Nella Guerra degli Analytics non si sono spenti gli echi delle prime salve sparate contro Google Analytics da parte del Garante dei dati personali austriaco, che il suo omologo francese aggiunge altro volume di fuoco. Il 10 febbraio scorso, infatti, la Cnil ha dichiarato di condividere la lettura del Gdpr secondo la quale l’uso del sistema di aggregazione dei dati di Google consente un trasferimento illegale di dati verso gli USA. Le reazioni delle forze americane non si sono fatte attendere, con l’adamantina dichiarazione di Meta in un report depositato alla Sec in base alla quale per via della normativa sulla protezione dei dati personali potrebbe essere complicato continuare ad operare in Europa. Da Google e dalle altre Big Tech non ci sono ancora segnali, ma è probabilmente solo una questione di tempo e nascerà una “coalizione di volenterosi” per difendere gli interessi industriali di un comparto strategico per gli Usa anche a livello di politica internazionale di Andrea Monti – inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech
L’Atlantico, tuttavia, non è l’unico fronte che la Ue si trova a dover presidiare perché anche in quello Pacifico cominciano a rullare i tamburi: Yahoo!Japan (che non è parte della Big Tech americana) ha annunciato che dal prossimo 6 aprile 2022 i propri servizi non saranno più utilizzabili dai cittadini localizzati nell’area economica europea e nel Regno Unito.
Le Faq pubblicate a chiarimento della notizia spiegano la scelta facendo genericamente riferimento alla difficoltà nel continuare l’erogazione del servizio nell’area geografica europea. Nonostante la cripticità della dichiarazione, è abbastanza plausibile che l’improvvisa iperattività dei garanti comunitari nell’applicazione extraterrioriale del Gdpr e, certamente, il costo della conformità (non solo) alla normativa sulla protezione dei dati personali abbiano suscitato preoccupazioni di eccessive “invasioni di campo” europee a Est oltre che a Ovest (dove sono, invece, una certezza).
Non troppo tempo fa il Giappone aveva firmato il trattato di libero scambio con la Ue nell’ambito del quale la Commissione aveva riconosciuto l’adeguatezza del sistema giuridico giapponese rispetto alle norme sul trattamento dei dati personali, consentendo così una circolazione più agevole delle informazioni e l’incremento delle relazioni commerciali. Se, tuttavia, a causa dei costi generati dalla sottoposizione alla normativa Ue, le imprese giapponesi preferiranno rivolgersi ad altri mercati della (trascuratissima e sottovalutata in Europa) area indopacifica, l’accordo di libero scambio si ridurrà a un semplice pezzo di carta. Possiamo continuare a raccontarci che il Mondo non può fare a meno dell’Europa (o meglio, della Ue) ma, banalmente, non è così.
Nello stesso tempo, le imprese europee che avevano puntato sul Giappone basandosi appunto sul trattato commerciale potrebbero trovarsi improvvisamente le frontiere sbarrate. Non tanto all’ingresso in Giappone, quanto proprio all’uscita dalla Ue nel caso in cui Bruxelles decidesse di rivedere la propria decisione di adeguatezza e dunque revocare lo status di quello che potremmo impropriamente chiamare “nazione favorita” negoziato con Tokyo.
Anche se questo accadesse, si potrebbe pensare, l’isolamento di un singolo Paese è soltanto un granello che non causerà più problemi di tanto. Sarà anche vero, ma se un granello comincia a rotolare può trasformarsi in una frana incontrollabile e provocare ancora ulteriori danni al nostro sistema ecomico, danni dei quali non abbiamo certo bisogno.
È troppo presto per dire se la scelta di Yahoo!Japan sarà seguita anche da altre aziende nipponiche. Sta di fatto che il segnale è chiaro: quello che potremmo chiamare “imperialismo giuridico” della UE in base al quale chi vuole avere a che fare con l’Unione deve accettarne integralmente le regole sta mostrando i primi segni di cedimento. Questo è più vero se ci si ostina a praticare una cultura dei diritti di stampo religioso, trasformandoli in feticci da venerare a prescindere da qualsiasi valutazione sulla loro sostenibilità economica e politica.
Prima che accada il peggio, dunque, sarebbe importante che gli Stati membri e le istituzioni comunitarie comincino a riflettere sul senso di una strategia basata sul lawfare, l’uso apertamente politico della legge nelle relazioni internazionali. Il tema non riguarda soltanto il Gdpr ma, più in generale, l’approccio in base al quale si pretende di condizionare altre giurisdizioni al rispetto integrale delle norme europee come precondizione per gli scambi. L’imperialismo, in ogni sua forma, funziona (fino a quando funziona) soltanto a una condizione: avere la forza per imporlo. A quanto pare, tuttavia, la UE ha bisogno ancora di (molto) allenamento prima di poter “flettere i bicipiti” a un punto tale che qualcuno si impressioni veramente.
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