di Nicola Battista – djbatman@olografix.org
I was in the pub last night, and a guy asked me for a light for his cigarette. I suddenly realised that there was a demand here and money to be made, and so I agreed to light his cigarette for 10 pence, but I didn’t actually give him a light, I sold him a license to burn his cigarette. My fire-license restricted him from giving the light to anybody else, after all, that fire was my property. He was drunk, and dismissing me as a loony, but accepted my fire (and by implication the licence which governed its use) anyway. Of course in a matter of minutes I noticed a friend of his asking him for a light and to my outrage he gave his cigarette to his friend and pirated my fire! I was furious, I started to make my way over to that side of the bar but to my added horror his friend then started to light other people’s cigarettes left, right, and centre! Before long that whole side of the bar was enjoying MY fire without paying me anything. Enraged I went from person to person grabbing their cigarettes from their hands, throwing them to the ground, and stamping on them.
Strangely the door staff exhibited no respect for my property rights as they threw me out the door.
–Ian Clarke
Un curioso aneddoto presente su http://www.gnutella.com, narra di un tizio che, trovandosi in un pub, si sente chiedere la classica frase “ehi, hai da accendere?”. Il tizio, sfruttando anche il fatto che il suo interlocutore aveva alzato un po’ il gomito, gli propone: “ok, accenderò la tua sigaretta in cambio di 10 pence, ma questi 10 pence non sono da intendersi come costo del fuoco, bensì come l’acquisto di una licenza per accendere la sigaretta”. Il signore ubriaco è ben lieto di pagare ed aderire alla curiosa offerta.
Però, quando subito dopo questi con la propria sigaretta accesa a sua volta accende quelle di altri avventori, il primo tizio si inalbera perchè stanno “piratando il suo fuoco”.
Così questi corre per tutto il locale strappando via le sigarette che abusivamente utilizzavano il “suo” fuoco (!) ma finisce per essere buttato fuori dal locale.
Questa storiellina non è altro che una gustosa metafora di quanto sta accadendo al copyright (in particolare per il settore musicale) da quando esiste una rete chiamata Internet.
I titolari di diritti d’autore possono inalberarsi finchè vogliono, ma nulla sembra fermare la proliferazione di copie del loro “fuoco”, pardon, delle loro creazioni, tra i netsurfer.
Di come la presenza massiccia di musica in Internet stia influenzando i gusti e le abitudini degli ascoltatori e degli acquirenti dei tradizionali supporti audio, si parla ormai fin troppo.
MP3 non è più un termine noto solo a pochi “smanettoni”, ed è per fortuna anche passata la fase della criminalizzazione in cui MP3 era sinonimo di pirateria (non molto tempo addietro le lobby discografiche americane, che poi equivale a dire il gruppetto delle 4 o 5 major mondiali, avevano tentato persino di far dichiarare illegale il puro e semplice formato dei file, che invece si presta a infiniti utilizzi più che leciti…).
Ma al momento, ciò di cui si parla diffusamente e spesso a sproposito (telegiornali e quotidiani nazionali inclusi) è il software utilizzato per lo scambio dei file audio, più che il formato stesso dei file.
Tra tutti, clamoroso è il fenomeno Napster, che nel giro di un anno circa è passato dall’essere un programmino per (relativamente) pochi utenti a una fenomenale rete di scambio con un bacino di utenti stimato in circa 20 milioni di unità, braccato dal giudice Patel di San Francisco, che vuole mettere uno stop al servizio.
C’è da dire che se da un lato esistevano già siti legali per distribuzione di musica, con un’audience piuttosto vasta e magari la presenza anche di materiale di personaggi famosi, talvolta gratis, altre volte a pagamento (il più famoso di questi resta sempre il prestigioso Mp3.com), lo “scambio” di mp3 mediante speciali utility non era una prerogativa di tali servizi, che generalmente si presentano come siti web con brani ascoltabili e spesso anche scaricabili gratis, talvolta con l’aggiunta di materiali che gratuiti non sono (brani aggiuntivi esclusivamente per la vendita, cd audio e così via).
Napster, in questo senso, ha occupato in rete la nicchia che nel campo della fruizione “tradizionale” di musica era rappresentata (e in buona parte lo è tuttora) dallo scambio di registrazioni casalinghe.
Questo ha causato dei problemi, proprio come ai bei tempi qualcuno tuonò contro la vendita di registratori e di cassette vergini e più in là contro le doppie piastre che permettevano di duplicare ancor più rapidamente i nastri stessi, con un danno (?) per i titolari dei diritti d’autore delle opere pubblicate.
Il problema delle cassette delle cassette era stato risolto anni fa in America dichiarando legale la pratica dell'”home taping” senza fini di lucro e tassando in origine il supporto vergine per compensare i detentori di copyright; nel caso di Napster non esiste un supporto vergine da tassare e non si vede su cosa si potrebbe eventualmente scaricare tale costo di compensazione (il costo dell’hard-disk? La connessione stessa a Internet?).
Ma andiamo con ordine, e passiamo ad esaminare alcuni programmi e servizi online, che nel bene e nel male stanno facendo parlare di sè, e cerchiamo di delineare – se possibile, vista la rapidità con cui i cambiamenti sono finora avveuti – uno scenario per il futuro della musica in rete e non solo.
Napster
http://www.napster.com
Almeno al momento in cui scriviamo, il principe di tutti i software legati alla musica in rete; ammesso però che il programma, oggi prodotto da Napster Inc. e originariamente ideato dallo studente universitario Shawn Fanning nel gennaio 1999, sopravviva alla tremenda bufera giudiziaria che gli si sta tuttora abbattendo addosso.
Napster non è un sito web da cui scaricare musica più o meno legale; non ci sono server centrali nei quali stipare le decine di migliaia di megabyte di audio compresso che attraversano regolarmente la rete.
Il sistema è semplicissimo: similarmente alle utility per chattare (come ICQ, per esempio) i server hanno la sola funzione di mettere in contatto i singoli utenti tra loro.
Una volta avvenuto tale contatto, può esserci lo “scambio”, effettuato con il materiale che si trova nell’hard-disk dell’utente che è al momento online.
Tutto ciò da un lato significa instabilità assoluta, nessuna forma di “controllo” centrale e affidabilità praticamente zero per il livello di connessione (vi potrebbe capitare di trovare quella rarissima registrazione di jazz che cercavate da decenni, ma di non riuscire a scaricarla perchè si trova sul PC di un ragazzino che ha un modem a 28.800 bps piuttosto che una connessione via cavo e quindi vi arrivano solo pochissimi bit per volta).
Dall’altro, comunque, la possibilità di accedere a una rete globale sempre in ebollizione e dal contenuto potenzialmente illimitato.
Effettuando ricerche sul nome dell’interprete o sul titolo del brano, vi potrà capitare di trovare anche decine di copie dello stesso brano (sui PC di diversi utenti e con magari con diverse velocità di connessione) o ancora brani rari dei quali non sospettavate l’esistenza (non è difficile imbattersi in versioni live, magari estratte da cd bootleg pubblicati solo in certi paesi, o in brani convertiti da rari vinili di qualche decennio fa, da tempo fuori commercio).
Inoltre, potete crearvi (ancora una funzione chiaramente ispirata ad utility tipo ICQ) una lista di utenti “amici” (Hotlist) che possiedono materiale interessante, così da poter verificare quando le persone incluse nella lista sono onlinee scaricare il materiale in loro possesso. Ma abbiamo parlato di “scambio”: infatti, all’apertura del programma, Napster cercherà nel vostro PC e costruirà una “library” dei brani mp3 disponibili, così da metterli a disposizione degli altri utenti.
Pertanto, vi potrà capitare di avere persone che scaricano musica dal vostro computer mentre voi ne scaricate dal loro, o da quelli di altri utenti collegati.
A questo punto ci si chiederà: perchè le case discografiche hanno dichiarato guerra a Napster?
La risposta è molteplice ed articolata, e va detto che non sono solo le major a prendersela con Napster, ma anche etichette indipendenti, talvolta molto piccole, e persino singoli artisti indipendenti talvolta privi di contratto.
Napster, nato come strumento di scambio di file, non può essere criminalizzato in quanto tale. Dopotutto, teoricamente, potrebbe essere usato per scambiare altri tipi di file, mentre si potrebbero far circolare mp3 in mille altri modi, mediante IRC, ICQ o altri tipi di chat; via posta elettronica (avendo una connessione veloce); con siti FTP che magari appaiono e scompaiono (proprio come fanno gli spacciatori di “warez”, le copie illegali di software commerciali); con siti web più o meno pubblicizzati o persino postandoli “a pezzi” nei newsgroup. E ovviamente masterizzandoli in cd-rom.
Ma Napster, con la sua facilità d’uso e la sua mancanza totale di controlli (per non parlare dell’anonimato: basta avere un nome utente e una password per entrare; se si viene buttati fuori dal sistema ci si ricrea un’identità differente e si rientra tranquillamente…) è passato dall’essere un’utility per scambio di materiale per appassionati a una enorme rete dove copie non autorizzate di brani musicali circolano e proliferano liberamente.
Secondo stime presentate dalla RIAA (la Record Industry Association of America, ossia l’associazione di categoria delle major discografiche), oltre il 70% del materiale che circola in Napster è costituito da brani di proprietà delle major stesse.
Questi termini possono sembrare esagerati e in un certo senso forse lo sono (in Napster circolano anche migliaia di brani di gruppi ed etichette indipendenti, privi di alcun legame con le major) ma c’è da dire che questo software non è percepito dalla maggior parte degli addetti ai lavori come spazio promozionale per artisti indipendenti, né per distribuzione di materiale “free” o addirittura “no copyright”.
Perchè mai ad esempio il sottoscritto (che si diletta a fare musica) dovrebbe affidarsi a Napster, in cui i brani spesso circolano troncati o danneggiati, con nome dell’artista e titolo spesso modificati o rimossi, nessuna garanzia dal punto di vista SIAE e simili associazioni (mentre siti come Vitaminic o Mp3.com, almeno teoricamente, versano regolarmente diritti di pubblica esecuzione e/o di riproduzione meccanica alle società di autori competenti nel territorio di appartenenza) e senza poter dire a chi scarica che magari ci sono altri brani gratuiti a disposizione, o un cd in vendita, o poter presentare una scheda biografica dell’artista, qualche immagine, un contatto per e-mail (tutti “bonus” che non solo fanno bene all’artista, ma che anche il netsurfer casuale potrebbe gradire, una volta deciso che il primo brano scaricato meritava l’ascolto)?
Così, se da un lato le mega-cause intentate da RIAA e altri soggetti di rilievo (tra gli altri il più importante sito per la vendita di MP3 autorizzati, www.emusic.com, e lo stesso Mp3.com, a sua volta bersaglio della RIAA in altra sede!) sembrano limitarsi alla rozza minaccia “dammi un pacco di soldi o ti faccio chiudere, perchè mi stai danneggiando” (il che è tutto da provare: pare invece che da quando Napster sia entrato a regime le vendite di cd audio negli Stati Uniti abbiano avuto un boom), altri soggetti che magari in proporzione hanno subito danni potenziali meno rilevanti, stanno cercando di far valere le proprie ragioni verso la Napster Inc., magari semplicemente per vedere tutelati i propri diritti morali di pubblicare musica (anche completamente gratis) solo su certi siti e a certe condizioni (ossia con una degna presentazione data ad esempio da una pagina web, e così via).
Tra l’altro anche in Italia un gruppo di indipendenti si sta attezzando per una causa su basi ben diverse da quelle delle major.
Ci sono poi i gruppi e gli artisti che (magari in cerca di pubblicità a buon mercato) hanno tuonato contro Napster (Metallica, Dr.Dre; spesso col solo ricultato di inimicarsi i propri stessi fan) mentre all’opposto qualche furbo collega (i Limp Bizkit) addirittura è arrivato a essere sponsorizzato dal diabolico software.
C’è inoltre da far notare qualcosa di perlomeno sinistro: da un lato, la società Napster Inc. – a differenza di Mp3.com e di altri soggetti, come vedremo oltre – manca di un qualsivoglia “business model”; in pratica: con che dovrebbe campare tale società, visto che la musica (spesso “pirata”) che distribuisce è a titolo gratuito, e dato che gratuito è pure il software?
Dall’altro, la stessa Napster Inc. ha di recente ricevuto finanziamenti astronomici da un importante gruppo di investitori.
Nessun imprenditore serio investe in attività illecite e/o improduttive; qual’è allora il segreto di Napster?
Qualche tempo fa si vociferava di una possibile trasformazione in servizio a pagamento, con un canone simile a quello di una pay-tv per accedere alla musica.
Ma voi paghereste per vedere una tv pirata che trasmette programmi scadenti, senza i titoli e magari tagliandone il finale, e il cui contenuto varia in maniera casuale senza possibilità per l’utente di scegliere cosa vedere? Certamente no.
Un’altra soluzione ventilata potrebbe essere un pagamento agli aventi diritto in qualche modo (mediante banner pubblicitari e/o cedendo loro quote della società).
Ma tutto è ancora in fase di studio; sul sito Napster c’è però un piccolo indizio: da qualche tempo la società ha pubblicato alcuni annunci di lavoro. Uno di questi si riferisce nello specifico ad una persona esperta di industria discografica, che possa trattare il licensing di materiale coperto da copyright dagli aventi diritto.
Ultima curiosità: non esiste una versione ufficiale di Napster per Macintosh (tuttora in via di sviluppo), ma ne esiste un clone perfettamente funzionante, Macster (http://www.blackholemedia.com/macster/).
Gnutella
http://gnutella.wego.com
Justin Frankel, già noto come sviluppatore di Winamp, programmino partito anni fa come player shareware di file MP3, poi ceduto ad America On Line insieme alla Nullsoft, la software house produttrice, ha ideato questo sistema nel marzo 2000 assieme a Tom Pepper.
Partito come un progetto interno a Nullsoft e quindi legato ad AoL, Gnutella è stato ritenuto “pericoloso” da AoL stessa e pertanto estromesso dalle attività ufficiali del colosso dei media.
Così. Gnutella ha preso vita propria grazie all’infinito mondo degli svuluppatori presenti in rete e alla filosofia dell’Opensource (il termine GNU incluso nel nome del software dovrebbe dare qualche indizio in merito…); un numero di siti e di client apparentemente illimitato supporta questo sistema di condivisione e ricerca di file, che asserisce di essere sicuro, anonimo e al riparo dai guai giudiziari che affliggono Napster.
Dozzine di cloni per Linux/Unix (Gnut), Macintosh (Mactella) ma anche Java (!) e BeOS già proliferano (e si possono reperire tramite http://www.gnutellanews.com/).
Beam-it
http://my.mp3.com
Vale la pena spendere due parole su Beam-It, anche se non siamo affatto di fronte a una utility di condivisione di file stile Napster; se non altro perchè simili sono stati i guai giudiziari, almeno per certi versi.
Nel 1997, la misteriosa Z Company e il geniale Michael Robertson iniziarono ad operare sotto la sigla Mp3.com. In quel periodo, Mp3.com era solo uno dei tanti siti (Filez.com era uno degli altri) gestiti da questa società, nel tentativo di accaparrarsi indirizzi web facili da ricordare ed allestirvi dei piccoli “portali” a tema (un sito per scaricare software, un altro per i “themes” di windows, uno dedicato ai file audio…); invece, già un annetto dopo, era chiaro che con Mp3.com, oltre ad avere il vantaggio di possedere forse uno dei nomi di dominio più ambiti di tutta la rete (e di conseguenza uno dei gli indirizzi web più visitati, http://www.mp3.com) Robertson aveva inventato qualcosa di nuovo ed eccitante.
Migliaia di artisti indipendenti e sconosciuti, ma anche noti come Public Enemy e Billy Idol (talvolta scatenando le ire dei loro stessi discografici) cominciarono a pubblicare la loro musica su mp3.com.
Dopo una fase iniziale in cui il sito gestiva unicamente download gratuiti, si passò a una diversificazione con l’azzeccatissimo DAM CD (un cd a pagamento, masterizzato a richiesta, e contenente tracce audio ed mp3 dell’artista desiderato), poi imitato da altri, incluso il nostrano Vitaminic col suo V-CD.
Oggi il sito dispone di streaming ad alta e bassa qualità, download gratuiti, DAM CD, canali in abbonamento, e continua ad aggiungere servizi all’ampio ventaglio di offerte; inoltre, Mp3.com è stato tra i primi siti a garantire guadagni per gli artisti interessati. Ma ciò che ha fatto parlare di sè, procurando anche qui grane legali, è il servizio my.mp3.com o meglio l’introduzione del software Beam-It in tale servizio.
My.mp3.com, come si intuirà, era una sorta di account personalizzato in cui ogni utente di Mp3.com poteva “depositare” i suoi brani preferiti tra quelli presenti sul sito, così da poterli ascoltare anche tutti insieme senza doverli richiamare dalle singole pagine dei vari artisti.
Se non chè qualcuno ha avuto l’idea di ampliare il servizio: perchè non includere nel proprio account My.mp3.com anche i cd commerciali regolamente acquistati, magari per poter ascoltare dal pc dell’ufficio la propria collezione di compact senza doverseli trascinar dietro da casa?
E così ecco il software (per Linux e Windows) che serve a fare il “beaming” dei cd: in un lasso di tempo relativamente scarso (dai 30 secondi a 1 minuto circa) il cd viene apparentemente compresso e caricato in my.mp3.com.
In realtà, neppure i PC più veloci con una connessione ideale sarebbero capaci di fare tanto; così, Beam-It non fa altro che analizzare il vostro cd dei Prodigy o dei Metallica, riconoscerlo, ed inserire nel vostro acount dei file real audio prefabbricati, che si trovano già sul server di mp3.com.
Non si possono scaricare o copiare i file in questione, e il servizio funziona solo con i cd originali, quindi – almeno in teoria – legittimamente detenuti.
Per fare tutto ciò, Mp3.com ha dovuto acquistare e mettere online decine di migliaia di album commerciali, provocando le ire delle major che hanno pensato bene di accusare il sito di pirateria, anche se come se è visto, non siamo di fronte ad una utility di condivisione file, ma a un qualcosa di unico e ben diverso.
Al momento, mesi dopo l’inizio della controversia, il servizio è tuttora semi-sospeso: si possono ascoltare e aggiungere brani degli artisti presenti su Mp3.com; si può anche fare il beaming dei cd commerciali, ma questi resteranno “bloccati” e quindi non ascoltabili via rete fino alla risoluzione della questione.
C’è da dire che Mp3.com si è molto adoperata per trovare un accordo e che già tre delle cinque major coinvolte hanno raggiunto un accordo per lasciare utilizzare i loro dischi nell’ambito di tale servizio.
Allo stesso tempo, il sito ha lanciato i “channels”, canali tematici in abbonamento (a cifre accessibili sotto i 10 dollari al mese) contenenti materiale autorizzato dagli aventi diritto, e per ora dedicati alla musica classica e ai più piccini. Questa dei canali in abbonamento sembra essere una delle strategie su cui puntare per i prossimi mesi, non solo per Mp3.com.
Scour Exchange
http://www.scour.com/Software/Scour_Exchange/
Scour (http://www.scour.com) è uno dei tanti siti che mettono a disposizione materiali scaricabili (musica, filmati, immagini) e che fanno anche da motore di ricerca verso altri siti legali come lo stesso Mp3.com o Riffage.com. Per certi versi è una versione meno sviluppata di quel che fa Listen.com per la musica (per la cronaca, Listen.com indicizza tutti i siti con audio ascoltabile o scaricabile, sia quelli commerciali molto noti che le più sconosciute paginette, a patto che non contengano materiale riprodotto illegalmente).
Fin qui tutto bene, senonchè un bel giorno di aprile 2000, viene annunciata la nascita si Scour Exchange, per gli amici “SX”, che ricorda in tutto e per tutto il modus operandi di Napster. Cause da parte di RIAA, MPAA e altri soggetti erano praticamente garantite. Curioso che Scour affermi nel frattempo di essere in trattativa o di avere già raggiunto accordi con diversi produttori di musica ma anche di film (SX servirebbe anche a scambiarsi materiale cinematografico, e i pirati dotati di connessioni stellari si divertono già da tempo a scambiarsi interi film) e che invece alcuni di questi produttori siano tra i firmatari dell’azione legale…
CuteMX
http://www.cutemx.com
Inutile tentare di scaricarlo: il software con questo nome non è più reperibile in rete.
All’indirizzo di cui sopra troverete sì un piccolo portale con download musicali, ma il software di condivisione simil-Napster è stato autosospeso con un comunicato pubblicato dalla casa produttrice, Globalscape, il 27 luglio scorso (sull’onda dei provvedimenti anti-Napster presi dal giudice Marilyn Hall Patel).
Così, resta in sospeso per ora il pregetto di questo software, prodotto dalla stessa società che rilascia il popolarissimo CuteFTP ed altri programmi tutti con il marchio “Cute” incluso nel nome.
Ma ovviamente, per uno che chiude o rimane sospeso nel limbo in attesa di un momento di maggiori certezze anche nel campo legale, altri spuntano fuori.
I fratellini minori
Già ora stanno emergendo altre applicazioni analoghe per la condivisione di file, come Freenet (http://www.zeropaid.com/freenet) e SongSpy (http://www.songspy.com), quest’ultima chiaramente chiaramente diretta anch’essa al settore musicale.
Per finire questa carrellata, da citare anche Publius (http://www.cs.nyu.edu/~waldman/publius/publius.html), che è un caso a parte. Supportato dal Publius Project (publius@cs.nyu.edu) e persino dal dipartimento di ricerca dell’AT&T, Publius è un progetto piuttosto interessante per un sistema per la pubblicazione di materiali soprattutto scritti, in versione criptata per garantire non solo l’anonimato ma anche e soprattutto la libertà di espressione. Niente sharing di MP3 quindi, né frenesia di “copiare” alla faccia dei detentori di copyright, almeno non nelle intenzioni, ma l’idea di utilizzare la condivisione di file per un qualcosa di più elevato ed utile per la comunità: “Publius” era tra l’altro lo pseudonimo collettivo di tre autori che alla fine del ‘700 nei loro “Federalist Papers” incitarono gli americani alla ratifica della Costituzione.
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