Confisca per il sito di trading online senza autorizzazioni

Tribunale di Roma. La misura cautelare riapre il dibattito sulla mancanza di norme ponte per il web di Alessandro Galimberti e Andrea Monti – IlSole24Ore – Norme e Tributi

Confisca del sito mediante <<persistente oscuramento>>.  Il Gip di Roma, archiviando dopo tre anni l’indagine contro un sito di trading online basato in Belize ( ma operante in lingua italiana come da denuncia Consob – <myfxchoice.com>)riapre a distanza di due lustri il dibattito sulla applicabilità delle misure “apprensive” al mondo digitale. Già tre anni fa la GdF aveva sequestrato preventivamente il sito che consentiva operazioni binarie di trading al di fuori da qualsiasi autorizzazione e iscrizione all’albo, ma all’esito dell’inchiesta – arenatasi sulla ”solita” inidentificabilità del reo – il Gip ha perpetuato l’oscuramento con l’applicazione della confisca.

Già nel 2009 – sentenza 49437 – la Cassazione aveva suscitato più di una perplessità enunciando il principio di diritto in base al quale il sequestro preventivo  poteva essere eseguito, nei confronti di un sito web localizzato al di fuori della giurisdizione italiana, ordinando a Internet Provider e compagnie telefoniche di “oscurarlo”. La Terza penale aveva corretto sul punto il Riesame di Bergamo circa la misura cautelare reale.

All’epoca si osservò che eseguire un sequestro implica che la polizia giudiziaria asporti materialmente il bene coinvolto, o comunque che impedisca a chiunque di utilizzarlo. Applicare tutto questo ai bit è quantomeno problematico, e  forse inutile. A differenza di quanto accade con un sequestro preventivo,  una risorsa di rete localizzata al di fuori dei confini italiani, pur “oscurata” non solo rimane perfettamente raggiungibile da chiunque si trovi all’estero, ma continua ad essere disponibile anche in Italia a chi è dotato di minime competenze tecniche.

Non si discute, dunque, il potere di inibizione dell’autorità giudiaria (richiamato dalla Cassazione, articoli 14 e 16 del D.lgs. 70/2003), ma piuttosto l’assenza di una norma che lo tipizzi, vista l’insufficienza degli articoli richiamati che prevedono un generico potere di inibitoria ma, al pari di quanto accade con le autorità amministrative, non ne specificano contenuti e limiti. In sede civile i provvedimenti cautelari (anche in materia di proprietà intellettuale) sono flessibili e consentono anche misure atipiche; nulla vieta dunque di ricondurre questo potere di inibitoria in una delle figure già previste dalla legge. Questo non accade nel Codice di procedura penale dove —perché questo è il punto— manca una “norma ponte” che colleghi il potere di cui al D.lgs. 70/03 alla disciplina delle misure cautelari reali. Se, dunque, è comprensibile la scelta della Cassazione di interpretare estensivamente il concetto di sequestro preventivo per colmare il vuoto normativo, dall’altro lato è un fatto che oltre alle criticità di sistema che genera, questa interpretazione non produce il risultato voluto. Ciò è ancora più vero nel caso  della confisca disposta dal GIP  e in particolare in rapporto a un sito web localizzato all’estero che deve rimanere permanentemente oscurato.

È pacifico, infatti, che la confisca si traduce in una ablazione del bene dalla disponibilità del soggetto e del suo ingresso nel patrimonio dello Stato che, dunque, ne dispone uti dominus. Qui, invece, non solo non si acquisiscono la proprietà e la disponibilità del bene, ma si pongono in capo a un terzo estraneo compiti e costi di attività di cui non è parte.

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