Sentenza del Tribunale di Torino 20 aprile 2000
Tribunale ordinario di Torino
Sentenza
(Art. 544 e segg., 549 cpp)
Repubblica italiana
in nome del popolo italiano
il giudice in funzione monocratica dott. Giorgio Zanetti sezione dibattimento alla udienza è il 20 aprile 2000 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
sentenza
nei confronti di
Tizio nato a______ il_______ res ______ via __________ dom ex Art. 161 cpp in ______ via ________
libero presente
imputato
del reato di cui agli artt. 81 cpv cp, 171 bis legge 633/41, perché l’esecuzione di un medesimo disegno criminoso, traendo in inganno i dipendenti della ditta zzz cui era amministratore unico, mettendo a disposizione i programmi per elaboratore in seguito indicati (per il valore complessivo di circa lire 34 milioni) permetteva l’abusiva duplicazione degli stessi a fini di lucro.
PhotoShop 3.0 (prod Adobe Sys), Photo Styler (prod Adobe Sys), AutoCAD (prod Autodesk), Turbo C + + 4. 5, XTree Goldfor Windows 4. 0 (prod Central Point), Corel Draw 5. 0 (prod Corel), WinFax pro 3.0 (prod Delrina Tech), Multiedit 6. 0 (Eurpean Cyb), XTree Gold 4. 0 (prod Executive Sys), Disk Copy 2.11 (prod. J. Feise), Italiana Assistant (prod. Global Link) Organizer 1.0 (prod. Lotus) Organizer 1.1 (prod. Lotus) Quick EDM 3.13 Silver (prod. Maro snc) MathCad 5.0 (prod Mathsoft), ABC Flowcharter (prod. Micrografx) Excel 5.0 (prod. Microsoft) Project 3.0a (prod Microsoft) Microsoft Winword 6.0c (prod. Microsoft) Publisher 1.0 (prod. Microsoft) Visual C++ 4.0 (prod. Microsoft) Office 4.3 Pro (prod. Microsoft) publisher 2.0 (prod. Microsoft), F-Prot Professional 2.21 (prod. Symbolic) Win rw 714 (prod Trend Micro Device)
in__________ tra aprile 1995 e ottobre 1996
Contestazione così modificata ex Art. 516 cpp all’udienza del 26 gennaio 2000.
Con l’intervento del pubblico ministero dott. Calice e degli avvocati Claudio Morra e Roberto Calleri entrambi difensori di fiducia le parti hanno concluso come segue pubblico ministero: assoluzione difesa: assoluzione perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato
Motivi della decisione
Tizio era tratto a giudizio per il reato ex articolo 81 capo verso cp 171 bis legge 633/41 con decreto 26 gennaio 1999 della giudice per le indagini preliminari presso la pretura circondariale di Torino ha seguito di dell’estiva opposizione, proposta il 22 gennaio 1999 ha perso il decreto penale 10 novembre 1998 notificato il successivo 7 gennaio 1999, con cui era stata irrogata al prevenuto, per l’illecito in esame, la pena di lire 6.900.000 di multa, parzialmente applicata in sostituzione di pena detentiva con la non menzione. Cosa indicava successivamente, nei modi diritto, il nominativo di alcuni testi e di due consulenti da esaminare su circostanze specificamente enunciate, chiedendo autorizzarsene la citazione, assentita dall’ufficio. Al dibattimento presenziava l’imputato ed era revocato l’opposto decreto penale. In sede di esposizione introduttiva, previa integrazione del fascicolo dibatimentale mediante inserzione del verbale di atti irripetibili, pubblico ministero si richiamava alla contestazione e chiedeva l’esame dei soggetti indicati in lista non che del prevenuto, offrendo le produzioni dettagliate a verbale. La difesa, dal canto suo, e chiedeva anche essa l’esame del proprio assistito, riservandosi il controesame dei soggetti ex adverso indicati e offrendo la documentazione specificata a verbale. Ammesse le prove si procedeva, anzitutto, all’audizione dei due consulenti del pubblico ministero ingegneri Porta Roberto Vinardi Fabrizio, dopo il cui esame era acquisita la relazione scritta dai medesimi stilata. Erano poi sentì di i testi d’accusa Primo, Secondo, Terzo, Quarto, Quinto, Sesto e Settimo, tutti i dipendenti della ditta zzz. A Primo, Secondo e Sesto era contestato il difforme tenore di dichiarazioni rese durante le indagini preliminari di cui verbali erano acquisiti agli atti da ultimo era ascoltato l’ulteriore teste di accusa Todesco Gianfranco appartenente alla sezione polizia giudiziaria procura della Repubblica e operante accertamenti sui fatti di causa a questo punto il pubblico ministero provvedeva ex Art. 516 cpp a modificare la contestazione originaria conformemente al tenore riportato in epigrafe, la Difesa chiedeva termine, spirato il quale, non risultando avanzate istanze istruttorie di sorta, venivano indicati alle parti gli elementi che sarebbero stati utilizzati per la decisione e le si invitava alla discussione.
In esito al pubblico, orale dibattimento uditi il pubblico ministero e i difensori che hanno concluso come in epigrafe prescritto si osserva quanto segue.
L’ipotesi d’accusa non è stata adeguatamente suffragata dall’istruttoria dipinta. La contestazione originaria rilevata nei confronti del prevenuto si fondava su una ricostruzione dei fatti i termini di immediata riconducibilità allo stesso dell’attività di duplicazione a fini di lucro dei programmi dettagliati nel decreto dispositivo del giudizio, siccome attuata dal tizio, se non materialmente, in forza di sue direttive agli esecutori materiali. Per inciso, rappresenta dato pacifico in causa, la veste di amministratore unico della zzz attribuita all’odierno imputato nel decreto dispositivo del giudizio, veste sicuramente compatibile con l’emanazione di ordini direttive nei confronti dei dipendenti. Orbene, l’istruttoria svolta ha confermato che effettivamente, in ambito aziendale, erano utilizzati programmi abusivamente duplicati. Al riguardo basti, precipuamente, il tenore del verbale di sequestro inserito ab origine nel fascicolo dibattimentale non che le dichiarazioni dei testi e quelle dei consulenti della pubblica accusa, reiterative in questa sede di quanto enunciato nella relazione scritta appositamente stilata e acquisita agli atti. Risulta in particolare dalla verbale di sequestro e presso i locali dell’impresa si rete via 1, fra l’altro, 140 floppy disk di varie capacità, un CD-ROM, due altre liste numerose directory installate 13 personal computer. Su tali supporti informatici venivano rinvenuti dai consulenti i programmi dettagliati nella loro relazione scritta (con le precisazioni di cui alla relazione aggiuntiva) per i quali impresa non fu in grado di esibire regolare licenze o fattura d’acquisto. Taluni almeno di detti programmi risultarono, sulla scorta dei dati estrapolabili, di frequente utilizzo e congrui rispetto all’attività aziendale. Appare ovvio, alla luce della riscontrata carenza di documentazione legittimante, che la disponibilità dei programmi di cui si è detto derivava necessariamente da una duplicazione non autorizzata dal titolare del relativo diritto. Sul piano oggettivo, dunque, uno dei profili fattuali della contestazione risulta provato. Viceversa non è stata provata in causa, nemmeno a seguito dell’audizione dei numerosi dipendenti o ex dipendenti della zzz indicati come testi, una diretta attivazione dell’imputato volta a pubblicare personalmente o a disporre la duplicazione da parte dei sottoposti ovvero di terzi collaboratori dei famosi programmi. . Non solo nessuno dei soggetti esaminati ha potuto riferire di avere notato il prevenuto occuparsi direttamente di simili incombenti o vero impartire istruzioni di sorta al riguardo, ma più testi hanno dichiarato che in generale Tizio non si occupava affatto del settore informatico latamente inteso, salvo non ricorressero peculiari esigenze di approvvigionamento di supporti apprezzabilmente costose nel qual caso lo si interpellava onde ottenere l’assenso alla spesa (cf stazione quarto).
Osserva, d’altro canto, l’ufficio che lo spessore non esiguo della compagine aziendale quale documentato dalle produzioni delle parti e l’incarico di vertice dell’imputato rendevano per sè poco probabile una sua personale ingerenza nella materiale attività di duplicazione abusiva, mentre quanto all’emanazione di direttive verbali in proposito (dovendosi ragionevolmente escludersi l’ipotesi di direttive scritte) essa non sarebbe potuta sfuggire ai dipendenti esaminati come testi e sforniti soprattutto quelli non più alle dipendenze della zzz di qualsiasi plausibile movente per una falsa deposizione. Al dibattimento è emersa, come si è visto, una situazione di scarsa strutturazione del servizio relativo all’approvvigionamento del materiale informatico sia l’uso dello stesso, tale per cui il personale a volta interessato si rivolgeva come referenti ai colleghi o al diretto superiore o all’ufficio acquisti; solo in casi eccezionali era coinvolto Tizio mentre, circa l’uso di supporti informatici già esistenti in ditta, i dipendenti avevano normalmente in dotazione dei PC ed era invalsa la prassi di prelevare direttamente floppy disk sparpagliati i locali dell’impresa o quant’altro necessitasse momentaneamente per il lavoro dei singoli, provvedendosi talvolta personalmente all’installazione di particolari programmi sui cennati PC (cfr. dep. Primo, Secondo, Terzo Quarto, Quinto).
Nessun controllo era operato in merito quale installazione, da parte dei sottoposti, i programmi in loro possesso su di supporti informatici sindacati mentre nei locali operavano dei consulenti esterni i quali, a loro volta, ricavano plausibile mentre si con il materiale di cui necessitavano e ivi lo utilizzavano seguendo, peraltro, anche di supporti loro riservati dall’impresa (cf sul punto le circostanze di fatto evidenziare nella relazione aggiuntiva dei consulenti del pubblico ministero, in cui si fa menzione di una simile prassi, parzialmente accertata).
Sulla scorta dei costituti sunteggiati appare per nulla inverosimile che il compendio incriminato fosse frutto dell’operato di soggetti diversi dall’imputato e in assenza di specifiche direttive al riguardo tizio. Ciò tanto più in quanto non è stato acquisito un elemento tale da comprovare la finalità di una successiva commercializzazione da parte della zzz, dei programmi duplicati giacenti in azienda. Proprio in base a tali considerazioni della pubblica accusa ha provveduto a modificare, in corso di dibattimento, la contestazione originaria abbandonando l’impostazione iniziale che vedeva nella novella, come si è detto, l’autore materiale delle abusive duplicazione (o comunque il soggetto propulsore in forma diretta delle medesime mediante dire che ordini ai dipendenti) e abbracciando viceversa la ricostruzione dell’operato di costui in termini di maliziosa induzione in errore dei dipendenti stessi tramite la messa a disposizione incontrollata di programmi vari finalizzata proprio a promuovere una inconsapevole duplicazione abusiva di programmi stessi da parte degli ignari sottoposti ( beninteso nell’interesse aziendale) In tal modo va riguardata la menzione dell’articolo 48 cp nella contestazione modificata il cui tenore, d’altro canto, milita inequivocabilmnete nel senso dianzi prospettao. Per quel che concerne la mancata prova di una divisata da negoziazione “esterna” e i programmi abusivamente duplicati, il pubblico ministero ha invece affermato come, a suo avviso, il fini di lucro postulato dalla norma incriminatrice debba pur sempre ravvisarsi laddove tale pubblicazione, benché non preordinata a fini di commercializzazione a soggetti terzi, trovi motivo nel risparmio di costi che ne consegue per il suo autore, ovviamente esonerato dall’acquisire in forme legittime la disponibilità di sì fatti programmi. Al riguardo la pubblica accusa ha evidenziato che nella specie programmi oggetto della riscontrata duplicazione erano in larga misura utilizzabili eo utilizzati per l’attività aziendale, tanto che i propri consulenti avevano quantificato un approssimativo risparmio di costi per quest’ultima, pari a circa dire 30 milioni. Proprio in conseguenza di ciò sarebbe ravvisabile lo scopo di lucro e al contempo apparirebbe suffragato il coinvolgimento di Tizio quale unico soggetto che per la veste istituzionale aveva interesse alla duplicazione illecita.
Orbene, ritiene il giudicante che mentre possa recepirsi l’impostazione dell’accusa quanto al significato della locuzione “scopo di lucro” non sia invece emersa come anticipato, prova sufficiente della sussistenza in capo a Tizio del peculiare elemento psichico necessario per l’integrazione della fattispecie siccome descritta nel capo di imputazione con cui occorre confrontarsi.
Quanto alla prima problematica non è in grado ritrarre un criterio ermeneutico di natura generale in virtù del quale, nel nostro ordinamento lo scopo di lucro sia identificabile sicuramente con la sola locupletazione immediata e non anche con il profitto ritraibile da un risparmio di costi siccome ordinariamente finalizzato, nell’ottica imprenditoriale, a diverse forme di investimento. Laddove i fatti in discussione si verifichino in ambito imprenditoriale e comportino un apprezzabile risparmio per l’imprenditore sembra disagevole affermare che non sia soddisfatto il fisiologico scopo di lucro che informa l’attività di quest’ultimo proprio in ragione dell’elemento unificante che caratterizza la globale attività del soggetto che opera economicamente nelle forme predette. Nè l’accezione lessicale del vocabolo “lucro” fornisce la risposta caldeggiata dalla difesa.
Disattesa pertanto la più radicale tisi difensiva va evidenziato, circa l’elemento psichico del reato in discussione, che pur abbandonata l’impostazione originaria di un coinvolgimento, per così dire, immediato tizio (coinvolgimento sicuramente indimostrato, (come riconosciuto dallo stesso organo dell’accusa) occorrerebbe pur sempre la prova di un dolo diretto e intenzionale del prevenuto orientato a apprestare una situazione di fatto incentivante all’abusiva duplicazione da parte dei sottoposti in buona fede. Il delitto in esame è in vero un reato doloso, per di più a dolo specifico, per cui anche il soggetto che inducendo in errore l’ agente materiale abbia cagionato l’integrazione del profilo obiettivo dell’illecito occorrerebbe individuare lo stesso elemento psichico (cf cassazione penale sezione sesta 26 giugno 1996 n. 6389, 10 gennaio 1996 n. 607). E ciò si aggiunge, appare tanto più significativo nel presente caso, dove l’induzione in errore sarebbe il frutto come si è visto di una maliziosa condotta di preordinazione da parte Tizio e non di quella mera, accettazione del rischio che caratterizza il dolo eventuale. È ben vero che la prova dell’elemento psichico del reato riguardante l’atteggiarsi del foro interno dell’agente è una prova precipuamente logica; ma nella specie non sussistono elementi univoci da cui ritrarre l’appagante convinzione che Tizio sapesse della situazione (la quale, secondo l’impostazione accusatoria, sarebbe addirittura stata frutto di una capziosa predisposizione da parte sua o comunque di una sua callida tolleranza) e intendesse sfruttarla a proprio favore. Si è già detto che la veste dell’imputato, le dimensioni dell’impresa e la sua strutturazione erano tali da non poterne far discendere l’inevitabile consapevolezza in capo al prevenuto della situazione esistente (disponibilità dettagliata di programmi per uno duplicazione abusiva). Tale consapevolezza, come si è visto, neanche potrebbe farsi derivare in via logica da specifici interventi riguardo di cui non vi è prova. In sostanza dovrebbe ricondursi alla sola inerzia dell’imputato nel disciplinare la gestione del servizio di approvvigionamento e uso di supporti informatici e al vantaggio (peraltro economicamente contenuto) derivante all’impresa dall’utilizzo ad opera dei dipendenti di programmi abusivamente duplicati, la prova circa l’originario perseguimento da parte di tizio degli scoppi anzidetti. Siffatta ricostruzione appare però sfornita di adeguato supporto sol che si consideri, ad esempio, come l’elemento indiziario rappresentato dall’utilità per l’impresa discendente da risparmio di costi non sia punto univoco. Anche altri soggetti, segnatamente il dipendenti e i collaboratori esterni ben potevano ritrarre una personale utilità dall’ eventuale attività di duplicazione abusiva, non foss’altro che per la razionalizzazione dei rispettivi lavori. Nè sembra che deriva di rilievo a circostanza, già evidenziata, che non tutti programmi abusivamente duplicati erano utilizzabili e/o utilizzati per l’attività della zzz, potendo farsi discendere proprio da ciò considerazioni sul piano logico circa l’estraneità della compagine -e del suo amministratore- alle iniziative concernenti la duplicazione abusiva ovvero a una consapevole tolleranza riguardo alla formazione di un “archivio” di programmi duplicati.
Si badi, da ultimo, che la natura comune e non propria del reato di cui si discute impedisce di addebitare all’imputato una responsabilità penale derivante da una posizione di garanzia in merito all’osservanza ad opera dei sottoposti della normativa in materia e comunque laddove pur egli fosse stato onerato da una simile responsabilità, l’omesso controllo non equivarrebbe per sé solo ad una manifestazione di quel dolo intenzionale postulato dalla norma incriminatrice.
In sostanza difettando prova adeguata dell’elemento psichico dell’illecito in oggetto, Tizio va assolto ex articolo 530 comma secondo cpp perché il fatto non costituisce reato
PQM
visto l’articolo 530 cpp assolve l’imputato dall’addebito ascrittogli perchè il fatto non costituisce reato
Torino 20 aprile 2000
il giudice
dott. Giorgio Gianetti
depositata in cancelleria il 5 maggio 2000
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