Dopo l’ ordinanza del Consiglio di Stato sulla somministrabilità off-label dell’idrossiclorochina, un’altra iniziativa della magistratura dimostra l’effetto della scarsa dimestichezza dei poteri pubblici con la razionalità, prima ancora che con il metodo scientifico. Il prezzo da pagare è il ritardo nella campagna vaccinale e l’aumento della diffidenza verso i vaccini di Andrea Monti – Originariamente pubblicato da Scienza in Rete
Nelle ultime tre settimane due lotti del vaccino AstraZeneca sono stati sequestrati per ordine di due procure della Repubblica. Prima quella di Siracusa che, come informa il Ministero della salute, ha proceduto “in via cautelativa al fine di procedere alle opportune analisi cliniche per confutare la pericolosità del farmaco.” Poi la procura di Biella che ha ipotizzato il reato di omicidio colposo per via della morte di una persona avvenuta un giorno dopo la somministrazione del farmaco.
Il 31 marzo 2021, a una settimana dal sequestro, la Procura di Biella ha dissequestrato parzialmente i lotti che aveva bloccato mentre a oggi non ci sono aggiornamenti dalla Procura di Siracusa.
Questi sequestri sono l’ennesimo frutto dell’applicazione irrazionale del principio di precauzione, dell’avere equiparato il post hoc al principio di causalità, e del rifiuto di accettare il fatto che i vaccini, come tutti i farmaci, possono essere pericolosi e anche letali ma non per questo somministrarli significa compiere un reato.
Cominciamo da quest’ultimo punto: un farmaco può essere intrinsecamente letale in una determinata percentuale rispetto al numero delle somministrazioni. È un rischio noto e dichiarato nella procedura di approvazione da parte delle autorità sanitarie. In assenza di altri elementi, se la morte avviene “per colpa” del farmaco non può esserci reato. Di conseguenza, anche se fosse provato il nesso causale fra la somministrazione e la morte sequestrare interi lotti di vaccini non avrebbe alcun senso.
A maggior ragione non è possibile sequestrare interi lotti di vaccini sulla base della sola contestualità temporale perché, a meno di non avere altri elementi, non si può configurare, nemmeno astrattamente, un reato. Affermare questo principio significa sostituire il principio di causalità con il post hoc come criterio di attribuzione della responsabilità penale. Coerentemente, allora, dovrebbe essere avviata un’indagine ogni volta che qualcuno muore dopo avere immesso nel proprio organismo qualsiasi sostanza estranea – come il cibo, per esempio. È evidente che un ragionamento del genere non ha fondamento. Di conseguenza, non si può invocare il principio di precauzione per giustificare la scelta di sequestrare che, in realtà, non ha un fondamento razionale.
Per capire il senso di questo ragionamento è necessario ricordare che la magistratura penale può disporre un sequestro soltanto in tre casi: garantire il risarcimento dei danni e il pagamento delle spese del processo, necessità di acquisire prove per identificare l’autore di un reato, necessità di evitare il protrarsi di un reato o evitare la commissione di altri. Nel primo caso si parla di “sequestro conservativo” che, evidentemente, non è rilevante nel caso che stiamo esaminando. Nel secondo (gestito direttamente dal pubblico ministero) si parla di “sequestro probatorio”. Nel terzo (che richiede l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari) si parla di sequestro preventivo.
Esclusa l’ipotesi del sequestro preventivo (che si porrebbe, per rimanere in ambito farmacologico, per impedire la diffusione di farmaci adulterati), rimane quella del dover raccogliere prove a sostegno di un’accusa. Ma di quale?
Se – almeno così scrivono i mezzi di informazione – il procedimento penale di Biella per omicidio colposo è stato aperto sulla base di una mera contestualità temporale, non c’è alcun elemento per ipotizzare l’esistenza di un delitto e dunque nemmeno del principio di precauzione per giustificare il sequestro di tutte le dosi contenute in un lotto. Potrebbero, infatti, esserci stati dei sospetti sulle modalità concrete di conservazione o preparazione di quella specifica dose. Oppure il pubblico ministero avrebbe potuto ipotizzare una colpa medica grave per avere sbagliato l’anamnesi del paziente. Oppure ancora sarebbe stato possibile ipotizzare una responsabilità penale per non avere adottato delle misure di controllo adeguate e successive alla somministrazione. Ma da questo non si sarebbe potuta dedurre la necessità di sequestrare centinaia di migliaia di dosi, se non in nome della irrazionale convinzione che un farmaco deve essere innocuo e se non lo è vuol dire che qualcuno è responsabile “a prescindere” degli effetti che provoca.
Per quanto preoccupante, la carenza di logica del caso Biella è molto meno marcata rispetto a quella del ragionamento che ha sostenuto il sequestro dei vaccini disposto dalla procura di Siracusa.
Innanzi tutto, si legge nel comunicato del Ministero della Salute, viene esclusa la “correlazione diretta” fra somministrazione del farmaco e decesso. Ma il termine “correlazione diretta” è usato surrettiziamente come sinonimo di nesso causale e non nel suo significato proprio di ambito statistico. In secondo luogo, anche a voler far finta di non vendere la sostituzione semantica operata sulle parole “correlazione diretta”, nel caso specifico il Ministero della salute dà atto che per la procura di Siracusa non ci sono elementi per pensare che sia stato commesso un reato. Avere disposto il sequestro è chiaramente un non sequitur: senza reato, non ci sono elementi di prova da acquisire.
Infine, è paradossale – a voler usare un eufemismo, la motivazione riportata dal Ministero della salute per giustificare l’accaduto: il sequestro non era necessario per indagare su un reato ma per eseguire “opportune analisi cliniche per confutare la pericolosità del farmaco”. È un’affermazione difficilmente sostenibile. La farmacovigilanza non è un compito della magistratura penale e in ogni caso il pubblico ministero deve semmai dimostrare che un farmaco è pericoloso nonostante sia stato autorizzato e mandare a processo i responsabili.
In breve, entrambi i sequestri disposti dalle procure piemontesi e siciliane sono privi di fondamento e hanno rallentato la campagna vaccinale. Siccome tuttavia il diritto, a differenza della velocità della luce, si decide per alzata di mano, è sempre possibile che a fronte della palese mancanza di logica di queste decisioni venga trovata una giustificazione “tecnico-giuridica” a loro sostegno a prescindere dalle conseguenze negative sul contrasto alla diffusione del coronavirus.
D’altra parte, è noto dai tempi del diritto romano che una sentenza facit de albo, nigrum.
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