di Andrea Monti – PC Professionale n. 245
Una controversa delibera dell’Autorità per le comunicazioni le autoassegna il potere di “spegnere la rete” a comando, scavalcando le competenze della magistratura
La delibera dell’Autorità garante per le comunicazioni (AGCOM) annunciata per il 6 luglio 2011 che consentirebbe di killare “in via amministrativa” risorse di rete in violazione del diritto d’autore è incostituzionale, illecita e – nella pratica – inapplicabile. Fino a quando, infatti, gli illeciti sul diritto d’autore sono puniti dalla legge penale non è possibile per altri poteri (siano essi ministeri o autorità indipendenti) “sovrapporsi” o addirittura anticipare le valutazioni compiute da un magistrato sull’opportunità di sequestrare un server o dei singoli file, secondo le regole del codice di procedura penale. Di conseguenza, l’AGCOM può fare ben poco per superare questo muro invalicabile costruito dalla Costituzione.
Ma allora, di cosa si preoccupano “protestanti a comando”, “massimi esperti” e politici (ignoranti e/o in malafede) che con vent’anni di ritardo si rendono conto che la telematica è uno strumento insostituibile di democrazia partecipativa? Presto detto: invocano lo spettro della censura contro la libertà di espressione. Semplice, no?Si, semplice, se non fosse che dal loro loggione stanno “fischiando” lo spettacolo sbagliato.
Quello di cui nessuno sembra essersi reso conto, infatti, è che l’annunciata delibera dell’AGCOM è solo l’ultimo atto di una tragedia (che sarebbe una farsa, se la situazione non fosse così grave) iniziata diversi anni fa e che ha visto le lobby dell’audiovisivo (alle quali si sono aggiunte quelle della televisione e più di un politico) tentare con ogni mezzo di ottenere lo spegnimento immediato e a comando di contenuti a vario titolo sgraditi. E poco importa se questo è in contrasto con la separazione dei poteri dello Stato, il diritto di difesa, con la libertà di impresa. Cioè con i principi di qualsiasi (decente) democrazia occidentale. Senza voler tornare agli albori dell’internet italiana, con le famigerate modifiche alla legge sul diritto d’autore (da ultima quella sul P2P), a partire dal 2009 si sono registrati numerosi tentativi di imporre leggi dai contenuti analoghi a quelli della famigerata delibera AGCOM.
E’ il caso della proposta C2188 dell’on.Barbareschi e di quella C2195 dell’on.Carlucci (entrambi lavoratori dello spettacolo e della televisione eletti nel PDL) risalenti ai primi mesi del 2009. Con motivazioni (parzialmente) diverse (tutela del diritto d’autore e dei minori, la prima, reputazione e “tutela della legalità in internet” la seconda) le due proposte erano accomunate da una voglia di giustizia sommaria che si traduce nel trasferimento al Governo di poteri di vigilanza e controllo che sono, invece, di esclusiva competenza della magistratura.
A maggio 2009 arriva in Italia l’eco proveniente dalla Francia dell’approvazione di una legge (poi cassata ma infine riproposta) nota come “pacchetto Sarkozy” e che prevedeva la ghigliottina elettronica della linea di accesso decisa – guarda un po’ – da una autorità amministrativa invece che da un tribunale. Subito si pensò di fare il porting del modello in questione, cosa che però non risucì per incompatibilità degli ambienti di sviluppo (la Costituzione italiana e quella francese).
Nel dicembre 2009 arrivò a conclusioni anologhe il ministro degli interni Maroni, che a seguito dello sconsiderato fiorire di gruppi Facebook a sostegno di un gesto altrettanto sconsiderato (il lancio della statuetta che ferì il presidente del consiglio) convocò il mondo delle telecomunicazioni italiane in una maxi-audizione per chiedere un’autoregolamentazione diretta ad elminare contenuti controversi dalla rete senza attendere le lungaggini della burocrazia giudiziaria. Anche in quella sede gli fu fatto notare che se un contenuto è illegale, allora ci può e ci deve pensare la magistratura (che, se volesse, potrebbe intervenire nel giro di 24/48 ore), ma se è “soltanto” controverso, sgradevole o irritante, allora nessuno può far nulla.
Morale, anche quel tentativo si tradusse in un nulla di fatto e il codice di autoregolamentazione che era stato annunciato come cosa da fare nel giro di pochissimo tempo non vide mai la luce. Letta in una prospettiva storica, dunque, la contestata delibera dell’AGCOM non è altro che l’ennesimo colpo d’ariete contro il muro delle garanzie giuridiche poste a tutela di ciascuno di noi e che vanno ben oltre le questioni legate a canzonette effimere, film da mezza stagione e spettacoli televisivi che se non ci fossero staremmo meglio tutti.
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