di Andrea Monti – PC Professionale n. 186
La sentenza n. 553/04, emanata il 26 maggio 2006 dal tribuna-le penale di Aosta, riaccende il dibattito sulla responsabilità dei contenuti diffusi tramite un sito web (nel caso specifico, un blog).
Il giudice ha stabilito che
il sog getto che aveva in disponibilità la gestione del blog, […] risponde ex art. 596 bis c.p., essendo la sua posizione identica a quella di un direttore responsabile.
Al di là dei distinguo formali, scrive il giudice, sulla natura editoriale di un sito web,
colui che gestisce il blog altro non è che il direttore responsabile dello stesso, pur se non viene formalmente utilizzata tale forma semantica per indicare la figura del gestore e proprietario di un sito Internet, su cui altri soggetti possano inserire interventi.
Questa sentenza è stata molto criticata per l’estensione al “normale” gestore di un sito delle forme di responsabilità penale previste per il direttore responsabile di una testata giornalistica. In particolare, si è detto, l’internet non è “stampa” in senso giuridico (nel senso che la pubblicazione di pagine web non richiede stampanti, linotype, ciclostile o fotocopiatrici) e non si può applicare il regime giuridico delle testate giornalistiche anche alle pubblicazioni private. Le premesse di queste critiche sono in parte condivisibili, nel senso che sicuramente non è ammissibile pensare che la pubblicazione di contenuti in rete debba necessariamente richiedere la qualifica almeno di giornalista-pubblicista (come si potrebbe, invece, dedurre dai principi stabiliti nella sentenza).
L’art. 21 della Costituzione consente a chiunque di manifestare liberamente il proprio pensiero e quindi interpretare le norme vigenti nel senso di stabilire una “barriera di ingresso” per la pubblicazione on line costituita dal possesso del “tesserino” sarebbe una scelta semplicemente incostituzionale. Ma nel caso della sentenza del tribunale di Aosta le cose sono andate in modo leggermente ma sostanzialmente diverso da quanto si è scritto. Cominciamo, innanzi tutto, dal capo di imputazione, l’art. 595 comma 3 del codice penale. Questa norma punisce la diffamazione compiuta con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità.
Questo è il primo punto rilevante: un sito web non è sicuramente “stampa” ai sensi dell’articolo del codice penale, ma altrettanto sicuramente è un “altro mezzo di pubblicità”. Quindi, la pubblicazione on line di scritti offensivi è punita a prescindere dall’essere il sito una testata giornalistica oppure no. Sulla base dei principi generali della responsabilità penale, ognuno risponde per il fatto che commette con coscienza e volontà. Quindi, chi consapevolmente pubblica uno scritto diffamatorio in rete è responsabile del reato di diffamazione. E non ci sono “libertà di manifestazione del pensiero” che tengano.
Discorso diverso è quello della responsabilità di chi gestisce un sito di contenuti, perché si pone il problema di capire se questa persona possa essere coinvolta nelle conseguenze delle azioni compiute da altri. Va detto che il fatto che in questo caso fosse coinvolto un blog è del tutto irrilevante. Il problema di cui si occupa la sentenza è nato con l’internet. Perché già ai tempi dei primi newsgroup o mailing-list pubbliche si pose il problema della responsabilità del gestore del sistema (che, nel caso dei newsgroup, nemmeno esiste formalmente). Dunque, niente di nuovo.
Veniamo al punto: il gestore di un sito risponde (e se si, in che modo?) dei contenuti pubblicati da soggetti terzi? Se stessimo parlando di una testata giornalistica la risposta sarebbe semplice: sì. In questo caso, infatti, la legge prevede la figura del “direttore responsabile” che, appunto, può essere punito per non avere adeguatamente controllato il contenuto di quello che stava per essere pubblicato sul periodico che dirige. Nel caso di una risorsa internet che non è testata giornalistica, invece, la responsabilità di chi la gestisce non è “coperta” dalla normativa riservata alla stampa.
Ma ciò non significa “libertà di diffamare” (o di consentire ad altri di farlo) per chi non scrive sui giornali – on line o cartacei non fa differenza. In realtà, leggendo la sentenza si capisce che il giudice non ha voluto estendere il regime della responsabilità del direttore di giornale al gestore di un sito web, ma, più semplicemente, affermare un principio ovvio: “il gestore di un blog ha infatti il totale controllo di quanto viene postato e, per l’effetto, allo stesso modo di un direttore responsabile, ha il dovere di eliminare quelli (i contenuti, n.d.r.) offensivi”.
Quindi, il principio espresso dalla sentenza dovrebbe essere letto così: nella misura in cui un soggetto ha il pieno controllo di uno strumento di pubblicazione on line, e la quantità di messaggi pubblicati da terzi gli rende possibile distinguere quello che è palesemente offensivo da quello che non lo è, questo soggetto si assume la responsabilità del non cancellare il contenuto in questione.
Analoga responsabilità sussiste nel caso in cui qualcuno segnalasse al gestore del sito la presenza di uno scritto diffamatorio e il gestore del sito non provvedesse alla rimozione.
Messa in questi termini, la sentenza di Aosta sembra più ragionevole di quanto, a prima vista, poteva apparire. Perché si limita a ribadire il noto: non si è responsabili per quello che è al di fuori della propria sfera di controllo diretto.
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