassero “fuori controllo” (e anche se fosse accaduto, non ci sarebbero state conseguenze). Enfatizzare il fatto che i software siano stati spenti utilizzando un’espressione tanatologica come “staccare la spina”  è un effetto retorico che trasmette un’informazione giornalisticamente sbagliata.

Così come è tecnicamente sbagliata – per non dire di peggio – l’affermazione secondo la quale

“chat-bot” costruiti dall’uomo non solo imparano, dialogano e interagiscono con le persone, ma hanno sviluppato un loro modo di comunicare del tutto autonomo, libero dalle regole grammaticali e sintattiche con cui erano stati programmati.

E’ un’affermazione indimostrata tanto che, descrivendo il fenomeno, i commentatori anglofoni meno sprovveduti utilizzano il condizionale, might , potrebbe e non l’indicativo, a differenza del giornalista di Libero.it


p.s. Attendo al varco gli esperti di “robotica giuridica” per vedere come riusciranno a imbastire articoli e convegni sull’ennesima non notizia.

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