Sentenza della Pretura circondariale di Bologna
22 febbraio 1998
Sentenza n.388/98
Pretura Circondariale di Bologna
In nome del popolo italiano
Il Pretore dott. Sgambaro alla udienza dibattimentale del 24/2/98 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della seguente
SENTENZA
nei confronti di
1) TIZIO, nato a ………… ivi residente in ……….
Libero, presente
IMPUTATO
del reato p.e p. dall’art 171 bis L.63341
Con decreto di citazione emesso a seguito di opposizione a decreto penale, TIZIO veniva tratto a giudizio per rispondere dei reato ascrittogli in rubrica.
La valutazione della fattispecie in esame presuppone una premessa di origine generale in merito al concetto di “profitto” e lucro rilevante con riferimento al dolo specifico del reato in oggetto
Il Codice nei prevedere il dolo dei molti reati contro il patrimonio utilizza l’espressione “a fine di profitto ma in altre norme (artt, 62 n 4 e 707 c.p.) parla di “delitti commossi e scopo di lucro” facendo necessariamente riferimento ai reati contro il patrimonio.
Da ciò potrebbe dedursi una sostanziale ed originaria equivalenza dei due concetti. equivalenza che risulta comunque superata in via interpretativa perché la giurisprudenza e la dottrina hanno nel tempo ampliato il concetto di profitto rispetto al semplice vantaggio economico, ricomprendendovi ogni utilità, anche non patrimoniale (morale, psicologica,
Si è quindi creata una divaricazione fra il concetto di profitto e quello di lucro nel senso che il primo ricomprende anche il secondo, ma è più ampio,
In tale contesto si inserisce l’art. 171 bis legge n. 633/1941 introdotto dall’art. 10 Decreto Legislativo 29.12,92 n. 518 che fra le altre ipotesi di reato sanziona penalmente l’abusiva riproduzione di programmi per computer a scopo di lucro.
E evidente che il legislatore utilizzando l’espressione “a scopo di lucro” vuole escludere dall’ipotesi di reato in oggetto ogni motivazione ulteriore e diversa e quindi anche lo scopo di profitto nella misura in cui si differenzia dallo scopo di lucro.
E dove allora individuare l’ambito di tale concetto e chiedersi in particolare se il lucro implichi necessariamente un guadagno patrimoniale o se sia sufficiente un risparmio economico.
E stato affermato che il termine lucro indica esclusivamente un guadagno patrimoniale ossia un incremento patrimoniale consistente nell’acquisizione di uno o più beni, mentre sarebbe al di fuori di tale concetto ma in quello di profitto, la mancata perdita patrimoniale e quindi il mero “risparmio” inteso come conservazione del patrimonio (v. sentenza Pretore di Cagliari 26.11.96, imp. Contu).
In altri termini il ”lucro” consisterebbe solo ed esclusivamente nell’accrescimento positivo del patrimonio, il profitto anche nella sola non diminuzione dello stesso.
Tale enunciazione non può essere condivisa
Deve infatti osservarsi che vi sono ipotesi di incrementi patrimoniali, in senso oggettivo, cui non corrisponde uno scopo di lucro. Così ad esempio che sì appropria di un bene per dispetto o vendetta accresce di fatto la propria disponibilità patrimoniale, pur avendo agito non e scopo di lucro, ma solo di profitto.
In realtà non si deve confondere la motivazione con la conseguenza dell’atto. Ciò che rileva ai fini dei dolo specifica è solo la motivazione che spinge il soggetto ad agire a prescindere dagli effetti economici che si determinano. Ne consegue che una persona che rubi un libro, per leggerlo a per regalarlo ad un amico e non per commercializzarlo non agisce a scopo di lucro, ma di profitto, anche se di fatto si realizza un incremento dei patrimonio di tale persona nel primo caso (ammesso che possa parlarsi di aumento dei patrimonio nel caso di acquisizione illegittima di un bene) e dell’amico nel secondo.
Tali esemplificazioni possono lasciare dubbiosi, anche perché l’irrilevanza dei problema con riferimento ai delitti contro il patrimonio non ha mai resa necessari simili approfondimenti, ma derivano dal concetto normalmente riconosciuto di “lucro” e cioè “vantaggio a guadagno economico”, a differenza del profitto che comprende anche le utilità non patrimoniali ed economiche.
Quali ulteriori esemplificazioni sì dovrà allora concludere che chi ruba generi alimentari per commercializzarli agirà a scopo di lucro, mentre agirà a scopo di profitto se intendo consumarli o cederli per liberalità a parenti o amici.
Diverso è il discorso so il furto è commosso da un ristoratore che intende utilizzare i prodotti alimentari nel suo esercizio commerciale.
E’ evidente che in tal caso il ladro persegue un interesse e un vantaggio economico perché tende ad un maggior profitto d’impresa sia pur agendo non sui ricavi, ma sui costi.
Alla luce di tali premesse si pone il problema so un risparmio di spesa realizzi uno di lucro o di profitto.
Anche in questo caso non si deve confondere la motivazione con le conseguenza economiche dell’atto.
E’ allora evidente che si avrà scopo di lucro se il soggetto ha agito con la finalità di evitare una spesa ed ottenere quindi in tal modo un vantaggio e un risultato economico positivo (anche perché per una impresa un minor costo si traduco in un maggior guadagno e quindi in un risultato economico positivo e in un possibile incremento dei patrimonio dei soci qualora il maggior guadagno venga ripartito), si avrà invece scopo di profitto qualora abbia agito con altre motivazioni e ciò anche qualora dalla condotta derivi dì fatto un risparmio di spesa.
Un criterio per differenziare le due ipotesi è quello della verifica della necessità della spesa e dell’inquadramento dell’acquisizione del bene nell’ambito di una attività economica,
Se il soggetto che si é impossessato di un bene al fine di un suo utilizzo e non di una commercializzazione aveva la necessità di tale utilizzazione nell’ambito della sua attività economica e doveva quindi affrontare la relativa spesa è evidente che l’illegittima acquisizione risulta motivata dalla ricerca di un vantaggio economico. Diverso è invece il discorso di chi avendo la possibilità di rubare un libro decide di farlo per leggerla perché in tal case non vi è una necessità di sposa quale presupposto dei furto e non vi è una attività economica collegata all’utilizzazione di tale libro.
In altri termini il soggetto non persegue un vantaggio economico attraverso un risparmio di spesa cui era tenuto (per necessità d’impresa o altro) anche se di fatto vi è una mancata corresponsione del prezzo.
Venendo nello specifico alla disciplina relativa alla tutela del diritto d’autore dei programmi di computer si è già detto come l’art. 171 bis sanziona penalmente fra le varie ipotesi l’abusiva duplicazione a scopo di lucro, con una previsione quindi sul punto ben più restrittiva di quella dell’art. 171 legge 633/1941 che sanziona l’abusiva riproduzione dell’opera d’ingegno “a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma”.
Un’interpretazione ancora più restrittiva dell’art. 171 bis sul punto è stata poi proposta da chi ritiene che la duplicazione di un programma di computer per uso personale sia in ogni caso consentita della normativa vigente, con la conseguenza che lo scopo di lucro verrebbe e coincidere con la finalizzazione della commercializzazione del programma abusivamente riprodotto.
Tale tesi non può essere accolta. E’ vero che l’art. 68 Legge 633/41 consente la riproduzione di un’opera o brani di opera dell’ingegno per uso personale, ma ciò solo “con mezzi di riproduzione non idonei a spaccio o diffusione dell’opera. In altri termini l’attività di riproduzione di cui sopra non deve dar luogo a copie idonee allo spaccio o diffusione dell’opera.”
Il divieto di utilizzazione di “mezzi” di riproduzione idonei allo spaccio o alla a diffusione ha style=”mso-spacerun: yes”> significato solo con riferimento al risultato della riproduzione, perché è solo quello che può essere spacciato o diffuso.
Non vi è dubbio che un programma riprodotto su di un dischetto ha una funzione equivalente e quindi sostitutiva dell’originale e una intrinseca capacità di spaccio o diffusione dell’opera. La riproduzione per uso personale di singole pagine o parti limitate di un programma è invece di regola consentita perché non ha una capacità di spaccio o diffusione dell’opera (o ciò in quanto normalmente singole pagine non sono rappresentative dell’intera opera, non hanno una generale capacità dì utilizzazione autonoma e sostitutiva dell’intero programma, ma rispondono ad un interesse contingente e specifico del fruitore).
Tale conclusione non viene meno per il fatto che l’art. 64 ter legge 633/41 introdotto dall’art 5 D. Legislativo n. 518/92, esclude che si possa imporre all’acquirente di un programma per computer il divieto di effettuare una “copia di riserva” del programma stesso, E’ infatti evidente che la norma riconosce solo la possibilità di memorizzazione del programma da utilizzarsi nell’ipotesi di perdita o deterioramento del primo, in luogo e in sostituzione dell’originale e quindi non in modo autonomo.
Da tale quadro normativo discende quindi che è consentita la duplicazione di un programma quale “copia di riserva” con divieto di utilizzazione autonoma e la duplicazione di pagine o parti limitate di un programma per uso personale, ma non è consentito ogni altra forma di duplicazione da parte di soggetti non titolari dei diritto d’autore.
La duplicazione abusiva costituisce poi reato qualora avvenga a scopo di lucro e quindi come detto con la motivazione e lo scopo di un vantaggio o guadagno economico che può consistere anche in un risparmio di spesa.
Sul punto ci si devo riportare a quanto precisato in precedenza in ordine al concetto di scopo di lucro quindi alla necessità di non confondere il dolo specifico inteso come motivazione che spinge il soggetto ad agire, con gli effetti economici che comunque si determinano e alla non coincidenza dello scopo di lucro con un incremento patrimoniale (sia perché può sussistere un incremento senza scopo di lucro, sia perché può esistere uno scopo di lucro senza incremento).
In particolare si deve ribadire che sì avrà scopo di lucro anche se il soggetto ha agito con la finalità di evitare una spesa ed ottenere quindi in tale modo un vantaggio e un risultato economico positivo, mentre si avrà scopo di profitto qualora abbia agito con altre motivazioni e ciò anche qualora della condotta derivi di fatto un risparmio di spesa.
Si è già detto come un criterio per differenziare le due ipotesi, stante la difficoltà di prova in ordine alla motivaziones dei soggetti, sia quello della verifica della necessità di spesa e dell’inquadramento dell’acquisizione del bene nell’abito di una attività economica, dove appunto un minimo costo si traduce in maggior profitto, con la conseguenza che lo scopo di lucro risulterà di norma configurabile nell’ipotesi di duplicazione dì programmi nell’ambito dell’attività di impresa.
Difficilmente risulta invece configurabile una necessità di spesa con riferimento ad un soggetto che agisca al di fuori di una attività economica Ciò promesso in via generale l’imputato deve essere assolto perché il fatto non costituisco reato.
TIZIO in sede di esame ha dichiarato che era in corso la sostituzione di terminali non intelligenti collegati al computer centrale, con terminati autonomi; che non sapevano quindi ancora esattamente quanti programmi fossero necessari; che nel corso dell’ispezione sui computer erano stati riscontrati 38 programmi duplicati abusivamente su 260 ; che la duplicazione era stata effettuata da dipendenti come anticipazione rispetto ad una possibile necessità di utilizzazione in relazione alla ristrutturazione in corso; che ciò era avvenuto senza l’autorizzazione e all’insaputa dell’azienda.
Tali circostanze trovano conferma o comunque non risultano smentita dalle risultanze processuali.
Il teste Cestra Mario ha dichiarato che in effetti l’abusiva duplicazione fu subito riferita a style=”mso-spacerun: yes”> comportamenti di dipendenti posti in essere all’insaputa della ditta per loro comodità o comunque per una migliore gestione del loro lavoro, decisa e attuata in modo autonomo, il teste Negri Carlo ha dichiarato che i computer non avevano tutti gli stessi programmi poiché alcuni erano regolari, altri avevano un programma duplicato abusivamente, altri due, altri tre. Tale ultima circostanza può costituire una conferma dei fatto che la duplicazione abusiva non rispondeva ad un programma e ad una volontà aziendale, ma ad iniziativa di singoli dipendenti, assunte in modo autonome e all’insaputa dell’azienda. Sulla base di tali elementi non vi è quindi la prova che la duplicazione abusiva sia stata decisa a comunque attuata dall’azienda nell’ambito di una necessità o comunque opportunità di ampliamento dei programmi dei computer.
In altri termini, per quel che interessa nella fattispeciestyle=”mso-spacerun: yes”> non vi è la prova di una necessità di spesa nell’ambito dell’attività di impresa e quindi di un risparmio delle spese programmate o programmabili attraverso la duplicazione abusiva. Non vi è quindi io prova da dolo specifico richiesto dal reato.
p.q.m.
Visto ed applicato l’arl 530 c.pp, assolve TIZIO del reato ascrittogli perché il fatto non costituisce reato. Bologna, 24.2.1998
IL PRETORE
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