Responsabilità degli ISP. Dal tribunale di Parigi una decisione controversa

di Andrea Monti – PC Professionale n. 210 – settembre 2008
Il tribunale di Parigi condanna E-bay per la messa in vendita di materiale contraffatto: non si applica il principio di non responsabilità dell’ISP, nel caso dei servizi che intervengono nelle transazioni degli utenti.

Il 30 giugno 2008 il tribunale di Parigi ha pronunciato una sentenza con la quale ha condannato le società E-bay inc. e E-bay International AG a pagare un risarcimento multimilionario a favore di un noto stilista francese che si riteneva danneggiato dalla vendita di materiale contraffatto tramite il sito del gestore di aste online.
Il tribunale francese, in particolare, ha affermato che E-bay non può essere qualificato come un semplice fornitore di hosting, ma come un vero e proprio intermediario. Ne consegue – continua la sentenza – che non è possibile applicare l’esenzione di responsabilità che la direttiva 31/00 sul commercio elettronico stabilisce a favore degli ISP che non intervengono nelle attività degli utenti.
Questa sentenza è importante perchè – a prescindere dalla condivisibilità dei ragionamenti che svolge – è una delle prime a erodere la (peraltro non robusta) cintura protezione degli internet provider garantita dalla legge comunitaria. Con l’emanazione della direttiva 31/00 (recepita anche in Italia con il DLGV 70/03), infatti, l’Unione Europea aveva affermato il principio secondo il quale l’ISP non è automaticamente responsabile per gli illeciti degli utenti, a condizione di non intervenire sull’attività di questi ultimi, se non per ragione puramente tecniche. In pratica, se l’ISP fornisce un hosting a un cliente e si limita a mettergli a disposizione l’infrastruttura per pubblicare contenuti, sarà il cliente a rispondere in proprio di eventuali danni e/o reati commessi tramite questa infrastruttura. Se, invece, l’ISP fa “qualcosa in più” e affianca esplicitamente il cliente nelle sue attività, allora non può più invocare l’esenzione di responsabilità garantita dalla normativa comunitaria.
Questo è, in sintesi, il ragionamento del tribunale di Parigi che, analizzando il modello di business di Ebay, ha ritenuto che quest’ultima non possa essere qualificata come un semplice fornitore di hosting o di piattaforme di e-commerce. Al contrario, il fatto che E-bay si inserisce attivamente nell’ambito delle attività degli utenti, accreditando l’affidabilità di venditori e compratori con il sistema dei feedback e le qualifiche di power-seller, per esempio, dimostrerebbe che E-bay è parte attiva e integrante delle transazioni promosse dagli utenti.
Affermato questo dato di fatto, il tribunale francese deduce quindi che E-bay non può chiamarsi fuori dalle rivendicazioni dello stilista perchè tollerare la presenza di aste di materiale contraffatto – dal quale il sito di aste percepisce comunque una commissione – significherebbe agevolare le attività illecite per trarne un vantaggio.
A nulla è valsa – per lo meno in primo grado – la difesa di Ebay che si è concentrata principalmente appunto sul suo ruolo di mero fornitore di servizi tecnologici e sull’impegno della lotta alla contraffazione con l’attivazione di specifici progetti.
Un altro aspetto interessante della vicenda è che il tribunale ha ritenuto responsabile non solo la filiale europea di Ebay ma anche la casa madre statunitense. Il meccanismo giuridico che consente questo risultato funziona sul presupposto che per la giurisprudenza francese se un sito straniero è accessibile dalla Francia, e tramite questo sito vengono commessi atti illeciti, sussiste in ogni caso la giurisdizione locale. Non ci si può, in altri termini, difendere come ingenuamente si pensava di fare qualche anno fa sostenendo che “il sito è alle Antille Olandesi”. A dire il vero, questo principio vale anche per l’Italia nel caso di danni subiti in conseguenza di un reato. Il nostro codice penale, infatti, stabilisce fin dagli anni ’30 che se azioni illecite iniziano, transitano o terminano in Italia, allora il giudice italiano ha giurisdizione per decidere non solo sul fatto in sé, ma anche sulle richieste di risarcimento formulate dalle vittime.
Benché dal punto di vista teorico i ragionamenti del giudice francese siano sostanzialmente corretti, è lecito avere qualche perplessità quando vengono applicati alla realtà dei servizi internet. Come è noto, infatti, gli ISP tendono ad automatizzare quanto più possibile l’interazione con gli utenti per svariate ragioni (economia gestionale, efficienza dell’infrastruttura ecc.). Dunque, ciò che all’esterno – come nel caso di Ebay – appare come un intervento diretto dell’ISP nelle attività degli utenti è in realtà spesso il frutto di un processo informatico non monitorato preventivamente dal fornitore di servizi che interviene solo successivamente, in caso di problemi.
La sentenza del tribunale di Parigi non si avventura in disamine tecnologiche sul funzionamento dei servizi di E-bay, ma si limita a un ragionamento superficiale, basato su quello che traspare dall’accesso al sito di aste. Se, al contrario, fosse andato più in profondità, avrebbe probabilmente scoperto che una infrastruttura di quella complessità ed estensione non può essere gestita “manualmente” e che l’unica opzione possibile è quella dell’automazione spinta. In altre parole: forse Ebay è un vero e proprio intermediario e non un semplice fornitore di piattaforme per aste online. Ma questo dato non può essere individuato semplicemente guardando la home page e facendo qualche acquisto.
L’aspetto preoccupante di questa sentenza, infatti, è proprio il metodo utilizzato dal magistrato d’oltralpe per stabilire l’esistenza di una responsabilità del fornitore di servizi di comunicazione elettronica. Un metodo atecnico, che sostanzialmente lascia sullo sfondo – se non trascura del tutto – l’analisi dei processi ICT che consentono all’infrastruttura di funzionare.
Purtroppo, come hanno dimostrato diversi recenti processi penali anche in Italia, è molto diffusa nei giudicanti la tendenza a non prendere in grande considerazione le componenti ICT. Il risultato concreto è, purtroppo, di creare pesanti precedenti giurisprudenziali che possono compromettere fortemente il precario equilibrio del mercato dell’ecommerce in Italia e in Europa.

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