Il Sole 24 Ore del 07.05.2010 di Alessandro Galimberti e Andrea Monti
La sentenza del tribunale di Milano del 14 aprile scorso – che ha negato alla cantante Mina i diritti ulteriori per la riproduzione su internet delle sue storiche esibizioni in Rai, reclamati contro Fastweb (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri) – apre due nuovi fronti del copyright in rete. Da un lato riduce internet a una semplice “modalità di comunicazione” al pubblico, dall’altro sancisce il distacco tra la posizione (e i diritti) degli artisti rispetto a quelli delle major, privilegiando queste ultime.
La sentenza conferma, infatti, la prevalenza dell’interesse di chi sfrutta economicamente la creazione artistica a discapito della tutela di chi la realizza. Dal punto di vista giuridico, la progressione logica è riassumibile in questi termini: le prestazioni artistiche sono state eseguite in funzione di una loro radiodiffusione, il contratto firmato ai tempi prevedeva espressamente la cessione dei diritti per quello scopo, e la comunicazione in video-on-demand sull’internet equivale a una forma di radiodiffusione. Pertanto l’artista non è titolare di un ulteriore diritto esclusivo sulla nuova modalità di distribuzione dei contenuti, resa semplicemente possibile dallo sviluppo delle tecnologie.
Il problema, dunque, non è la sentenza di merito in sé, ma il fatto che la progressiva, costante erosione dei diritti degli autori li ha confinati in una posizione subalterna nei confronti di chi acquisisce il titolo per sfruttarne le opere. La questione, in sintesi, non è giuridica ma economica.
L’aspetto più interessante della decisione dei giudici di Milano è l’accento sull’irrilevanza del mezzo tecnologico che realizza la veicolazione dei contenuti protetti. In altri termini, ragiona il giudice, poco importa che il video-on-demand sia fruibile, tecnicamente, via cavo, via satellite o via server internet. Siamo sempre nell’ipotesi di diffusione – anzi, comunicazione di contenuti con uno dei tanti strumenti possibili e dunque non sussiste alcun “diritto speciale” per lo streaming internet. Si tratta di una linea di pensiero per certi versi nel solco del decreto Romani (che recepisce la direttiva 2007/65/CE sui servizi radiotelevisivi). Forse per la prima volta, da molti anni a questa parte, internet viene trattato per quello che è, ovvero una tecnologia come le altre: in altri termini non è stato il fantomatico e virtuale ” mr. internet” a finire sotto processo. Sarebbe auspicabile che l’orientamento espresso dal tribunale di Milano si consolidasse quanto prima, con evidenti vantaggi nella decisione di controversie che troppo spesso si concentrano su questioni tecnologiche perdendo di vista la sostanza delle cose.
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