Se fondatori e cittadini del Sovrano Stato Teocratico Antartico di San Giorgio hanno commesso illeciti e se questo staterello sia legittimo o meno, sono questioni che saranno decise dalla magistratura. Tuttavia, i problemi evidenziati da questa iniziativa e frettolosamente liquidati come estemporaneità o ennesima espressione della furberia italiana sono molto più complessi. Riguardano, infatti, il concetto stesso di Stato e, in particolare, i criteri per distinguere uno Stato “originale” da uno “patacca” di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech.
In sintesi: uno Stato è tale se viene riconosciuto da qualche altro Stato anche se non necessariamente da tutti gli Stati. Il caso più noto al grande pubblico, per essere recentemente balzato agli onori della cronaca, è Taiwan, ma non è certo l’unico. Israele, per esempio, non è riconosciuto da 28 Paesi mentre il Somaliland non ha alcun riconoscimento internazionale. Il Bouthan intrattiene rapporti diplomatici con una cinquantina di Paesi fra i quali non c’è l’Italia; e viste la capacità di produzione di energia e il ruolo di cuscinetto fra Cina e India sarebbe abbastanza inopportuno liquidare la cosa con la nota espressione del vernacolo romanesco. Molti altri sono gli esempi che si potrebbero fare.
Di conseguenza, non è così automatico liquidare lo Stato di San Giorgio (e, prima di lui, il Principato di Sealand) come non-entità prive di soggettività politica internazionale. Basta ricordare, infatti, che la Serenissima Repubblica di San Marino nacque, così vuole la narrativa tradizionale, da una piccola comunità insediatasi sul monte Titano e che la sua indipendenza fu garantita non dalla propria forza militare ma dalla disponibilità delle grandi potenze che le consentirono di sopravvivere. Depurata dalla retorica risorgimentale, anche l’unità d’Italia è stata costruita “per fatti concludenti” nell’ambito degli equilibri geopolitici dell’epoca; per non parlare del fatto che più o meno nello stesso periodo il Belgio è stato disegnato da Inghilterra e Francia sulla cartina geografica politica dell’Europa.
Dunque, se vale il principio del “diritto coloniale” in base al quale chi arriva su una terra di nessuno ne diventa il proprietario e ha il diritto di impedire a chiunque di occuparla, che differenza c’è fra il Nuovo Mondo scoperto da Colombo e gli Stati fondati dai “padri costituenti” di Sealand o di San Giorgio? Da un punto di vista teorico, nessuna. In termini pratici, invece, la sopravvivenza del neoproclamato Stato dipende da due elementi: la capacità di difendersi da ingerenze esterne e l’interesse degli altri attori internazionali a tenere in vita l’ultimo arrivato.
Per capire l’importanza del tema basta sostituire “Sealand” e “San Giorgio” con “Luna” e “Marte”. Sul nostro satellite (ma, poi, “nostro”, perché?) svetta la bandiera a stelle e strisce. Quindi una prima forma di attribuzione territoriale statale già esiste; quando Russia e Cina rivendicheranno i propri spazi si dovrà gestire un conflitto diplomatico di non semplice soluzione, ma pur sempre nell’ambito del confronto fra soggetti politici dotati di sovranità. Ma se Musk o Bezos arriveranno per primi su Marte e pianteranno la “propria” bandiera —magari nella forma di moduli che consentono la permanenza umana — perché non dovrebbero rivendicare l’autonomia del proprio “regno” dagli altri Stati della Terra? Messa in questi termini, la vicenda sembrerebbe la trama di un romanzo di Isaac Asimov o di un anime giapponese —Gundam, tanto per citarne uno— ma non è così.
Prima di prendere in giro Sealand o lo Stato di San Giorgio, dunque, sarebbe preferibile fare qualche riflessione sul futuro che ci aspetta. Una piattaforma in acque internazionali o una fetta di terra sperduta ai confini del mondo saranno anche una curiosità o un mezzo per eludere la legge. Decidere chi ha il potere di creare uno nuovo Stato (magari su un altro pianeta) è una questione tremendamente seria per la sopravvivenza di tutto il genere umano.
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