Corte di giustizia UE: è legittimo rivendere il software acquistato via internet

Con una sentenza innovativa, la Corte europea ha stabilito che il software usato può essere rivenduto senza violare la legge sul copyright, e che i DRM non possono limitare i diritti degli utenti
di Andrea Monti – PC Professionale n.257

Con la sentenza del 3 luglio 2012 emanata nel caso C-128/11 (Oracle contro UsedSoft) la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che la commercializzazione di software via internet (e dunque tramite download dal server del produttore) costituisce “esaurimento” del diritto di distribuzione. Ciò significa, in altri termini, che una volta “venduto” a un cliente, il produttore del software non ha più alcun diritto sulla ulteriore (legittima) circolazione del software. Dal che deriva che il primo licenziatario può a sua volta cedere la licenza a qualcun altro (ovviamente senza trattenere una copia del software per se) senza violare la legge sul diritto d’autore né i diritti del produttore.

Questa sentenza è importante perché ribadisce il concetto che la rivendita di licenze d’uso è del tutto legale e quindi non si può impedire agli utenti di acquistare e utilizzare software “usato”, né alle aziende di fondare un modello di business sull’acquisizione e commercializzazione di licenze già originariamente assegnate a terzi.

Il tema è particolarmente rilevante in ambito aziendale, dove la possibilità di acquistare legittimamente software usato consente, nel rispetto della legge, di ottenere significativi risparmi. Ma assume importanza anche nel mondo dei videogiochi dove il mercato dell’usato è particolarmente fiorente, tanto da spingere le software house a cercare di bloccarlo in ogni modo, fino al punto – alcuni analisti ritengono – di prendere in considerazione di vincolare tecnologicamente il gioco alla specifica console sulla quale è stato utilizzato per la prima volta, impedendone così il riutilizzo.

Nel caso specifico affrontato dalla Corte, per evitare di cadere nella “trappola” dell’esaurimento del diritto di distribuzione, Oracle aveva tentato di sostenere che in realtà non vendeva software via internet, ma lo metteva gratuitamente a disposizione per gli utenti che, successivamente, avessero poi acquistato una licenza. Dunque, secondo Oracle, il modello di distribuzione del software non poteva essere giuridicamente considerato “vendita” e pertanto non rientrava nel concetto di “esaurimento”. Ma, risponde la Corte “si deve rilevare che il download di una copia di un programma per elaboratore e la conclusione di un relativo contratto di licenza di utilizzazione costituiscono un tutt’uno indivisibile. Infatti, il download di una copia di un programma per elaboratore è privo di utilità qualora la copia stessa non possa essere utilizzata dal suo detentore. Le due operazioni devono essere quindi esaminate, ai fini della loro qualificazione giuridica, nel loro complesso” restando irrilevante “il fatto che la copia del programma per elaboratore venga messa a disposizione del cliente da parte del titolare dei relativi diritti per mezzo di download dal sito Internet di quest’ultimo ovvero per mezzo di un supporto informatico tangibile quale un CD-ROM o un DVD.”.

Ma la parte veramente innovativa della sentenza è quella che limita l’ambito operativo dei sistemi di Digital Right Mangement (DRM) che in vario modo controllano la circolazione di un programma. Scrive infatti la Corte, rispondendo alla tesi di Oracle secondo la quale sarebbe difficile essere certi che il primo acquirente abbia effettivamente cancellato le copie del programma ceduto a terzi, che “Come correttamente rilevato dalla Oracle, la verifica del fatto che tale copia sia stata resa inutilizzabile può risultare difficile. Tuttavia, il titolare del diritto d’autore che distribuisca copie di un programma per elaboratore incise su un supporto informatico tangibile quale un CD-ROM o un DVD si trova di fronte alla stessa difficoltà, in quanto ben difficilmente potrà verificare se l’acquirente iniziale non abbia creato copie del programma per elaboratore che continui ad utilizzare dopo aver venduto il supporto informatico tangibile. Per risolvere tale difficoltà, il distributore – «classico» o «digitale» – potrà ricorrere a misure tecniche di protezione, quali le chiavi di accesso.”.
Ma – attenzione – questi sistemi di protezione non potranno limitare il diritto dell’acquirente di software usato, dal che si deduce che i produttori di software devono in ogni caso consentire a questa categoria di utenti l’uso dei software acquistati anche se protetti da DRM. E’ il caso del modello adottato – ad esempio – da Adobe che consente di associare e disassociare un software da uno specifico computer, tracciando nel contempo l’identità di chi utilizza il programma.

C’è, tuttavia, un punto che la sentenza non affronta e che potrebbe far crollare l’intero costrutto giuridico: quello della revoca della licenza. Il software, infatti, viene concesso in uso e non venduto; tanto che è standard la clausola secondo la quale il produttore si riserva in qualsiasi momento il diritto di revocare la licenza. Se, dunque, un produttore decidesse di avvalersi di questo diritto di revoca, l’uso del software “revocato” diventerebbe automaticamente illegale sia per chi lo ha acquistato la prima volta, sia per chi lo ha acquistato di seconda mano. Certo, una soluzione del genere potrebbe bloccare la circolazione delle release precedenti a quella in commercio in un dato momento. Ma credo che nessuna software house sarebbe così folle da azionare questo kill-switch.

A meno di non voler mettere a rischio la propria sopravvivenza.

Possibly Related Posts: