Il governo ha preso la decisione di “gestire” la “fase 2” sulla base di una “Valutazione di politiche di riapertura utilizzando contatti sociali e rischio di esposizione professionale” basata su analisi statistiche. E’ un documento importante perché fornisce, su base “scientifica” gli elementi per definire le scelte operative che consentono il ritorno verso la (a)normalità. “Era ora!” si potrebbe dire, “finalmente qualcuno si è deciso ad utilizzare i numeri in modo corretto, invece di calcolare percentuali su dati inattendibili e dedurre “trend” di mortalità e letalità sulla base di definizioni confuse e carenti!”
L’entusiasmo per un ritrovato rigore nell’uso dei numeri, però, finisce subito dopo la lettura delle prime pagine perché questo documento genera molte perplessità.
Iniziamo dalla “dichiarazione di metodo” con la quale si apre il documento:
La diffusione epidemica è simulata sulla base di un modello di trasmissione SIR stocastico, strutturato per età. Il modello tiene conto della struttura demografica italiana, dell’eterogeneità dei contatti sociali a diverse età nei diversi luoghi di aggregazione e del rischio di esposizione stimato per diverse categorie professionali
Che vuol dire? Vuol dire che è stato scelto un modello statistico la cui creazione risale al 1927 e successivamente modificato che fornisce – come spiega bene questo studio del prof. Andrea Pugliese dell’università di Trento e ripreso dalla Società italiana di matematica applicata e industriale – degli strumenti di calcolo i cui risultati dipendono dalle informazioni in possesso di chi lo utilizza. Si capisce leggendo lo studio del prof. Pugliese che:
- per calcolare la probabilità che un soggetto sia ancora infetto dopo il contagio e quella che chi ci entra in contatto venga a sua volta contagiato bisogna conoscere il momento del contagio,
- per calcolare la durata del periodo di incubazione bisogna conoscere l’intervallo di tempo fra il contagio e l’insorgenza dei sintomi,
- anche il calcolo del cosiddetto “intervallo seriale”, la distanza temporale fra l’insorgenza dei sintomi in un contagiato e l’insorgenza dei sintomi in una persona infettata da costui, dipende dalla possibilità di conoscere questi valori,
- la possibilità di individuare un intervallo di tempo abbastanza ristretto da consentire di ignorare le morti per altre cause.
Un altro fattore di incertezza strutturale dei risultati di un modello epidemiolgocio è che la valutazione di contagiosità può essere stimata (sottolineo, stimata) in due modi: con la “legge di azione di massa” applicata alla dinamica del contagio (chiunque può infettare chiunque a prescindere dai contatti passati) o con modelli più complessi che introducono variabili relative alle caratteristiche degli individui. La legge di azione di massa funziona per le molecole dei gas che, pur “agitandosi” individualmente in modo casuale, complessivamente si muovono verso la stessa direzione. E’ evidente anche a un inesperto come me che l’applicazione di questa legge alla dinamica del contagio è irrealistica ma, citando testualmente lo studio del prof. Pugliese,
la semplicità della legge di azione di massa permette di effettuare un’analisi teorica precisa e quindi di raggiungere conclusioni potenti.
Un’altra scelta metodologica che condiziona i risultati prodotti da un modello di diffusione del contagio è decidere se il la distribuzione del contagio sia “esponenziale” o no. Dico “decidere” non ” calcolare” perchè (cito sempre lo studio del prof. Pugliese)
L’ipotesi che il periodo di infettività segua la distribuzione esponenziale, equivale a supporre che la probabilità di guarire non dipenda da quanto a lungo un individuo è stato infetto; come è intuitivo, in genere le distribuzioni effettive sono molto lontane dall’esponenziale. Però la distribuzione esponenziale ha il grosso vantaggio di trasformare il sistema (1) consistente in un’equazione differenziale e un’equazione integrale accoppiate in un sistema di equazioni differenziali ordinarie che sono molto piu semplici da analizzare e da approssimare al computer.
In altri termini: dobbiamo scegliere se usare un metodo meno preciso ma più “potente” o un metodo più preciso ma meno efficace.
Attenzione, questo non significa che i modelli statistici non servono o che “danno i numeri al lotto” ma che, come tutte le teorie scientifiche, hanno un valore in funzione delle ipotesi e della assunzioni sulla base delle quali sono sviluppati. Sono utili e importanti, ma bisogna sapere come “maneggiarli”. Di conseguenza la cosa fondamentale da capire, quando si leggono modelli statistici, è che forniscono gli strumenti per ottenere valori, ma non forniscono “verità”. In altri termini, una volta costruito il modello secondo alcune assunzioni e applicando correttamente la matematica, i risultati che produce dipendono, oltre che dalle “scelte di progettazione” dai valori inseriti. Dunque, se i valori sono inseriti a ca…so anche i risultati hanno la stessa caratteristica. Garbage in, garbage out.
Fatta questa lunga premessa, ci si sarebbe aspettato che il documento del Comitato tecnico scientifico dichiarasse esplicitamente quale fra i tanti “modelli stocastici” è stato scelto, perchè quello e quale ratio fonda assunzioni come
Nel modello abbiamo quindi assunto che in fase di lockdown in Italia i contatti sociali fuori casa/scuola/lavoro (ovvero nei trasporti, per il tempo libero e per le altre attivita? sociali) si siano ridotti al 10% di quelli osservati in assenza di
epidemia. I dati forniti da INAIL suggeriscono anche che il 15% dei lavoratori utilizzi un mezzo pubblico. Sulla base di queste evidenze, e? ragionevole 1 pensare che in caso di riapertura di alcuni settori produttivi ci possa essere un aumento dell’utilizzo dei trasporti sia da parte dei lavoratori che da parte del pubblico e abbiamo assunto che i contatti dovuti al trasporto pubblico aumentino al 20%.2 Abbiamo inoltre assunto che in corrispondenza dell’apertura del settore commerciale e della conseguente necessaria riduzione delle limitazioni alla circolazione delle persone, i contatti dovuti alle “Altre attivita?” (ovvero quelli dovuti alla frequentazione di negozi e servizi) ritornano ai valori normali (100%).3 Abbiamo assunto inoltre che i contatti legati al Tempo libero aumentino solo in caso di riapertura delle attivita? di alloggio e ristorazione 4; sulla base dei dati di uso del tempo forniti da ISTAT, abbiamo calcolato che il tempo speso in luoghi di ristorazione rappresentano il 24% delle attivita? di Tempo libero5; di conseguenza, abbiamo assunto un aumento di questo tipo di contatti dal 10% al 34%.6 Si assume che non aumentino i contatti dovuti ad attivita? all’aria aperta, e ad attivita? sportive e ricreative.
Il documento continua con l’elenco di ulteriori “assunzioni” (cioè ipotesi sul valore di determinate variabili e non di una loro misura oggettiva) che popolano di dati i differenti “scenari” ipotizzati dalla Commissione tecnico scientifica.
Ora, anche dato per scontato che il modello statistico utilizzato sia corretto, se i valori iniziali sono “assunti” (cioè “arbitrari”) i risultati contenuti nel documento hanno un valore puramente virtuale perchè come diceva Lord Kelvin:
When you can measure what you are speaking about, and express it in numbers, you know something about it; but when you cannot measure it, when you cannot express it in numbers, your knowledge is of a meagre and unsatisfactory kind 7
Ma, come era facile prevedere (anche senza l’uso di “modelli stocastici”) i media hanno assolutizzato dei risultati ampiamente “virtuali” spargendo a piene mani paura e incertezza a colpi di nuovi sovraccarichi delle terapie intensive e numeri di vittime da Prima guerra mondiale, facilitati in questo dalla comunicazione ambigua del Governo e prima ancora del Comitato tecnico scientifico che avrebbero dovuto dire chiaramente quali erano i limiti di questo studio e perchè sono state “assunte” certe decisioni, invece di limitarsi al “me lo ha detto la scienza”.
Una considerazione emerge in modo chiaro da questa vicenda, e cioè che complicare le cose abbatte la capacità di comprenderle a fronte della progressiva “infantilizzazione” della cultura occidentale indotta dall’uso di smartphone e tablet.
Francamente non credo che questo documento sia stato deliberatamente scritto e “comunicato” in modo quanto meno discutibile. Potrebbe, “semplicemente” essere uno strumento per legittimare formalmente una scelta politica o per defletterne le conseguenze negative e le polemiche scaricando “sulla scienza” la responsabilità della decisione, come accadde per esempio nel caso della “potabilizzazione per legge” dell’acqua nel caso dell’atrazina. Ma in termini generali è senz’altro arrivato il momento di aggiungere alla prima legge dell’apocrifo Goebbels, “ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”, una seconda legge della propaganda: “complicate abbastanza una bugia, e tutti la prenderanno per vera”.
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