di Andrea Monti – PC Professionale n. 143
Un fatto di cronaca porta alla ribalta il tema delle sanzioni amministrative per chi detiene software illegale. Facciamo chiarezza su a chi spetta cosa.
Lo scorso 7 gennaio 2003 è stata diffusa la notizia di un’operazione della Polizia Postale in collaborazione con la Federazione contro la pirateria musicale diretta a smantellare il traffico di duplicazione abusiva tramite servizi di aste online. Stando a quanto riporta il quotidiano Punto Informatico i risultati di “Smadler” (questo il nome dell’indagine) avrebbero portato “al sequestro in diverse aree del territorio nazionale di 124 tra computer e masterizzatori, di oltre 120mila Cd e Dvd e alla denuncia di 100 persone, accusate di aver venduto e di detenere materiale duplicato illecitamente”.
Il seguito dell’indagine, annunciano gli inquirenti, riguarderà i clienti dei duplicatori abusivi che – secondo la legge sul diritto d’autore (modificata dalla L. 248/00) – sono teoricamente passibili di una sanzione amministrativa per detenere senza autorizzazione delle opere dell’ingegno. Non sono invece rimasti coinvolti nell’indagine, a quanto pare, i siti di aste online che, più o meno consapevolmente, hanno consentito o comunque agevolato la commissione dell’illecito.
Ma cosa significa, esattamente, sanzione amministrativa? E in cosa differisce il procedimento di contestazione da un’indagine penale? È opportuno innanzi tutto chiarire che mentre la duplicazione per scopo non personale è considerata illecito penale dagli artt. 171 bis, ter e seguenti della legge sul diritto d’autore, la detenzione e l’acquisto di opere duplicate senza autorizzazione sono state depenalizzate in quanto ritenute illeciti minori. E infatti per l’accertamento delle sole sanzioni amministrative non è previsto – di regola – l’intervento della polizia giudiziaria in funzione di organo accertatore. La legge pone dei limiti molto precisi ai poteri di indagine, primo fra tutti (art.13 l.689/81) il divieto assoluto di accedere alla dimora privata.
Diventa quindi abbastanza complicato “prendersela” con chi è sospettato di avere acquistato del materiale tramite un sito di aste online. Perché anche per le sanzioni amministrative bisogna dimostrare sia che il fatto è avvenuto sia la sussistenza dell’elemento psicologico. E senza poter accedere alla dimora privata difficilmente si può dimostrare che una persona detenga il materiale contestato, o che lo abbia mai ricevuto, o che sia effettivamente lo userID che ha partecipato all’asta. La prima parte del procedimento di indagine amministrativa si conclude con la predisposizione, da parte degli accertatori, di un verbale di contestazione che si può opporre in Prefettura. Se la Prefettura non risponde entro un certo termine il verbale potrà essere annullato tramite un ricorso al giudice di pace.
Se l’ordinanza del Prefetto passa in giudicato (perché non viene contestata o perché la contestazione, pur eseguita, è rigettata) anche in questi casi è fatta salva la risarcibilità civile del danno causato al detentore dei diritti economici sull’opera. Quindi, se pure si uscisse indenni dal procedimento amministrativo, rimarrebbe sempre la possibilità di dover fronteggiare una causa civile. Che diventerebbe abbastanza complessa, essendo la prova dell’illecito già (almeno) parzialmente fornita dal provvedimento prefettizio. Mentre, infine, ai sensi dell’art. 16 comma I L. 248/00 l’ordine del Prefetto deve essere pubblicato sulla stampa, questo non vale per i casi più gravi che sono puniti con una sanzione pecuniaria più consistente.
Come si spiega questa contraddizione? Mentre il primo comma dell’articolo in questione parla di “pubblicazione del provvedimento”, il secondo comma parla di “pubblicazione della sentenza”. Ma il Prefetto non ha il potere di emettere sentenze (che sono emanate solo dal giudice) e dunque, mentre i responsabili di infrazioni minori vengono esposti al pubblico ludibrio, quelli con la coscienza più sporca sono condannati all’oblio. Che singolare interpretazione della privacy!
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