di Daniele Coliva
Il Caso:
Nello scorso mese di aprile in Romagna la Guardia di Finanza ha dato corso ad un’operazione di controllo di numerose imprese operanti in ambito informatico allo scopo di verificare il rispetto della normativa penale posta a tutela del software.
In concreto la GdF ha eseguito accessi ai locali delle suddette imprese, controllando i computer ed i supporti magnetici rinvenuti e procedendo quindi al sequestro del materiale ritenuto sospetto di violazione.
Nel caso concreto qui riferito la GdF ha proceduto inoltre alla perquisizione delle abitazioni dei due titolari della s.r.l. oggetto del controllo, sequestrando un computer ed alcune decine di floppy disk. Questa la giustificazione della perquisizione domiciliare addotta nel relativo verbale e trascritta letteralmente: “I sottoscritti ufficiali di polizia giudiziaria ….procedono alla compilazione del presente atto per far risultare che, in base a fondato sospetto (o notizia) di violazioni alle leggi finanziarie costituenti reato in materia di pirateria informatica, a norma dell’art. 33 della legge 7/1/1929 n. 4 si sono recati presso l’abitazione di….”. Questo invece il testo introduttivo del verbale di sequestro: “I sottoscritti ufficiali di polizia giudiziaria…. hanno proceduto alla perquisizione locale d’iniziativa ai sensi dell’art. 33 della legge nr. 4/1929, avendo fondato motivo di ritenere che presso i locali dell’anzidetta abitazione ci fossero occultati programmi software pirata….”.
Nel complesso la GdF sequestra circa 250 floppy ed un computer, provvedendo per quest’ultimo a stampare su carta la lista delle directory.
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L’iter giudiziario.
Come loro dovere i militari della GdF trasmisero il verbale delle operazioni di perquisizione e sequestro al PM presso la Pretura di Rimini per la prescritta convalida, che intervenne oltre le 48 ore di legge.
Gli indagati proposero in termine ricorso per riesame al Tribunale della libertà di Rimini osservando che:
a) la convalida tardiva era comunque motivo di inefficacia del sequestro che comunque non preclude in astratto un successivo ed autonomo provvedimento di sequestro da parte del PM stesso);
b) mancavano totalmente i presupposti per procedere a perquisizione e sequestro, dal momento che la polizia giudiziaria aveva agito d’iniziativa senza basarsi su di una notizia di reato preesistente, ma piuttosto per acquisire la notizia stessa e non le relative prove;
c) l’ordinamento consente alla p.g. di procedere d’iniziativa solamente nelle ipotesi di flagranza di reato o di evasione (art. 352 c.p.p.) e nella fattispecie non ricorrevano gli estremi né dell’una né dell’altra;
d) del tutto fuori luogo era il richiamo all’art. 33 della legge nr. 4 del 1929 che consente perquisizioni domiciliari d’iniziativa solamente per le violazioni costituenti reato a leggi finanziarie relative ai tributi doganali, la privativa dei sali e tabacchi, le imposte di fabbricazione sugli spiriti, zuccheri e polveri piriche; di conseguenza la perquisizione domiciliare era totalmente illecita
e) non era stato eseguito alcun controllo in sede di perquisizione ad opera di persona esperta quale ausiliario di polizia giudiziaria (art. 348 c.p.p.), sicché erano stati sequestrati indiscriminatamente floppy disk perché privi di etichetta a stampa, ancorché le parti avessero dichiarato che contenevano driver di schede grafiche o di altre periferiche utilizzate per il supporto tecnico alla clientela, ovvero copie di dati personali;
f) infine il computer non poteva essere considerato corpo di reato per la sua polivalenza;
inoltre, non sussistevano più esigenze probatorie per essere stato stampato il contenuto dei dischi rigidi.
Il Tribunale della libertà di Rimini con ordinanza 5/5/95 ha revocato integralmente il sequestro accogliendo sostanzialmente i rilievi formulati dagli indagati.
Riveste particolare interesse il seguente passo del provvedimento:
3) la circostanza che il possesso dei floppy disk sequestrati non era chiaramente riferibile all’ipotesi di reato di cui all’art. 171-bis l. n. 633/41, atteso che detta norma sanziona solo la detenzione a fini di commercio di duplicazioni di programmi software, sicché mantiene quantomeno il crisma della verosimiglianza l’affermazione degli indagati (v.le loro dichiarazioni rilasciate all’atto del sequestro e le dichiarazioni rese all’udienza camerale) secondo cui il materiale sottoposto a sequestro costituiva mero supporto tecnico dell’attività da loro professionalmente esercitata nel settore informatico e che quindi i militari accertatori possono essere stati tratti in errore dalle annotazioni a mano presenti sugli involucri esterni dei dischi, e ciò indipendentemente dal fatto che nessun accertamento in loco circa il contenuto dei floppy disk è stato eseguito dalla GdF prima che si procedesse al sequestro”.
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Considerazioni.
Il caso descritto più sopra assume a mio avviso particolare rilevanza nell’attuale discussione circa i termini e le modalità dell’esecuzione di provvedimenti cautelari reali su materiale informatico.
Una prima affermazione importante è che la polizia giudiziaria non può procedere a perquisizioni e sequestri “allo scopo di verificare il rispetto della normativa penale di tutela del software”; in termini tecnici, la p.g. deve muoversi sulla base di una notizia di reato attuale e flagrante, altrimenti si deve rivolgere al PM per chiedere l’emissione del decreto di perquisizione; in termini banali, non sono ammissibili nel nostro ordinamento “indagini di mercato”, cioè verifiche a tappeto sulla scorta di quelle effettuate a fini fiscali. Vero è, infatti, che, essendo nella quasi totalità dei casi tali indagini affidate alla GdF, questa, forse per “deformazione professionale” è portata a servirsi dei suoi poteri di accesso in tema di verifiche fiscali quando si tratta di controllare attività d’impresa. La violazione delle norme penali di tutela del software NON è violazione di legge finanziaria (cioè tributaria), pertanto debbono applicarsi le norme comuni.
Nel caso di specie, dunque, non solo era illegittima la perquisizione domiciliare, ma lo era anche quella nei locali dell’impresa.
Va tuttavia precisato che qualora la violazione della legge 633/41 emerga nel corso di una verifica fiscale allora si tratta di acquisizione della notizia di un reato flagrante per cui la polizia giudiziaria può procedere alla perquisizione ai sensi dell’art. 352 c.p.p.
Ritengo comunque molto importante l’affermazione del principio.
Il punto dell’ordinanza del Tribunale della libertà riportato più sopra per esteso, poi, è interessante perché da un lato esclude la configurabilità del reato quando non sussista il fine di commercio (da accertare in loco), e dall’altro per le affermazioni di metodo relativamente ai sequestri che possono ricavarsi, ancorché il testo non sia chiarissimo.
Sull’interpretazione della locuzione “a scopo commerciale” contenuta nell’art. 171-bis l.633/41 è ben nota la discussione circa il contenuto della stessa, anche in relazione alle discrepanze tra il testo della norma, quello della legge delega e quello della direttiva (cfr. per un’esauriente trattazione della questione, G. D’Aietti, La tutela dei programmi e dei sistemi informatici, in Profili penali dell’informatica, Giuffrè, Milano, 1994, p. 48 ss.); l’esame della questione ci porterebbe lontano ed esula dall’oggetto specifico di questo intervento, per cui mi riservo di tornarci sopra con un altro scritto ad hoc.
Quanto invece ai metodi di esecuzione dei sequestri, ritengo indispensabile, anche alla luce dell’esito dell’operazione di cui sopra, che necessariamente intervenga alle operazioni anche una persona esperta in funzione di ausiliario di p.g., il quale sappia discriminare tra software per il quale non occorre licenza d’uso (si pensi proprio ai driver per schede grafiche, venduti con l’hardware e disponibili in quantità e liberamente presso tutti i BBS, oltre che su Internet, la cui massima diffusione corrisponde ad un preciso interesse commerciale del produttore dell’hardware stesso), e quello invece oggetto della rigorosa tutela approntata dall’art. 171-bis l. dir. aut. Il problema si pone con particolare delicatezza quanto al software già installato su computer; in questi casi, infatti, il sequestro della macchina può comportare un pregiudizio che va oltre le finalità di tutela penale del software stesso, specialmente se l’hardware è utilizzato in attività professionali o produttive. La p.g. in casi siffatti, su input del PM, dovrebbe procedere al sequestro mediante rimozione del software ritenuto illecito, copiandolo su altro supporto magnetico (l’ideale sarebbe l’utilizzazione di un WORM, per le intrinseche garanzie di inalterabilità della copia, e quindi della prova, che questo mezzo fornisce), senza asportare in alcun modo il computer.
Mi rendo conto che ciò costituisce una complicazione, anche in termini di tempo, delle operazioni di acquisizione della prova, tuttavia in questi casi le ragioni dell’indagine si scontrano con quelle della proprietà e dell’impresa ed anche della presunzione del possesso di buona fede delle cose mobili (art. 1147 c.c.).
Spero con queste brevi e povere note di avere fornito al forum utili spunti di discussione.
Altri seguiranno.
(26.05.95)
Daniele Coliva, avvocato in Bologna, si interessa di problemi di diritto dell’informatica e informatica giuridica
Originale su Interlex
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