Da Repubblica.it, a firma di Elena Dusi
Gli scienziati di Zurigo si sono aiutati ispirandosi a un batterio naturale, … il Caulobacter crescentus. Convinti di poterlo migliorare, hanno deciso di tagliare le parti inutili del suo Dna, … Ed è stata questa la fase in cui hanno chiesto la collaborazione del computer. Un algoritmo si è occupato della cernita fra i geni inutili e quelli essenziali per la sopravvivenza del minuscolo organismo.
Gli scienziati non hanno “chiesto” niente a “nessuno”. Hanno usato Genome Calligrapher che è in giro dal 2015 e che viene usato comunemente in ricerche di questo genere.
L’articolo di Dusi, però, non si limita a informare i lettori che per ottenere il risultato, i ricercatori hanno usato
a computer-aided design web tool intended for whole genome refactoring of bacterial chromosomes for de novo DNA synthesis
ma aggiunge una “coloritura”- la solita, quando i generalisti scrivono di scienza e di informatica in particolare – che fa apparire gli scienziati come sacerdoti di un culto arcano che si rivolgono al dio per ottenere un vaticinio, come nella Guida galattica per autostoppisti.
Ovviamente non è così e – come sa chiunque si sia mai occupato, anche per caso, di ricerca scientifica – l’utilizzo dell’informatica è un fatto “naturale” al quale nessuno presta particolare attenzione.
Nessuno, tranne i giornalisti generalisti che scrivono articoli come questo, ennesima prova del danno culturale provocato dagli sproloqui su “AI” e “machine learning” che mettono i meno avvertiti – politici, giuristi e legislatori inclusi – nelle condizioni di credere che un computer sia un dio.
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