di Andrea monti – WebMarketing Tools n.31/00
Com’è ormai universalmente noto, la legge sul diritto d’autore punisce la duplicazione abusiva di software con pene molto severe che in alcuni casi, se associate a quelle previste per la ricettazione, possono addirittura arrivare a otto anni di reclusione. Tutto ruota attorno al significato da attribuire al concetto di “fine di lucro”, richiesto dall’art. 171 bis della legge sul diritto d’autore per l’esistenza del reato. Per molto tempo c’è stata una grande incertezza sul punto, anche e soprattutto per via di alcune interpretazioni “di parte” (come quelle diffuse ad esempio dalla Business Software Alliance) secondo le quali ogni forma di duplicazione abusiva di software deve essere punita con il carcere.
Ma il rigore formale della norma è stato grandemente attenuato da una serie praticamente ininterrotta di sentenze di assoluzione che a partire dal 1996 fino ad oggi hanno limitato applicabilità della norma penale in questione ad ambiti abbastanza ristretti. Consentendo finalmente di individuare alcuni punti fermi sulle modalità di utilizzo dei programmi in ambito aziendale, che possono sicuramente risultare utili per evitare “brutte sorprese”
Il primo problema analizzato dalla magistratura – e forse quello che si verifica con maggiore frequenza – ha riguardato l’utilizzo di più copie di quante ne sono previste dalla licenza d’uso. In altri termini, la domanda che ci si è posti è se ci sia fine di lucro – e dunque reato – nell’installare un numero indeterminato di copie di un programma, avendo acquistato una sola licenza d’uso
La risposta del giudice di Cagliari (sent. 3 dicembre 1996 http://www.andreamonti.net/jus/stca961203.htm) è negativa.
Dice infatti la sentenza: nel duplicare le copie del programma OFFICE della Microsoft e con l’utilizzarle esclusivamente per la sua attività (l’imputata, n.d.r.) non era mossa da fini di lucro, ma eventualmente di profitto, consistente nell’evitare la spesa necessaria ad acquistare le altre due copie del programma e pertanto non ha violato la fattispecie contenuta nella norma incriminatrice, perché nella condotta dalla stessa tenuta non è ravvisabile il fine di lucro… ferma restando la sua responsabilità sotto altri profili diversi da quello penalistico.
Un’interpretazione parzialmente diversa arriva dalla (ex) Pretura di Bologna, che nella sentenza n. 388 del 22 febbraio 1998 afferma un principio differente, secondo il quale non c’è reato se il software duplicato non serve per l’attività professionale. Scrive il giudice:
Se il soggetto che si é impossessato di un bene al fine di un suo utilizzo e non di una commercializzazione aveva la necessità di tale utilizzazione nell’ambito della sua attività economica e doveva quindi affrontare la relativa spesa è evidente che l’illegittima acquisizione risulta motivata dalla ricerca di un vantaggio economico. Diverso è invece il discorso di chi avendo la possibilità di rubare un libro decide di farlo per leggerla perché in tal case non vi è una necessità di sposa quale presupposto dei furto e non vi è una attività economica collegata all’utilizzazione di tale libro. In altri termini il soggetto non persegue un vantaggio economico attraverso un risparmio di spesa cui era tenuto (per necessità d’impresa o altro) anche se di fatto vi è una mancata corresponsione del prezzo.
In altri termini, trovare una copia abusiva di Autocad in uno studio legal non è reato (perché un avvocato non ha bisogno di questo programma per lavorare), mentre trovare lo stesso software in una società edile si.
Un altro problema in discussione è se si possa configurare la automatica responsabilità dell’amministratore delegato o del legale rappresentante di un’azienda, se all’interno della stessa vengono rinvenuti software privi di licenza. Sul punto si registra una recente sentenza del Tribunale di Torino (http://www.andreamonti.net/jus/stto000420.htm) che afferma: la natura comune e non propria del reato di cui si discute impedisce di addebitare all’imputato una responsabilità penale derivante da una posizione di garanzia in merito all’osservanza ad opera dei sottoposti della normativa in materia e comunque laddove pur egli fosse stato onerato da una simile responsabilità, l’omesso controllo non equivarrebbe per sé solo ad una manifestazione di quel dolo intenzionale postulato dalla norma incriminatrice.Dunque, la legge non impone uno specifico obbligo di vigilanza (specie nelle realtà più grandi) e l’amministratore delegato non è di per sé penalmente responsabile dei fatti illeciti compiuti dai dipendenti.
Se da un lato, dunque, l’ampiezza di applicazione delle sanzioni penali in materia di duplicazione abusiva è stata sensibilmente limitata, dall’altro non bisogna dimenticare che in ogni caso rimane ferma la risarcibilità civile (cioè il pagamento di somme) per l’illecito.
E da questo l’azienda non può sfuggire.
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