PC Professionale n. 160 – luglio/agosto 2004
Peer2Peer: convertito il decreto Urbani. Sono già in arrivo le modifiche?
di Andrea Monti
Come era prevedibile il famigerato “decreto Urbani”, emanato dal ministro dei Beni culturali per contrastare la pirateria su Internet, è stato convertito in legge (precisamente la numero 128 del 21 maggio 2004).
Non intendo, in questo articolo, occuparmi delle paradossali e inqualificabili vicende che sono culminate nella conversione in legge di questo decreto, e in particolare delle dichiarazioni confuse del governo sul “non prendersela con i giovani”, i balletti dell’opposizione che prima presenta questioni di costituzionalità ed emendamenti, per poi ritirarli in cambio della “promessa di cambiare la legge”, fino alle dichiarazioni del ministro Urbani secondo le quali il suo decreto doveva essere convertito anche se era sbagliato, tanto poi lo si sarebbe modificato. Infatti, ciò che conta adesso è capire quali sono le regole che gli utenti della rete devono seguire per evitare di incorrere, loro malgrado, in spiacevoli procedimenti giudiziari.
Tutte le opere dell’ingegno che vengono immesse in rete devono essere dotate del “bollino virtuale”. Cioè di una dichiarazione che attesti l’avvenuto pagamento dei diritti SIAE, con l’indicazione delle sanzioni per chi viola la legge sul diritto d’autore. In questo modo l’utente che scarica musica e video non ha scuse: l’assenza del “bollino virtuale” implica automaticamente che l’opera è diffusa illecitamente. A prescindere dagli aspetti tecnologici, si tratta di una norma vessatoria per gli autori indipendenti e culturalmente incivile, che aumenta lo strapotere della SIAE e segna un ulteriore avanzamento nell’attribuzione a questa struttura del diritto di stabilire cosa sia “arte” e cosa no.
La seconda nota dolente arriva dalla modifica dell’art. 171 ter della legge sul diritto d’autore che punisce le azioni illecite commesse a danno di opere audiovisive. Allineando l’articolo al precedente 171bis (che si occupa specificamente di software) la modifica rende punibili gli illeciti compiuti “per trarne profitto” (prima si parlava, più restrittivamente, di azioni commesse “a scopo di lucro”). In pratica questo significa che prima della modifica era, sostanzialmente, punito chi vendeva copie abusive. Ora può essere punito anche chi compie il reato per fini diversi dall’arricchimento economico.
Viene poi specificato che la norma si applica, esplicitamente, a chi “comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche… un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore”. Ma siccome l’art.171 ter ancora dice esplicitamente che non c’è alcun reato se il fatto è commesso per uso personale, vuol dire che tutte le modifiche della legge Urbani non si applicano con l’ampiezza che la SIAE e il ministro avevano immaginato. In pratica, non sono reato tutte quelle azioni, pur descritte nell’articolo in questione, i cui effetti rimangono all’interno della sfera privata del soggetto.
Così, se è illecito mettere a disposizione di chiunque opere protette (ma non c’era bisogno di modificare la legge per ottenere questo risultato), era e rimane lecito effettuare copie private pur non possedendo l’originale, perché le duplicazioni sono effettuate su supporti per i quali, a monte, si paga già l’equo compenso (impropriamente definito la “tassa”).
Novità anche per quanto riguarda i fornitori di connettività e servizi. Il testo del decreto li trasformava in veri e propri “poliziotti part-time”, obbligandoli a denunciare i propri utenti. Ora questo obbligo è stato annacquato eliminando il riferimento diretto agli ISP e stabilendo che il Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero degli Interni “raccoglie le segnalazioni di interesse” per la prevenzione e la repressione dei reati in materia di diritto d’autore. La norma è, tuttavia, ambigua e probabilmente incostituzionale perché attribuisce al potere esecutivo (un ministero) funzioni di raccolta di denunce penali (perché di questo si tratta) che invece spettano esclusivamente alla magistratura.
Brutte notizie anche sul fronte dei prezzi. Sempre in base al principio che siamo “delinquenti presunti” e che quindi useremo questi oggetti per duplicare abusivamente opere protette, la “tassa” è stata estesa anche ai masterizzatori e ai software di masterizzazione. Andando quindi a colpire anche utenti – la maggioranza, per la verità – che impiegano questi strumenti per lavorare e non per registrare canzonette.
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