Interlex n.ro 289
di Andrea Monti
Dieci anni fa l’Italian Crackdown, in anticipo sui tempi, rappresentò una vera e propria summa dei problemi giuridici, ma soprattutto politici, sollevati dalla diffusione di sistemi alternativi di comunicazione.
Già allora si manifestarono palesemente nell’ambiente giudiziario tendenze fortemente repressive (ma per fortuna minoritarie) e orientate alla teorizzazione di un’eccessiva responsabilità del sysop, (vedi Problemi terminologici e responsabilità del sysop di Carlo Sarzana di S. Ippolito), alla “pericolosità” della crittografia, alla limitazione della libertà di espressione, all’adozione di tecniche di indagine inutilmente vessatorie come il sequestro di interi computer in luogo di quello dei soli dati .
Dal canto suo, la politica di ogni colore e orientamento, spaventata da un mezzo non controllabile e adeguatamente fomentata dalle lobby di settore, dava inizio a un esteso processo di ipernormazione unilateralmente diretta a tutelare interessi di parte.
E’ il caso, per esempio, delle continue modifiche alla legge sul diritto d’autore; dell’ipocrita legislazione (e delle ancor più ipocrite indagini giudiziarie) in materia di pornografia minorile ; del tentativo di impadronirsi della gestione del registro dei nomi a dominio .it (ora nuovamente lasciato a una gestione sostanzialmente autarchica di un dipartimento del CNR); della data retention e del recepimento prossimo venturo del trattato sul crimine informatico.
Il tutto è ancora più evidente se si scorrono le pagine di InterLex e del sito di ALCEI, che in questo decennio hanno puntualmente denunciato – voces clamantes in deserto – gli abusi e le violazioni delle libertà individuali che si stavano commettendo in nome di questo o quello “interesse superiore”.
Fortunatamente, in questi anni, nonostante la disinformazione e l’isteria di chi vaticinava apocalissi informatiche, la magistratura ha spesso controbilanciato le tendenze repressive e liberticide. È pur vero, da un lato, che a parte due o tre casi continua lo scandalo della legittimazione dei sequestri di computer come strumento di indagine. Ma è anche vero che ci sono state sentenze coraggiose. Come quella del pretore di Cagliari del dicembre 1996 che, per prima, introdusse importanti distinguo sulla configurabilità del reato di duplicazione abusiva di software, ritenendo sanzionabili penalmente solo le condotte dirette a fare commercio della duplicazione. O quella della Corte di cassazione sui limiti dell’attività sotto copertura delle forze di polizia nelle indagini in materia di pornografia minorile . O la decisione del tribunale del riesame di Bolzano sulle modifiche alle Playstation.
Vista l’incapacità (autoprocurata?) del legislatore, spetta ai pratici del diritto cercare di limitare i danni. E’ compito di magistrati e avvocati attrezzarsi non solo tecnicamente, ma soprattutto culturalmente, per contemperare l’applicazione della legge con il rispetto dei diritti. E ciò implica necessariamente sfrondare la riflessioni giuridica da sovrastrutture concettuali (virtualità, cyberspazio…) e tenere separati il dominio del diritto e quello della tecnologia. Evitando così confusioni e aberrazioni giuridiche, come pure assurdità tecniche.
Perché l’Italian Crackdown rimanga solo un brutto ricordo.
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