Come (non) si fa il Permission Marketing

Ricevo una mail scritta in tono amichevole e personale da una società di formazione che vuole vendermi un corso di diritto dello sport.

Di solito non rispondo a SPAM di questo genere, ma questa volta ho voluto fare un esperimento. Dunque, ho scritto al venditore dicendogli:

Gentile Signore,

Se vuole utilizzare tecniche di direct marketing per promuovere le
attivita’ della sua azienda, farebbe bene ad essere piu’ attento.

Proporre un seminario di diritto e giustizia sportiva a un docente
universitario che insegna questa materia dimostra che lei utilizza una
mailing-list senza porsi il problema di chi siano i destinatari del
messaggio.

Il risultato e’ che un’azione che nasce come “direct” marketing, muore
come spam.

Non ho ricevuto risposta a questo messaggio il che ha confermato la fondatezza della mia risposta e consente di fare un ragionamento più generale sul concetto di Direct Marketing.

Scegliere un tono di comunicazione personale e amichevole implica gestire anche il seguito della comunicazione (mantenendo lo stesso stile). In questo modo, chi riceve il messaggio ha la percezione che ci sia un effettivo interesse, da parte dell’azienda, ad offrire un servizio realmente personalizzato.

Viceversa, “fare l’amico” senza mantenere la “promessa” produce l’effetto opposto: quello di qualificare il mittente, il prodotto che vende e l’azienda che lo produce come soggetti che non hanno alcun reale interesse a creare un rapporto personale con il pontenziale cliente.

Se, dunque, un’azienda non ha la sensibilità commerciale per adottare tecniche di Permission Marketing, sarebbe meglio che si astenesse dal farlo. Perché altrimenti – come nel caso di questa società di formazione – si metterebbero immediatamente sullo stesso piano dei venditori di pillole variamente colorate, concimi per capelli e investimenti miracolosi. Che però, almeno, non fanno finta di “volerci bene”.

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