ChatGPT non è onnisciente, ma OpenAI è vittima del proprio marketing

Il 29 aprile 2024 un’associazione austriaca per la protezione dei diritti civili ha chiesto alla propria autorità nazionale di protezione dei dati viennese di intervenire sull’incapacità di ChatGPT di fornire risultati corretti su un cittadino e chiedendo, in nome del GDPR, di imporre a OpenAI di fare qualcosa per correggere lo stato di fatto di Andrea Monti – Inzialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian-Tech La Repubblica Leggi tutto “ChatGPT non è onnisciente, ma OpenAI è vittima del proprio marketing”

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Cosa significa il bando cinese di Whatsapp, Telegram e Signal dall’App Store di Apple

Secondo il Wall Street Journal, da qualche giorno Apple avrebbe rimosso o starebbe per rimuovere dalla versione cinese dell’App Store una serie di programmi, fra i quali Whatsapp, Threads, Telegram e Signal sulla base delle preoccupazioni per la sicurezza nazionale manifestate da Pechino di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech-La Repubblica Leggi tutto “Cosa significa il bando cinese di Whatsapp, Telegram e Signal dall’App Store di Apple”

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Lo Human Genome Meeting di Roma riporta in primo piano la necessità di liberare l’uso dei dati


La tappa dello Human Genome Meeting iniziata ieri a Roma è l’occasione per tornare a parlare di un argomento tanto fondamentale quanto scomodo: l’impatto della “isteria per la privacy” sulla possibilità di fare ricerca grazie all’enorme quantità di dati che, oggi, siamo in grado di raccogliere sul modo in cui funzioniamo – e ci “rompiamo” di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog La Repubblica-Italian Tech

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Il duello tra Usa e Cina sui processori va oltre l’autonomia tecnologica

Il Financial Times riporta la notizia della scelta adottata dalla Cina di dismettere l’utilizzo di processori Intel e Amd — oltre che del sistema operativo Windows e implicitamente dei software che ne hanno bisogno per funzionare — dalla propria amministrazione: al bando tecnologico la Cina risponde con un colpo alla solidità delle Big Tech Usa. L’analisi di Andrea Monti, professore incaricato di Digital law nell’Università di Chieti-Pescara – Inizialmente pubblicato su Formiche.net Leggi tutto “Il duello tra Usa e Cina sui processori va oltre l’autonomia tecnologica”

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Quali conseguenze potrebbe avere il possibile bando di TikTok negli Usa

In uno scenario di guerra ibrida, non convenzionale e a bassa intensità i servizi di piattaforma giocano un ruolo importante, non solo per il loro potenziale nelle psyop di Andrea Monti – professore incaricato di Digital Law nell’università di Chieti-Pescara – Inizialmente pubblica su Formiche.net Leggi tutto “Quali conseguenze potrebbe avere il possibile bando di TikTok negli Usa”

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Libertà di stampa, giornalismo investigativo e Stato di diritto

La notizia dell’esecuzione di presunti accessi non autorizzati a banche dati a disposizione dell’autorità giudiziaria e della asserita messa a disposizione di testate giornalistiche dei risultati ha (ri)prodotto l’ennesimo dibattito sui limiti del (o al) giornalismo investigativo in rapporto alla libertà di stampa.
Anche in questo caso non si è fatta attendere la polarizzazione alla “Coppi-Bartali”, ma le posizioni si sono radicalizzate in modo abbastanza confuso e, a volte, semplicistico, sovrapponendo piani diversi in termini di responsabilità e diritti.
Dunque, da un lato si schierano i sostenitori del diritto “assoluto” della stampa di raccogliere e pubblicare qualsiasi notizia che riguardi i fatti del potere a prescindere da come sia stata raccolta, che si contrappongono ad altrettanto irriducibili difensori del diritto “assoluto” alla privacy e/o a “quelli che” la libertà di stampa non può estendersi fino a giustificare la commissione di reati.

Non esistono i diritti “assoluti”

Per orientarsi in questo dibattito è necessario partire da un punto fermo: non esistono “diritti assoluti” perché ogni diritto può essere compresso —o addirittura negato— a seconda delle necessità.
Questa può sembrare un’affermazione controintuitiva, ma diventa difficilmente contestabile se si pensa che persino il diritto alla vita è negoziabile, considerato che, per esempio, l’omicidio per legittima difesa non è punito. Tuttavia, negli ultimi anni si è consolidata la tendenza all’assolutizzazione dei diritti, tra cui appunto la privacy e la libertà di espressione, trasformati in feticci e considerati spesso inviolabili a discapito di altri potenzialmente confliggenti e altrettanto meritevoli di tutela.
Questa convinzione (sbagliata) si estende anche alla libertà di stampa, e in particolare al giornalismo investigativo e alle attività di debunking, dove è percepita come un diritto senza limiti o responsabilità.

Costituzione e libertà di stampa

La Costituzione italiana tutela certamente la libertà di stampa e di espressione, ma non al punto di legittimare la commissione di reati. L’attività giornalistica, infatti, non gode di libertà “assoluta”, essendo anch’essa sottoposta ad una serie di limiti normativi che vanno dal controllo dell’accesso alla professione (solo gli iscritti all’albo possono esercitare attività giornalistica), al dovere di controllo della legittimità delle notizie (da cui l’obbligo della presenza di un direttore responsabile), alla responsabilità civile e penale per le conseguenze della pubblicazione di una notizia che non doveva essere riportata, o che non doveva essere riportata in determinati modi (da cui l’applicabilità delle norme sulla violazione dei segreti, sulla diffamazione e sui discorsi d’odio).


Giurisprudenza e responsabilità del giornalista

Se, anche per via delle sentenze che si sono succedute nel corso degli anni, è relativamente semplice decidere se una notizia poteva o non poteva essere pubblicata, non si può dire lo stesso per il modo in cui la notizia è stata raccolta. Stiamo parlando, in altri termini, di tre annosi problemi: i limiti del segreto professionale giornalistico, il dovere di proteggere le fonti, e la possibilità di invocare qualche causa di non punibilità per la commissione di reati finalizzati a raccogliere informazioni necessarie a scrivere articoli.
In sintesi, come pure hanno rilevato alcune sentenze (l’ultima, della Cassazione, è la 36407/23 pubblicata il 31 agosto 2023), il punto è che la ricerca di notizie non giustifica la commissione di reati (i casi decisi dai giudici riguardavano l’insistenza ritenuta molesta di giornalisti che, non rispettando la volontà dell’intervistato di non rilasciare dichiarazioni continuavano a fare domande, il trattenersi in una proprietà privata contro la volontà del proprietario e l’acquisizione di informazioni frutto di attività illecita).
È chiaro che questa giurisprudenza riguarda in modo particolare il giornalismo investigativo, che si trova spesso a dover mettere sul piatto della bilancia il rispetto della legge e delle norme professionali e, sull’altro, la necessità di rivelare scandali finanziari o complotti politici, rischiando di finire in un’area grigia tra legalità e ricerca della verità.

 Leggi e indagini (giornalistiche)

Il quadro normativo italiano, anche se non la nomina esplicitamente, impone specifici limiti all’attività giornalistica in termini di raccolta informazioni.
Secondo il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, solo gli investigatori privati con licenza prefettizia sono autorizzati a raccogliere informazioni su persone e fatti. Questa prerogativa è circoscritta principalmente ad indagini patrimoniali e sull’infedeltà di coniugi e dipendenti e può estendersi in ambito penale solo se commissionata da un avvocato ed eseguita da un investigatore dotato di una licenza specifica. Gli avvocati, insieme ai magistrati e alle forze di polizia, sono le altre figure a cui è legalmente consentito svolgere indagini nell’ambito di procedimenti penali.
La legge quindi delinea un ambito ristretto di soggetti autorizzati a svolgere indagini, mettendo in evidenza i limiti formali e sostanziali che consentono di comprimere, pur se con forze differenti, i diritti delle persone.
I giornalisti, dunque, possono senz’altro cercare notizie ma non hanno un potere espressamente attribuito dalla legge di indagare per l’accertamento di fatti o costruire archivi su persone. Se questa distinzione può essere (abbastanza) chiara in teoria, non lo è altrettanto in pratica perché non è semplice tirare una linea che separi la “mera” attività di cronaca da un’indagine con tutti i crismi. Il che crea una difficoltà evidente se si affronta la questione dal punto di vista dei limiti del segreto professionale del giornalista.

Quanto è robusto il segreto professionale del giornalista?

A differenza del segreto professionale dell’avvocato —che rende inutilizzabili le eventuali intercettazioni delle comunicazioni con l’indagato e limita rigidamente le perquisizioni negli studi professionali— quello del giornalista non vieta ad un pubblico ministero di eseguire indagini sulle fonti, né a un giudice di ordinare al professionista di rivelare il modo in cui si è procurato la notizia.
Dunque spetta solo al giornalista tutelare chi gli fornisce informazioni tramite una serie di misure operative che possono rendere più difficile identificare la fonte confidenziale. Dall’altro lato, egli deve decidere se mantenere il silenzio davanti al giudice, rischiando a propria volta un’imputazione penale.

Piattaforme per il whistleblowing. Pezza peggiore del buco?

Una soluzione “all’italiana” potrebbe essere quella, peraltro abbastanza diffusa, di predisporre sistemi per ricevere segnalazioni anonime che non consentono di rintracciare il mittente.
I tradizionali metodi, come i plichi lasciati nella buca delle lettere di una redazione o l’altrettanto classica telefonata con la voce alterata, hanno lasciato il posto a piattaforme e servizi di posta elettronica che rendono sostanzialmente non tracciabile il messaggio ricevuto. Utilizzando questi sistemi, una testata giornalistica potrebbe difendersi eccependo —correttamente— che una volta venuta a conoscenza di una notizia ha il diritto di pubblicarla se la notizia si rivela fondata, e che non avendo contribuito attivamente a cercarla non ha modo di sapere se sia stata acquisita violando la legge.
Ancora una volta, tuttavia, il diavolo è nei dettagli.
Se la “soffiata” riguarda un segreto di Stato o la diffusione di informazioni ancora coperte dal segreto istruttorio penale, è difficile sostenere di non essersi resi conto che la fonte della notizia è un atto illecito.
Inoltre, applicando l’istituto giuridico del “dolo eventuale”, un inquirente zelante potrebbe arrivare a ipotizzare che avere messo in piedi una piattaforma per ricevere segnalazioni completamente anonime significa avere, implicitamente, voluto e accettato il rischio che qualcuno la utilizzasse per inviare anche informazioni acquisite illegalmente.
Anche in questo caso la testata potrebbe difendersi sostenendo che non c’è differenza fra ricevere una lettera anonima di carta o un messaggio tramite una piattaforma di leaks. Tuttavia, in realtà, una differenza pratica che potrebbe rendere non comparabili le due situazioni esiste. Nel primo caso, quello della lettera (o dell’email) anonima, è il “segnalatore” che contatta il giornale senza che quest’ultimo abbia fatto nulla per stimolare l’invio dell’informazione; mentre nel secondo è la testata che predispone attivamente le condizioni per ricevere (o istigare l’invio di?) di notizie illecitamente acquisite.
A questo si dovrebbe aggiungere anche il fatto che una informazione segreta non è necessariamente relativa alla commissione di reati o comportamenti inappropriati, ma può attenere —come nel caso dei cablo diplomatici— alla necessaria confidenzialità delle conversazioni fra Stati. I contenuti di queste comunicazioni sono, ovviamente, di grande interesse, ma non per questo possono essere liberamente ripubblicati.
In altri termini, “segreto” non equivale sempre a “illecito”.
 
Il convitato di pietra
È abbastanza evidente che non si può continuare a gestire caso per caso il tema della tutela delle fonti e quello del diritto a pubblicare notizie sui fatti del potere. Questo è uno di quegli argomenti che, effettivamente, richiederebbero un (peraltro non semplice) intervento normativo.
Sarebbe difficilmente difendibile, in termini costituzionali, una norma che rendesse tout-court non punibile il giornalista che commette reati per procurarsi notizie. Persino gli appartenenti ai nostri servizi segreti, ai quali la legge riconosce le cosiddette “garanzie funzionali”, non possono commettere qualsiasi reato e certamente non sono autorizzati a commettere omicidi.
Tuttavia, si potrebbe ragionare sull’estensione dell’attenuante già presente nel codice penale, che prevede una riduzione di pena se il fatto è commesso per motivi di particolare valore sociale o morale. Oppure si potrebbero prevedere trattamenti sanzionatori più favorevoli ai soli casi che riguardano la divulgazione di “fatti” illeciti del Potere.

Il presente

Sta di fatto che, ad oggi, sostenere che in nome del diritto di cronaca si può (o si deve) non rispettare la legge è semplicemente sbagliato. O, meglio, non si può pretendere di violare la legge in nome della propria visione del mondo e poi pretendere di non essere processati —processati, non direttamente condannati— per il fatto.
Un esempio chiarisce il senso di questa osservazione: siamo arrivati al divorzio e all’aborto —e un giorno avremo anche la legge sul fine vita— grazie all’impegno civile di persone che, in nome di un’idea, hanno consapevolmente violato la legge, accettando di farsi processare proprio per evidenziare la distanza fra le norme e il sentire comune e mettere in crisi il sistema.
Marco Pannella e i tanti esponenti del Partito Radicale che hanno condiviso quelle battaglie hanno rischiato in prima persona per indurre un cambiamento normativo che rispecchiasse i mutamenti della società.
Hanno denunciato l’ingiustizia di certe leggi, ma non si sono mai sottratti alle regole del gioco, il che è profondamente diverso dal rivendicare la disapplicazione della legge in nome della superiorità (reale o presunta) di una (propria) idea. È la differenza fra lo Stato di diritto, quello che in nome del quale Socrate non si sottrasse al processo e alla condanna; e quello etico dove, alla fine, l’unica regola è che le regole si applicano per gli altri e non per sé.

Il futuro prossimo venturo

Assorda, in questo periodo, il silenzio dell’Unione Europea che sta discutendo il regolamento sulla libertà dei media.
È vero, la UE non può occuparsi di materia penale e di aspetti legati alla sicurezza nazionale e dunque non potrebbe, pur volendo, stabilire dall’alto una tutela rafforzata per i giornalisti in casi del genere.
È anche vero tuttavia che, nell’interesse di tutti e alla luce dei fatti di cronaca, una riflessione più attenta sui temi come la definizione di “giornalista”, il rafforzamento del segreto professionale e una tutela estesa del ruolo sociale della stampa libera sarebbe altamente desiderabile.

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Neuralink è l’anticamera della discriminazione tecnologica

L’annuncio della sperimentazione umana di una brain-computer interface (BCI) da impiantare nel cervello sviluppata da Neuralink, una delle aziende high tech di Elon Musk, ha invariabilmente generato un’ondata di sensazionalismo e rievocato per l’ennesima volta scenari fantascientifici abitati da cyborg e trans-umani, come lo stesso Musk ha lasciato intendere già da tempo. Usando una tecnica pubblicitaria molto diffusa, la notizia della BCI di Musk è stata presentata con un’affermazione tipo “il primo essere umano ha ricevuto un impianto Neuralink”, ma questo non vuol dire che sia il primo in assoluto e che, dunque, siamo di fronte a un evento rivoluzionario. Uno studio pubblicato su Science and Engineering Ethics dimostra che la prima sperimentazione umana di una BCI risale al 2019 e uno spin off dell’Istituto Italiano di Tecnologia del CNRha realizzato un chip altrettanto, se non più avanzato di quello di Neuralink. Altre startup americane stanno esplorando le possibilità delle BCI e dunque, più che a un evento rivoluzionario, siamo di fronte all’avvio di una nuova corsa all’oro, al cui confronto quella dell’AI, già rallentata da contrasti ideologici e politici, somiglia più a una domenicale passeggiata nel bosco alla ricerca di funghi.

È invece passata sotto silenzio, al di fuori degli ambienti degli addetti ai lavori un’altra notizia, questa sì oggettivamente importante: più o meno contemporaneamente all’annuncio di Neuralink, il 13 febbraio 2023 la giapponese PorMedTec, startup dell’università Meiji, ha annunciato di essere riuscita a creare tre cloni di maiali con organi potenzialmente idonei ad essere trapiantati in esseri umani, grazie all’utilizzo di cellule di maiale geneticamente modificate dalla statunitense eGenesis. Anche in questo caso, non è tanto il “cosa”, quanto il “se” ad essere rilevante: la creazione di organi artificiali, insieme al bioprinting, è da sempre considerata un’alternativa essenziale per superare il problema del reperimento di organi umani da trapiantare. Analogamente alle BCI, dunque, l’utilizzo in ambito medico e terapeutico di tecnologie del genere non è soltanto desiderabile ma certamente necessario.

Avere compiuto un altro passo verso la possibilità di ripristinare i collegamenti fra cervello e resto del corpo (o strumenti esterni), e realizzare xenotrapianti grazie all’ingegneria genetica sono senz’altro notizie eccellenti per la ricerca e, pur se non sul breve periodo, per chi soffre di malattie degenerative o ha bisogno di “pezzi di ricambio” per tornare “come nuovo”.

Nello stesso tempo, però, non sono mancate le preoccupazioni sull’impatto che la manipolazione diretta del funzionamento del cervello basata sulla comunicazione bidirezionale con un software che riceve comandi esterni e sull’eticità della creazione di esseri viventi (pur non necessariamente senzienti) per produrre organi.

Con una sconsolante coazione a ripetere, l’approccio di alto livello a questi temi è sistematicamente orientato alla burocratizzazione e all’irrigidimento della possibilità di fare ricerca in nome dell’onnipresente “uso etico e responsabile” della tecnologia e, dall’altro, all’accettare, o quantomeno non rifiutare, che queste ricerche possano anche avere applicazioni non strettamente mediche, cioè dirette a curare le persone.

Stiamo parlando, in altri termini, della possibilità che BCI e organi biologici artificiali possano essere impiantate in soggetti sani, e dunque non per guarirli da una malattia ma per “potenziarli” o —come nel caso dei dati generati dalle BCI— per utilizzo ludico, in videogiochi e altre forme di interazione con strumenti digitali.

Il primo tema è quello, oramai classico, del transumanesimo, cioè di quella corrente di pensiero nata in Inghilterra e che teorizza il diritto a potenziare il corpo ricorrendo alla tecnologia e che da qualche tempo interseca ambiti strettamente medici come lo sviluppo di protesi robotiche e la medicina potenziativa.

Il secondo tema riguarda la rottura dell’ultima barriera fra l’associazione delle manifestazioni esteriori del comportamento umano ai meccanismi che le generano, per finalità diverse da quelle di diagnosi e cura. Da tempo ci sono tentativi per utilizzare tecniche di neuroimaging come “macchina della verità” nei processi giudiziari e da tempo analisi critiche hanno evidenziato i limiti di questo approccio. Questo non ha impedito di continuare su una strada parallela, quella della raccolta dei segnali elettrici del cervello per decodificarli ed associarli a stati fisici e mentali, caso del quale si occupò —in modo peraltro discutibile— la Corte suprema cilena nell’agosto 2023 con una sentenza sull’uso dei dati raccolti da un elettroencefalografo “per uso ludico”.

Mentre il dibattito pubblico —quel poco che è dato di riscontrare— si concentra sui “soliti” argomenti (etica, privacy, uso responsabile ecc.) vengono trascurati due temi che dovrebbero essere analizzati prima degli altri: l’ammissibilità di un uso non medico di queste tecnologie, e la scelta di renderle disponibili a tutti o solo a chi —individuo o Stato sovrano— può permettersele.

Consentire un uso non medico —cioè non curativo— di BCI e ingegneria genetica è una scelta politica che presuppone un modello di società basato sulla definitiva presa di potere da parte di Big Tech e sull’uso geopolitico della superiorità tecnologica in questi settori. Queste aziende potranno intervenire direttamentesul corpo e sulla mente degli individui, invece di dover utilizzare obsoleti strumenti di profilazione che non consentono la raccolta in tempo reale e, nello stesso tempo, governeranno queste tecnologie in barba a qualsiasi controllo pubblico.

I visori a realtà aumentata che iniziano ad affacciarsi sul mercato sono dei precursori di quello che potrebbe accadere con l’uso “ludico” delle BCI. Oggi la realtà viene aumentata da quello che qualche sviluppatore ha deciso di far percepire all’utente tramite la proiezione di immagini sul nervo ottico. Fra qualche tempo —ed è la dichiarata intenzione di chi intende usare queste tecnologie “a scopo ludico”— questo potrà accadere inviando direttamente segnali al cervello, superando la soglia della percezione razionale.

Di fronte a una prospettiva del genere, non ci sono “codici di condotta”, “linee guida per un uso responsabile” o qualsiasi altro “documento di indirizzo” che tengano: l’uso non medico di queste tecnologie dovrebbe essere semplicemente vietato.

Questa scelta, veniamo al tema dell’ingegneria genetica, è già stata presa in rapporto alla clonazione umana: non ci sono, tecnicamente, ostacoli insormontabili alla clonazione della componente fisica d un individuo ma, molto semplicemente e molto chiaramente, la Convenzione di Oviedo vieta questa pratica. Dunque, nulla vieta di vietare anche l’uso di BCI e, in generale, di sistemi che interagiscono direttamente con il cervello o con la sua attività elettrica per scopi diversi da quelli strettamente curativi, nonché delle estremizzazioni transumaniste che invocano impianti tecnologici ma anche trapianti organici.

La posta in gioco, più che la bizzarra idea della “privacy mentale” o dello specismo, è quella della discriminazione basata sulla ricchezza privati e sul ruolo dei poteri pubblici.

In uno Stato dove BCI e ingegneria genetica sono saldamente nelle mani del settore privato, solo il settore privato decide chi può fruirne; in una dimensione internazionale dove uno Stato detiene il controllo di queste tecnologie, solo quello Stato decide a quali altri può esserne consentito l’utilizzo.

Possiamo non usare il termine eugenetica, ma alla fin fine di questo si tratta ed è difficile non ricordare cosa aveva immaginato Aldous Huxley in Brave New World, con l’aggravante che, in questo caso, la discriminazione non lascerebbe speranza a chi è “fuori” dai confini, siano essi quelli del conto corrente, o del proprio (non abbastanza tecnologicamente autonomo) Stato.

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Social network, poteri privati e diritti pubblici

Questo è un estratto della lezione che ho tenuto il 5 febbraio 2022 nel mio corso di Digital Law nell’università di Chieti-Pescara. È passato un anno, ma l’analisi è ancora drammaticamente attuale di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech – La Repubblica Leggi tutto “Social network, poteri privati e diritti pubblici”

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La “privacy” uccide gli esseri umani per proteggere la persona

Con due recenti provvedimenti la Corte europea blocca la conservazione dei dati biometrici da parte delle forze di polizia e il Garante dei dati personali l’uso dell’IA nella prevenzione del terrorismo. Anche la ricerca scientifica è fortemente limitata “in nome della privacy”. Ma è veramente possibile – o accettabile? di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech – La Repubblica Leggi tutto “La “privacy” uccide gli esseri umani per proteggere la persona”

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L’India compie un passo importante verso l’indipendenza tecnologica. Cosa cambia

Nuova Delhi lancia un progetto per costruire, in autonomia, processori basati su standard aperti per liberarsi dai vincoli della tecnologia occidentale. L’analisi di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law, Università di Chieti-Pescara – Inizialmente pubblicato su Formiche.net Leggi tutto “L’India compie un passo importante verso l’indipendenza tecnologica. Cosa cambia”

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GDPR e OpenAI: quanto sono fondate le accuse del Garante?

Non è colpa di OpenAI se le persone si ostinano, contro ogni logica, a usare ChatGPT come sostituto della loro (mancanza di) conoscenza di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “GDPR e OpenAI: quanto sono fondate le accuse del Garante?”

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L’ AI open source non è un crimine e non aiuta i criminali

Un articolo da poco pubblicato su IEEE Spectrum a firma di David Evan Harris, un ex dipendente di Meta, mette in guardia dai pericoli dell’IA sviluppata con un approccio “open source”, ritenendo che la libera disponibilità di modelli “non censurati” agevoli la commissione di atti illeciti e invocando, fra le altre cose il blocco dello sviluppo di nuovi modelli e l’emanazione di norme retroattive per gestire le licenze dei sistemi IA che superano una certa soglia di capacità (quale, però, non è indicato). L’autore non afferma certo che l’open source sia una pratica illecita e, anzi, ne riconosce i meriti ma ritiene che, nel caso dell’AI, non dovrebbe essere ammessa di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech – La Repubblica Leggi tutto “L’ AI open source non è un crimine e non aiuta i criminali”

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Non c’è bisogno dell’IA per danneggiare le persone con un software: il caso Royal Mail

Molti accusati hanno avuto la forza di resistere ma alcuni non ce l’hanno fatta e si sono suicidati. Dunque non potranno avere la (magra) soddisfazione di essere riabilitati e risarciti per quello che è stato definito il più esteso errore giudiziario della storia britannica.

Non è la prima volta che gli errori di un software causano danni anche gravissimi ad esseri umani (basta pensare al disastro aereo causato dal bug del Boeing 737 Max), ma il caso di Horizon (il software i cui risultati hanno costituito la prova esclusiva della “responsabilità” degli accusati) è diverso e peggiore. Nel caso del 737, infatti, il difetto di programmazione che ha causato il disastro si è manifestato quando ormai non era più possibile intervenire; mentre i dati sbagliati prodotti da Horizon sono stati alla base delle decisioni assunte da pubblici ministeri e giudici che hanno avuto tutto il tempo di valutarli. E viene da chiedersi: come è possibile che a dimostrare l’esistenza dei difetti siano stati gli accusati e che, al contrario, nessun inquirente abbia pensato di verificare l’attendibilità di quei dati prima di formulare le accuse?

Per rispondere nello specifico sarebbe necessario conoscere gli atti processuali ma, in termini più generali, emerge il tema del rapporto malsano che istituzioni e cittadini hanno con le tecnologie dell’informazione, presentate come divinità onnipotenti da officianti il cui scopo reale è venderle a una massa ignorante e credulona che le venera con il più acritico fideismo. Un copione che sta andando in scena, con una coerenza da incubo, anche con la cosiddetta “intelligenza artificiale”.

Lo scandalo del servizio postale britannico dimostra (se mai ce ne fosse bisogno) che non è soltanto l’IA a causare danni gravissimi alle persone ma che questo può accadere anche usando software che, per converso, potremmo chiamare “stupido”. Anzi, potremmo dire che mentre ad oggi non abbiamo ancora dovuto piangere morti “a causa” dell’AI, il numero di chi subisce conseguenze anche gravissime dai difetti dei software “stupidi” non accenna a diminuire.

Il massiccio elefante nella cristalleria ovattata del “mondo digitale” si chiama responsabilità per lo sviluppo di software. Ad oggi nessun legislatore, né quelli nazionali né gli organi comunitari, se ne è occupato sul serio; eppure anche senza voler emanare leggi apposite sarebbe già stato un buon inizio applicare le norme vigenti e, in modo particolare, il regolamento sulla protezione dei dati personali. Questa norma impone, infatti, di tutelare fin dalle fasi della progettazione dei software i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo e dunque di verificare se i risultati delle elaborazioni siano corretti e attendibili. Ma quanti software e quante piattaforme rispettano realmente questo obbligo di legge? E quanti danni sono stati causati da software progettati senza tenere conto dell’obbligo di tutelare le persone i cui dati sarebbero poi stati elaborati automaticamente?

Basterebbe solo che le autorità nazionali di protezione dei dati si fossero dedicate a questo problema per incidere in modo sostanziale sul funzionamento dei programmi riducendone la difettosità e tutelando così le persone e i loro diritti, come nel caso delle “cartelle pazze” delle multe inviate a soggetti che non erano mai transitati su una certa strada, o delle bollette stratosferiche emesse “per errore”.

Non è possibile affermare che se il regolamento sui dati personali fosse stato applicato alla Royal Mail (i fatti sono pre-Brexit) gli accusati ingiustamente non sarebbero stati processati o condannati, tuttavia è un fatto che l’industria del software è basata sul concetto del “as is”, in base al quale pur incassando il costo della licenza, lo sviluppatore non garantisce nulla, nemmeno che il programma sia idoneo a soddisfare le necessità dell’utente.

In questo scenario di impunità totale, occupandosi dell’AI – cioè di software – le istituzioni comunitarie hanno invece proposto di adottare un regime differenziato di responsabilità “aggravato” per le sole “AI ad alto rischio“, come se solo queste potessero causare danni irreparabili agli esseri umani.

A voler essere faziosi, ci si potrebbe dunque domandare se questa responsabilità aggravata nei casi di “AI ad alto rischio” non implichi, per converso, che i software “stupidi” (o meglio chi li sviluppa) siano immuni dalle conseguenze dei danni che causano perché la “stupidità non è reato”.

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Per proteggere le fonti giornalistiche è necessario giurisdizionalizzare la sicurezza nazionale?

La polemica sui limiti del segreto professionale dei giornalisti riaccesa dal dibattito in sede europea sul futuro provvedimento in materia di libertà di stampa contrappone chi vuole i giornalisti assolutamente “liberi di indagare” e chi, invece, ritiene che questa libertà non possa essere assoluta o comunque non possa essere esercitata al punto da compromettere la sicurezza nazionale di Andrea Monti – inizialmente pubblicato su Strategikon – Italian Tech La Repubblica Leggi tutto “Per proteggere le fonti giornalistiche è necessario giurisdizionalizzare la sicurezza nazionale?”

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Qual è il significato geopolitico del chip di Huawei che non può esistere, ma che c’è

La messa in commercio del nuovo Huawei Mate Pro 60 non è soltanto l’ennesimo capitolo della corsa all’accaparramento di quote nel mercato degli smartphone di fascia alta ma ha un impatto sulla geopolitica tecnologica da non sottovalutare: il processore Kirin900s che fa funzionare lo smartphone è sviluppato su chip da 7 nanometri, ritenuto impossibile da produrre in Cina per via dell’embargo sulle tecnologie necessarie a realizzarlo. di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog LaRepubblica – Italian Tech Leggi tutto “Qual è il significato geopolitico del chip di Huawei che non può esistere, ma che c’è”

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Scandalo ChatGpt sui dati personali? L’ennesima conferma che la rete libera è un’illusione

L’ultimo “scandalo” su OpenAI (ricercatori di Google avrebbero trovato il modo di ottenere risposte che rendono disponibili i dati “grezzi” usati per addestrare il modelli della serie GPT) ha invariabilmente riportato alla ribalta le questioni relative alla “tutela della privacy”, al diritto d’autore e via discorrendo. Altrettanto invariabilmente, questi temi sono trattati ignorando alcuni evidenti presupposti che rendono poco rilevante la polemica e denunciano, ancora una volta, le conseguenze dell’economia basata sul “gratis”, sul “capitalismo della solitudine”, sull’inerzia delle autorità di controllo di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog La Repubblica-Italian Tech Leggi tutto “Scandalo ChatGpt sui dati personali? L’ennesima conferma che la rete libera è un’illusione”

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L’autocensura delle AI generative raggiunge e supera il NewSpeak orwelliano

Nel 2003, commentando i lavori della “Commissione open-source” istituita dal governo in carica, scrivevo sulla gloriosa (e purtroppo defunta) rivista Linux&C: “Si stanno creando generazioni di analfabeti funzionali asserviti all’uso acritico di una sola piattaforma. Utenti che utilizzano già dei sistemi senza alcuna consapevolezza di ciò che stanno facendo. E così, quando il correttore ortografico dirà che la parola “democrazia” non è presente nel vocabolario, senza farsi domande smetteranno semplicemente di usarla. E di pensarla.” di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “L’autocensura delle AI generative raggiunge e supera il NewSpeak orwelliano”

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In nome della giustizia si può giustificare il segreto sul cracking di Stato?

Per la Cassazione la risposta è “ni”. Una sentenza si occupa dei limiti del diritto al segreto degli inquirenti sui metodi tecnologici utilizzati nelle indagini online e di quelli del diritto di difesa dell’indagato di conoscere in che modo sono state raccolte le prove a suo carico. Ma i problemi aperti sono molti di più di quelli risolti di Andrea Monti – inizialmente pubblicato su Wired.it Leggi tutto “In nome della giustizia si può giustificare il segreto sul cracking di Stato?”

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Quali sono le implicazioni di geopolitica tecnologica dell’Executive order Usa sull’AI

Supremazia tecnologica, attrazione dei migliori cervelli stranieri e protezione dei valori americani sono tre fra i principi che stanno alla base della strategia Usa per l’Ai. L’analisi di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nell’università di Chieti-Pescara – inizialmente pubblicato su Formiche.net

Leggi tutto “Quali sono le implicazioni di geopolitica tecnologica dell’Executive order Usa sull’AI”

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Sicurezza e/o democrazia? Le debolezze strutturali nelle norme italiane sulla cybersecurity

L’urgenza – reale o percepita – di fronteggiare gli attacchi alle infrastrutture di trasporto e di servizio italiane ha spinto il legislatore italiano a dotarsi di nuovi strumenti giuridici che, da un lato, “rinforzano le mura” e, dall’altro, potenziano le capacità informative e reattive dei comparti sicurezza, difesa, e giustizia. L’attuazione di questa strategia, però, soffre di problemi di impianto e di non perfetta coerenza giuridica, mettendo a rischio l’effettiva utilità dello sforzo normativo di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – Un blog di Italian Tech Leggi tutto “Sicurezza e/o democrazia? Le debolezze strutturali nelle norme italiane sulla cybersecurity”

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Come l’isteria della privacy sta uccidendo la street photography

La Cassazione ha configurato come molestia o disturbo alle persone il fatto di aver scattato foto di nascosto a una donna in supermercato. Ma non esiste la privacy in pubblico di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech. Leggi tutto “Come l’isteria della privacy sta uccidendo la street photography”

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La Cina sceglie le sue regole sull’intelligenza artificiale

La bozza di un documento recentemente diffuso dal National Information Security Standardization Technical Committee cinese mostra l’approccio di Pechino alla regolamentazione dell’AI generativa: non solo norme, ma anche controllo degli standard tecnologici e di processo di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Wired.it Leggi tutto “La Cina sceglie le sue regole sull’intelligenza artificiale”

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La lettera di Breton a Elon Musk evidenzia un problema molto serio (ma è l’Europa, non X)

Con una lettera dello scorso 10 ottobre il commissario Breton ha informato Elon Musk del fatto che X è utilizzato per diffondere contenuti illegali e disinformazione nella UE, gli ricorda le regole imposte dal Digital Service Act in termini di moderazione dei contenuti e lo avvisa di avere ricevuto da “fonti qualificate” la notizia della circolazione di – cito testualmente – “contenuti potenzialmente illegali” ancora disponibili nonostante la segnalazione da parte delle autorità competenti. Infine, conclude Breton, è obbligatorio (“you need to have in place” dice la lettera) avere adottato misure efficaci per ridurre il rischio per ordine e sicurezza pubblica derivante dalla diffusione di disinformazione, aspettandosi (non auspicando, ma “aspettandosi”) un contatto con le autorità di polizia e con Europol per dare seguito immediato alle loro richieste di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “La lettera di Breton a Elon Musk evidenzia un problema molto serio (ma è l’Europa, non X)”

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Un incubo orwelliano: il controllo individuale passa per i videogiochi

l videogame Call of Duty userà l’IA per analizzare in tempo reale le parole dei giocatori e segnalare ai moderatori le espressioni “tossiche” (qualsiasi cosa voglia significare il termine). Un altro passo nella transizione dalla sorveglianza di massa alla privatizzazione del controllo individuale di Andrea Monti – Inzialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “Un incubo orwelliano: il controllo individuale passa per i videogiochi”

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Dopo 70 anni, il Centro nazionale di supercalcolo realizza il sogno di Bruno de Finetti

Passa alla fase operativa il progetto gestito dalla Fondazione ICSC che, grazie ai fondi del Pnrr, doterà l’Italia di un’infrastruttura decisiva per lo sviluppo della ricerca scientifica e di quella sull’AI di Andrea Monti – professore incaricato di Digital Law nel corso di laurea in Digital Marketing dell’università di Chieti-Pescara. Leggi tutto “Dopo 70 anni, il Centro nazionale di supercalcolo realizza il sogno di Bruno de Finetti”

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Due brutte sentenze per il giornalismo investigativo

I due verdetti mettono nel mirino i leak di informazioni e il modo di ottenerli. E allungano un’ombra sulle piattaforme di segnalazione anonima gestite da testate di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Wired.it Leggi tutto “Due brutte sentenze per il giornalismo investigativo”

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Pro e contro del Global digital compact dell’Onu

Con il Global Digital Compact l’Onu vuole definire principi condivisi per la sicurezza dell’ecosistema digitale, ma almeno ad oggi non prende in considerazione la tradizionale Internet Governance. Potrebbe essere un altro passo verso il definitivo riassorbimento del controllo sulla Big Internet nel dominio del softpower istituzionale. L’analisi di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nel corso di laurea magistrale in Digital Marketing dell’università di Chieti-Pescara – Inizialmente pubblicato da Formiche.net Leggi tutto “Pro e contro del Global digital compact dell’Onu”

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Un’opera d’arte prodotta dall’Ai ha diritto al copyright. E l’artista non avrà più centralità

Una sentenza negli Usa nega a un’opera creata da un’intelligenza artificiale la protezione del diritto d’autore. Ma è una decisione sbagliata, che si basa sulla soggettività di questa tecnologia e non sul valore economico del prodotto finale di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech

Leggi tutto “Un’opera d’arte prodotta dall’Ai ha diritto al copyright. E l’artista non avrà più centralità”

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L’accordo USA/UE sull’esportazione di dati personali: perché la toppa è peggiore del buco

Il 10 luglio 2023, con un documento di oltre 190 pagine, la Commissione Europea prova per la terza volta a risolvere un problema irrisolvibile: quello di consentire lo scambio di dati personali con gli USA, “accusati” di non offrire adeguate tutele ai dati dei cittadini europei che vengono trattati, a vario titolo, da aziende nordamericane. di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech
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Big Tech e geopolitica. Il caso Starlink

Sperimentata sul campo nel conflitto russo-ucraino, Starlink, la rete di comunicazione satellitare appartenente alla galassia societaria che fa capo a Elon Musk, ora potrebbe diventare parte integrante dell’apparato militare giapponese. Big Tech entra a fianco dei tradizionali “defense contractor” a supporto delle relazioni strategiche internazionali USA di Andrea Monti – professore incaricato di Digital Law nel corso di laurea magistrale in Digital Marketing dell’università di Chieti-Pescara Inizialmente pubblicato su Formiche.net Leggi tutto “Big Tech e geopolitica. Il caso Starlink”

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È la monetizzazione della nostra vita, non (soltanto) l’ossessione per “la privacy” ad uccidere la street-photography

L’incarico di compiere un reportage sulle celebrazioni del 4 luglio —l’Independence Day— a Boston, uno dei luoghi simbolo della storia nordamericana, mi ha dato l’occasione per riflettere sui guasti e sul danno oramai permanente provocati al fotogiornalismo “di strada” dall’isteria per la “privacy” e dallo sfruttamento spregiudicato dei dati individuali da parte di BigTech in nome del principio “meglio chiedere scusa che permesso” di Andrea Monti – Inzialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “È la monetizzazione della nostra vita, non (soltanto) l’ossessione per “la privacy” ad uccidere la street-photography”

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L’AI e l’escalation a livello globale del dossier Taiwan

La convergenza di criticità storiche dell’industria tecnologica, delle questioni irrisolte a livello unionale e delle tensioni nell’area indopacifica rischiano di compromettere la sovranità europea sull’AI di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nel corso di laurea magistrale in Digital Marketing dell’università di Chieti-Pescara inizialmente pubblicato su Formiche.net Leggi tutto “L’AI e l’escalation a livello globale del dossier Taiwan”

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The Borderline o YouTube: di chi è la colpa?

L’incidente che ha coinvolto una supercar noleggiata da un collettivo di youtuber romani per riprendere l’ennesima challenge e un’utilitaria nella quale ha perso la vita un bambino di cinque anni ripropone l’ennesima variazione sui temi tragicamente caratteristici dell’economia basata su like e visualizzazioni che spinge a commettere atti sempre più estremi, come nel caso del disastro aereo provocato da uno youtuber nel 2021 che ora lo espone al rischio di una condanna a vent’anni di reclusione di Andrea Monti – inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech

Leggi tutto “The Borderline o YouTube: di chi è la colpa?”

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Le regole sull’intelligenza artificiale lasciano ancora porte aperte

Il testo del regolamento sull’Ai rischia di favorire la corsa di Cina e Stati Uniti lasciando indietro i Paesi comunitari e di creare problemi con la sorveglianza di Andrea Monti – Inzialmente pubblicato su Wired.it Leggi tutto “Le regole sull’intelligenza artificiale lasciano ancora porte aperte”

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Ue e G7, i cavi sottomarini come asset strategico per la sicurezza delle reti

Il conflitto Russo-Ucraino ha evidenziato l’urgenza di controllare anche le infrastrutture di trasporto di energia e dati. I progetti della UE e di Australia, India e Giappone sulla creazione di connessioni sottomarine autonome sono il primo passo verso la messa in sicurezza delle reti internet. Ma i veri nodi rimangono il controllo del trasporto e la Internet Governance di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nel corso di laurea magistrale di Digital Marketing dell’università di Chieti-Pescara – Inizialmente pubblicato su Formiche.net
Leggi tutto “Ue e G7, i cavi sottomarini come asset strategico per la sicurezza delle reti”

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La “Meta-Mega-Multa” e la comprensibile incoerenza dei garanti dei dati personali

La notizia della “Meta-Mega-Multa” di oltre un miliardo di Euro inflitta dal garante per la protezione dei dati personali irlandese alla piattaforma di social networking evidenzia, per l’ennesima volta, l’errore di fondo dell’utilizzo politico della normativa sulla protezione dei dati personali e l’incoerenza delle autorità che hanno il compito di applicarla di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “La “Meta-Mega-Multa” e la comprensibile incoerenza dei garanti dei dati personali”

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Il feticcio della privacy e le polemiche sul riconoscimento facciale

Opporsi all’impiego di tecnologia per garantire la sicurezza perché qualcuno potrebbe abusarne equivale ad affermare di non avere fiducia nelle istituzioni di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato da Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “Il feticcio della privacy e le polemiche sul riconoscimento facciale”

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L’Unione europea mette a rischio il software open source

In arrivo regole sulla sicurezza dei prodotti informatici che mettono a repentaglio il software libero. La Python Foundation invita programmatori e sviluppatori a farsi sentire di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato da Wired.it

Leggi tutto “L’Unione europea mette a rischio il software open source”

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Come i diritti digitali sono diventati una merce di scambio

Lo spiega Andrea Monti nel suo libro The Digital Rights Delusion. Human, machines and the technology of information. Ecco un estratto del quinto capitolo – Inizialmente pubblicato da Wired.it Leggi tutto “Come i diritti digitali sono diventati una merce di scambio”

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ChatGPT fra superstizione e normazione

La notizia dell’azione legale contro ChatGPT promossa da una persona che “lo” accusa di diffamazione è stata ampiamente commentata come ennesimo esempio della “pericolosità dell’intelligenza artificiale” e della “necessità di regole” per “domare la bestia” con ciò implicitamente confermando le “preoccupazioni” avanzate da varie entità pubbliche, in Italia e altrove. La vera notizia, tuttavia, è l’ennesima dimostrazione di quanto illogicità, fideismo e ignoranza possano prevalere contro i fatti, la storia e la ragione di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “ChatGPT fra superstizione e normazione”

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Bloccare ChatGPT è un rimedio peggiore del male

Il “blocco di ChatGPT” è stato disposto il 30 marzo 2023 dall’Autorità garante per la protezione dei dati personali sul presupposto che i dati utilizzati per addestrare il modello siano stati raccolti senza informare le persone cui si riferiscono e senza averne verificato l’età. Questo, si legge testualmente, nel provvedimento espone i minori che utilizzano il servizio “a risposte assolutamente inidonee rispetto al grado di sviluppo e autoconsapevolezza degli stessi”. Il provvedimento, va detto senza mezzi termini, è fortemente discutibile dal punto di vista tecnico, giuridico e culturale. Esso rivela, da un lato la debolezza con la quale le Autorità nazionali di protezione dei dati trattano la materia e, dall’altro, la sostanziale inapplicabilità della normativa “a tutela della privacy”. Infine, innesca un pericolosissimo meccanismo di reciprocità per cui altri Paesi che hanno normative analoghe —fra le quali Russia e Cina— potrebbero utilizzarle come strumento “legale” per colpire soggetti al di qua della nuova Cortina di ferro di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “Bloccare ChatGPT è un rimedio peggiore del male”

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Più che di ChatGPT, dovremmo avere paura di noi stessi

Vengono al pettine i nodi del modello industriale di Big Tech, basato sulla commercializzazione indiscriminata e a tutti i costi di prodotti immaturi per generare utili e profitti il prima possibile, scaricando sulla società conseguenze ed effetti non solo economici ma, e sopratutto, sociali e culturali di Andrea Monti – inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “Più che di ChatGPT, dovremmo avere paura di noi stessi”

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I reati universali fra tutela dell’ordine pubblico e diritto

Il dibattito pubblico su questi due temi soffre di una certa confusione fra il piano politico e quello strettamente giuridico. Inoltre esso evidenzia il permanere di un approccio “pan-penalistico”. Infine, ripropone la narrativa basata sul “ce lo chiede l’Europa” che, in casi del genere, non è del tutto ricevibile di Andrea Monti – Inzialmente pubblicato su Formiche.net Leggi tutto “I reati universali fra tutela dell’ordine pubblico e diritto”

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Meta e il problema della “mercificazione” dei diritti

Il colosso dei social network, dopo aver abbandonato gli nft, deve affrontare le azioni giudiziarie della corte olandese e di Milano in materia di privacy degli utenti che evidenziano le criticità del modello industriale dei colossi tecnologici e la tendenza a considerare i diritti beni che possono essere scambiati di Andrea Monti – inizialmente pubblicato su Wired.it Leggi tutto “Meta e il problema della “mercificazione” dei diritti”

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Meta e Iva: è ora di decidere se i dati personali sono o no un bene economico

Con vent’anni di ritardo, qualcuno si accorge che sulle transazioni a base di dati si dovrebbero pagare le tasse. Ma i temi veri sono la proprietà della (o sulla) informazione e l’urgenza di smettere di credere in “digitale” e “ciberspazio” di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “Meta e Iva: è ora di decidere se i dati personali sono o no un bene economico”

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Quanto sono legali port scan e war driving? Ovvero: sono passati vent’anni, giriamo ancora in tondo

Di recente ha suscitato qualche polemica la risposta che l’Agenzia nazionale per la cybersecurity ha dato a uno spontaneo “segnalatore di vulnerabilità” al quale veniva evidenziato che il modo in cui era stato individuato il “buco” potrebbe avere violato delle norme penali (per di più, vista la natura pubblica della risorsa “attaccata”, anche perseguibili d’ufficio, vale a dire senza che la vittima si lamenti del fatto) di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech

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Il “non-problema” della age-verification

Nel nebbioso mare magnum dei presunti “nuovi problemi” causati dalle piattaforme digitali ogni tanto si intravede, come l’Olandese Volante, la “age verification”, lo strumento invocato per “proteggere i minori” dall’esposizione a “contenuti inappropriati” che però, immancabilmente, crea “problemi di privacy” e dunque va regolato con cautela se non addirittura vietato di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato in Strategikon – un blog di Italian Tech
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D’ognuno disse mal, fuorché di Cristo…

… scusandosi col dir “non lo conosco. L’epigrafe sulla tomba di Pietro Aretino sarà anche stata scritta a metà del XVI secolo, ma è la perfetta descrizione dello stato di inquisizione permanente nato nelle vecchie aree FidoNET e sui newsgroup, cresciuto nelle chat e nei social network e, da qualche tempo, imperante sui media generalisti che lo hanno utilizzato come scappatoia per liberarsi dalla fatica di fare informazione di Andrea Monti – inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech. Leggi tutto “D’ognuno disse mal, fuorché di Cristo…”

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Il caso Cospito e la prevenzione per i reati politici

La vicenda di Alfredo Cospito sembra avere suscitato riflessioni sul rapporto fra le esigenze di prevenzione di pubblica sicurezza e quelle della repressione penale, nel caso di reati commessi per motivazioni ideologiche e non “semplicemente” criminali. Il commento di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nel Corso di laurea magistrale in Digital Marketing dell’Università di Chieti-Pescara, già docente di diritto dell’ordine e della sicurezza pubblica nello stesso ateneo di Andrea Monti – Inzialmente pubblicato su Formiche.net

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ChatGPT e la perdita di conoscenza (di chi lo usa)

ChatGPT è l’ennesimo “trend” che, come blockchain, NFT e i loro derivati, scomparirà presto o tardi dai titoli dei giornali (e dalle qualifiche professionali degli “esperti”). Nel frattempo, si moltiplicano gli allarmi di millenaristi, luddisti, Canuti e catastrofisti che non perdono occasione per vaticinare sui “pericoli per la privacy”, su quelli per la perdita di posti di lavoro causati dall’uso dell’AI per produrre contenuti editoriali, studi e ricerche, e sul “bias” che porta l’AI a proferire “oracoli” inappropriati o non in linea con il politically correct. Non mancano, poi, gli eredi dei “pazienti” di Eliza, il software che negli anni ‘60 del secolo scorso emulava uno psicoterapeuta di scuola Rogeriana, che pongono a ChatGPT domande esistenziali stupendosi delle risposte e i “furbi” che ricorrono a piattaforme del genere spacciando per propri i risultati dell’elaborazione automatizzata (siano essi testi, immagini o suoni) di un tema di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech Leggi tutto “ChatGPT e la perdita di conoscenza (di chi lo usa)”

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