di Andrea Monti – Copyright CGIL 22 luglio 1997
Cgil Nazionale – Ufficio Nuovi Diritti
“Internet: libertà e censura”
Roma, 22 luglio 97
Per chiarire il mio pensiero vorrei cominciare con dei saluti un po’ atipici: “Benvenuto all’accolita di pedofili e delinquenti che è riunita in questa sala.”
Si, perché l’utilizzo di Internet sembra legittimare nella mente di parecchie persone l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico di una categoria che nessuno, nemmeno Arturo Rocco si era sognato di prendere in considerazione, e cioè la cosiddetta colpa per tipo d’autore. Non si è responsabili per ciò che si fa, ma responsabili per la rispondenza del proprio essere ad un prototipo, chi usa Internet è un delinquente: questa è l’equazione che da qualche anno è assolutamente presente nell’immaginario collettivo complice una informazione veramente povera di contenuti e idee.
Il mio intervento – per deformazione professionale – sarà assolutamente pratico e spero estremamente sintetico soprattutto lasciare spazio alla discussione. Veniamo al punto. Internet, censura e libertà è un tema che vede fondamentalmente due interlocutori, due macro interlocutori: da una parte le leggi, cioè lo Stato e dall’altra parte la società civile. Quest’ultima invero si è rivelata assolutamente latitante di fronte ad una vera e propria tracimazione normativa cominciata dal ’92 con l’approvazione della legge sul software, proseguita nel ’93 con la legge sui crimini informatici, poi con la parziale regolamentazione dei servizi di telecomunicazioni (d.lgs.103-95) fino ad arrivare alla recente legge sui dati personali (e non sulla privacy, come erroneamente si continua a chiamarla), tanto per citare i provvedimenti più noti. Questa situazione, caratterizzata da una pressoché totale assenza di coordinazione fra le varie leggi e da forti approssimazioni del Legislatore, rischia di causare danni veramente notevoli allo sviluppo e alla diffusione dei sistemi dei telecomunicazioni (che non chiamerò “nuovi” perché Internet ad esempio ha già almeno una trentina di anni e quindi comincerebbe quasi a entrare nell’età matura).
A fronte del diluvio normativo del quale parlavo, anche il versante giudiziario non lascia presagire nulla di buono. Dal 1994 in poi si sono infatti verificate in Italia molte operazioni di polizia, indagini, processi più o meno giunti alla cognizione del grande pubblico i cui esiti suscitano parecchi spunti di riflessione. Andando per ordine, la legge sulla tutela del software ha dato origine a quello che la sotria ricorda come Italian crackdown, l’operazione che ha coinvolto oltre 160 BBS e che è stata la prima su larga scala ad aver dato la sveglia al mondo telematico: signori ci siamo, sappiamo cosa fate e in qualsiasi momento siamo in grado di sapere esattamente dove siete, cosa state facendo e quindi siamo anche in grado di staccarvi il cavo. Vengo alla legge sulla riservatezza dei dati personali. E’ una legge sulla quale pochi hanno veramente cercato di fare qualcosa e di sicuro c’è da registrare una latitanza anche di certa parte della politica, della sinistra certamente, e questo è un inciso assolutamente polemico, dichiaratamente tale. E’ una legge sbagliata, fatta male (due decreti di modifica nei primi due mesi di entrata in vigore è un primato del quale non andare fieri), nei confronti della quale la sinistra è stata di fatto assente. Non mi si vengano a citare gli atti parlamentari, gli interventi, gli emendamenti e via discorrendo, il dato di fatto è che il testo licenziato dalle Camere è un di fatto inapplicabile, non lo dico io, lo dicono tutti coloro che devono, a vario titolo, ci si devono confrontare. Allora, mi domando e vi domando, con che prospettive parlare di censura e di libertà quando chi dovrebbe costituire il punto di riferimento, anche da un punto di vista istituzionale, di fatto si disinteressa di questi temi? I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Chiudo questo brevissimo intervento con due considerazioni, una riguarda la proposta di legge Serafini, ahimè, ancora una volta di matrice di maggioranza, e l’altra un paio di casi recenti, gravi esempi di censura unilateralmente decisi da alcuni imprenditori. Per quello che riguarda la cosiddetta futura legge Serafini, quella norma introduce un articolo nel Codice Penale che funziona in questo modo: chiunque diffonde, anche telematicamente, materiale pornografico avente per oggetto i minori, è punito. Premesso che nessuno qui è in qualche modo minimamente favorevole ad abusi commessi sui minori, come nessuno è favorevole o intende avallare abusi commessi nei confronti di qualsiasi essere umano, c’è da dire che il dato testuale di quella norma è farneticante. È farneticante perché non significa niente: “chiunque diffonde, anche telematicamente, è punito”. Sarebbe come dire: “chiunque uccide, anche con una teiera, è punito”. Qual è la specificità criminale o criminogena della teiera o della telematica? Nessuna, sarebbe stato diverso nel caso in cui si fosse detto: “Chiunque diffonde materiale pornografico è punito, se lo fa telematicamente è punito in modo più grave”, conclusione sistematicamente più accettabile ma assolutamente non condivisibile sotto il profilo culturale perché è portatrice, come già per la legge sui dati personali, come già la legge sui reati informatici, di un approccio assolutamente criminalizzante della telematica. La telematica, come è stato già giustamente e ampiamente sottolineato da Giancarlo nella sua relazione introduttiva, è semplicemente uno strumento, e gli strumenti – senza imbarcarci nell’annosa polemica – di per sé, sono neutri. Ora, che senso ha inserire nel Codice Penale una norma strutturata in quel modo, alla quale qualcuno dovrà sforzarsi di dare un senso? Io ho paura del senso che si cercherà di attribuire a questa norma.
Veniamo ai casi concreti, per vedere che cosa poi succede quotidianamente nella rete, fatti che la gente non conosce ma che sono di certo inquietanti. Quando si è cercato di impostare un discorso di tutela della libertà di espressione a proposito delle newsgroup che in parte veicolavano materiale pornografico, si è stati tacciati di essere, nella migliore delle ipotesi, dei pervertiti (da qui il mio incipit). Ciò è accaduto mettendo assolutamente in secondo piano il vero nodo da sciogliere, quello del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e di esserne in proprio responsabile; sennonché un aiuto insperato è giunto dalla Warner-Chappell Nuova Carish. Per il tramite dei loro legali, queste società hanno richiesto la chiusura di una newsgroup nella quale sarebbero, a loro dire, stati veicolati degli spartiti tutelati dal diritto d’autore. Potrebbe sembrare un off topic ma non è così; adesso stiamo parlando di volgarissimi soldi, quindi nessuno può essere tacciato di particolari inclinazioni personali quando dice che questa richiesta, formulata nei confronti di coloro che veicolano le newsgroup, è inaccettabile nella forma e nella sostanza. È inaccettabile perché se anche in rete, e vivaddio lo hanno ribadito anche i Ministri di tutt’Europa nel recente incontro di Bonn, se in rete si applicano le norme che vigono nel mondo normale (posto – con tutte le dubitative – che la rete sia un mondo anormale) allora si risponde per il solo fatto proprio e colpevole. Se qualcuno in una newsgroup ha inserito uno spartito che viola i diritti di qualcun altro, che venga identificato e eventualmente punito, ma non si vede cosa c’entri chi ha la sola responsabilità di veicolare in modo del tutto automatico questo tipo di messaggi. Il punto è che è stato molto più semplice rivolgersi ai fornitori di servizi o al GARR pregiudicando i diritti di tutti, piuttosto che imbarcarsi in costose e faticose ricerche per andare a trovare chi materialmente ha inserito quel testo. E’ un caso molto grave; nessuno ne ha parlato (tranne probabilmente Alcei e forse qualcun altro) ma si tratta di un chiaro esempio di quanto strisciante possa essere la censura.
Guardate come si è già spostato indietro il paletto. Sulla pornografia minorile probabilmente ci sarebbe stato un consenso pressoché unanime nel chiudere i gruppi alt.sex.casalinghe.soiochecosa, e infatti molti altri provider italiani hanno già provveduto in questo senso, decidendo peraltro in modo assolutamente unilaterale cosa è giusto e cosa è sbagliato per l’utente. Censura latente forse, ipocrisia esplicita certamente. Non intendiamo offrire ai nostri clienti servizi basati sulla pornografia, dicono questi provider, e quindi eliminiamo le newsgroup porno… ma allora perché lasciano in piedi la navigazione tramite la quale è chiaramente possibile ottenere servizi analoghi o nei quali si parla di estremismi o di atri argomenti scomodi? Il terrorismo è meno pericoloso della pornografia? Attenzione, se la risposta fosse che in questo caso è l’utente a scegliere dove andare allora la chiusura di certi gruppi di discussione sarebbe immotivata, perché anche le newsgroup qualcuno dovrà pur andarsele a cercare! A margine, prendo atto che questi provider si dichiarano in grado di controllare che i servizi da loro offerti non siano a carattere pornografico evidentemente monitorando i contenuti, affermazione che negli Stati Uniti è costata a Prodigy una pesante condanna… in bocca al lupo!
Torniamo a noi. Quando il paletto è sul limite della pornografia minorile siamo tutti d’accordo, dicevamo… mettiamoli al rogo, fuciliamoli, castriamoli e via discorrendo; adesso però il paletto è stato arretrato, stiamo parlando dei diritti d’autore, cioè di soldi. Qui le cose cominciano ad essere discutibili e i contorni sfumati, soprattutto perché adesso cominciamo a parlare di metodi, non di responsabilità. È giusto chiudere l’intero gruppo, andando a colpire magari anche un utente che dice: signori guardate, la Warner Chappel ha appena pubblicato l’ultimo spartito dei Nirvana, compratelo perché è fatto molto bene. Perché questa persona dovrebbe subire una limitazione dei propri diritti per colpa di qualcuno che ne ha violati di altri? Questo è inaccettabile, e siamo arrivati al problema dei diritti d’autore. Qualcuno poi penserà bene di spostare il proprio paletto perché la newsgroup sui consumatori che denuncia determinati disservizi o pratiche di dumping e via discorrendo, non è politically correct… arretriamo ancora il paletto. Dove andremo a finire di questo passo?
Chiudo con una constatazione assolutamente pessimistica. Il tipo di utenza che si sta affermando in Internet, persone che hanno praticamente tutto e subito (computer potenti, modem veloci, browser grafici), non ha avuto modo di maturare una esperienza significativa in rete. Ci sarà un processo sistematico di deresponsabilizzazione dell’utente che non si preoccuperà affatto dei propri diritti: chissenefrega, me ne vado sul web, giro, non ho particolari problemi, che vogliono questi che mi parlano di censura, di autoregolamentazione e via discorrendo? Fa senz’altro molta più paura l’ordinanza del Sindaco che istituisce i parcheggi a pagamento!
Nel frattempo le cose vanno avanti e i bit stanno a guardare.
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