Il GDPR non si applica agli ambiti della pubblica sicurezza e della sicurezza nazionale. Eppure le istituzioni europee – e tanti “esperti” – continuano a dire il contrario creando ostacoli burocratici all’adozione di misure urgenti, come il tracciamento degli spostamenti dei contagiati e la ricostruzione dei contatti.
I decreti della Presidenza del Consiglio vietano di uscire “per fare una passeggiata”, ma i giornali, in coro, scrivono il contrario.
Un giornalista dichiara in televisione che questa emergenza la stiamo gestendo con la legislazione ordinaria.
Un agente di pubblica sicurezza contesta (correttamente) a una persona la violazione degli obblighi di rimanere in casa, ritenendo che comprare il giornale non sia una necessità improrogabile. “Insorgono” “social” e politici, prima ancora che un pubblico ministero abbia potuto anche solo iscrivere la notizia di reato nel REGE.
Una catena di supermercati decide che penne e quaderni non si possono acquistare perchè non sono beni di prima necessità.
Alcune persone hanno organizzato un pic-nic in un parco perchè “avevano bisogno di prendere aria”.
Se non fosse drammatico, sarebbe molto interessante notare che in condizioni di emergenza come quelle che stiamo vivendo, la “Legge”, quella scritta con la maiuscola, non solo non interessa, ma diventa una vulgata da trasmettere a prescindere dal suo significato originale, invece di una linea guida netta e precisa.
Non è solo una perplessità accademica, ma una preoccupazione concreta derivante dalla percezione che, oramai, la legge non è quella fatta dalle Istituzioni, ma quella che la gente vuole – o pensa di volere – che sia.
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