di Andrea Monti – Copyright Mytech – Mondadori 8 settembre 2000
I garanti e le associazioni a difesa della privacy di tutto il mondo si sono confrontati sui nuovi diritti della Rete. I problemi sul tappeto: un porto franco Europa-Usa per lo scambio dei dati personali, l’intercettazione delle e-mail e il progetto per un sistema globale antipirateria
MyTech Milano 9 ottobre 2000
Venezia ha ospitato dal 27 al 30 settembre scorsi il XXII convegno annuale dei Garanti per la protezione dei dati personali sul tema Towards an Electronic Citizenship: verso una cittadinanza elettronica. Nell’ambito dell’evento va registrata anche la sessione organizzata da Epic, Privacy International e Alcei sul tema Public Voice in Privacy Regulation.
Come si conviene a un evento di questa portata, l’elenco dei partecipanti è stato molto nutrito, come anche quello dei temi in discussione. Il che non consente di dare conto analiticamente di tutti gli interventi, comunque disponibili sul sito del Garante italiano. Ciò non toglie che sia possibile “astrarre” alcune considerazioni di interesse generale, con particolare riferimento alle questioni legate alla rete e ai diritti dei cittadini.
Usa e Europa: un porto franco per i dati?
Il tema più dibattuto è stato quello dell’armonizzazione normativa a livello internazionale, e in particolare fra Europa e Stati Uniti. Le due potenze hanno infatti delle regolamentazioni talmente differenti, da rendere impossibile il trasferimento di dati personali al di là dell’oceano. Un divieto, questo, particolarmente esplicito nella legge italiana 675/96, che pur non essendo il formale recepimento della direttiva europea in materia di dati personali, ne riprende integralmente i contenuti. È ovvio che fino a ora nessuno si è neppure lontanamente sognato di vietare (come pure sarebbe legale fare) le comunicazioni con chi sta oltre oceano, ma il problema resta e va risolto politicamente. È quanto si sta cercando di fare con la creazione del Safe Harbour, una specie di “zona franca” da utilizzare per lo scambio dei dati. Una soluzione complessa già sotto il profilo teorico, figuriamoci a metterla in pratica.
Qualcuno ci spia
Un altro tema centrale nella discussione è stato quello dei sistemi di sorveglianza globale e delle indagini di polizia nella prospettiva delle autorità indipendenti e in quella dei civil right watchdog. Le (vere o presunte) accresciute necessità di prevenzione e indagine sono il cavallo di Troia grazie al quale vengono stabilite leggi e “precedenti” che poi vengono applicati anche a situazioni diverse. È il caso della normativa sulle intercettazioni, che negli Stati Uniti impone alle compagnie telefoniche e ai provider di predisporre appositi sistemi a disposizione delle autorità (la legge si chiama Calea), mentre il Fbi si appresta a lanciare Carnivore un sistema di intercettazione della posta elettronica. In Europa, l’Inghilterra vara il Rip Bill, una legge dai contenuti analoghi, mentre l’Unione Europea, nella direttiva 31/2000 sul commercio elettronico stabilisce per i provider obblighi di controllo dei contenuti e dei comportamenti degli utenti, senza che questo richieda nemmeno un ordine del magistrato. Contenuti analoghi si rinvengono nella futura Convenzione internazionale sui reati informatici, il cui testo è stato da poco reso disponibile. Rimane sul tappeto il grave problema dei sequestri di computer, per l’ennesima volta denunciato da Alcei nel corso del suo intervento. Sequestrando interi computer contenenti dati appartenenti anche a terze parti, forze di polizia impreparate e tribunali miopi continuano a legittimare gravissime violazioni della privacy. Quando fin dal 1994 inquirenti più acculturati hanno sperimentato con successo altri sistemi di indagine, acquisendo dati ed evitando intuli compressioni dei diritti civili.
Ecms: il sistema globale antipirateria
Un argomento abbastanza inusuale – ma non per questo meno preoccupante – ha riguardato un progetto dell’Unione Europea il cui nome in codice è Ecms (Electronic Copyright Management System). Il cui obiettivo è “semplicemente” quello di creare un’infrastruttura tecnologica “chiusa” all’interno della quale i produttori di opere dell’ingegno (software, musica, video) possano vendere le loro licenze, sapendo chi, come, quando e quanto sta acquistando. Non solo, il progetto dovrebbe prevedere anche un sistema di marcatura dei file, in modo che – di fronte a una copia – sia possibile risalire a chi originariamente la aveva realizzata (con ovvie conseguenze). Insomma: non solo questo enorme ammontare di dati verrebbe chiaramente usato per profilare gli utenti, ma servirebbe anche a punirli in caso di “consumo non conforme”. In questo scenario è evidente che accettare i concetti di tutela della privacy e del trattamento dei dati personali (che sono due cose diverse) diventa sempre più scomodo per i “poteri forti” sia pubblici, sia privati. Che sono troppo preoccupati di perseguire interessi limitati e non sempre trasparenti, per tenere presente “fastidiose bazzecole” come i diritti di libertà.
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