COVID-19: gli effetti sul marketing consulenziale

E’ passato abbastanza tempo dall’inizio della quarantena per cominciare a fare qualche riflessione su come la diffusione del virus sta cambiando l’attività di consulenza professionale.

Ne ho parlato con molte aziende per cui lavoro e con diversi colleghi e consulenti e penso di poter sintetizzare quello che sta accadendo nei cinque punti che seguono. Non è un elenco definitivo, ma un primo tentativo di “mettere ordine”.

1 – Sovraccarico dell’offerta “formativa” come veicolo di “aggancio” del cliente

Per ultimo ieri, il responsabile HR di un mio cliente del settore chimico (dunque poco “appealing” per il grande pubblico) si lamentava di essere sommerso da offerte di webinar, conferenze, seminari e di non essere in grado di capire l’effettivo valore di quello che gli veniva proposto. Tutti parlavano di “cosa avevano da vendere” e nessuno si preoccupava di capire quali fossero le necessità da soddisfare.

2 – Sfruttamento della buzzword COVID-19 e carenza di proposte realistiche

Per quanto le questioni legate al COVID-19 siano senz’altro importanti, la “lista della spesa” sul da farsi è oramai chiara, il problema essendo il “come” fare le cose. Le offerte di “consulenza” rispecchiano invece l’approccio standard basato su carta e burocrazia. Non trasmettono valore all’azienda ma sono solo la riedizione del “solito GDPR” ma in un involucro diverso. Basta aprire la confezione e trovarsi nuovamente di fronte al solito blah blah.

3 – Necessità di conoscenza organizzata, autorevole e immediatamente fruibile, scarsa propensione a remunerarla

Benchè in questo momento sia fondamentale, per le imprese, avere indicazioni valide e immediatamente utilizzabili, non c’è propensione a riconoscerne il valore economico.

Un importante operatore del mondo musicale che stava cercando di capire come sfruttuare il proprio archivio di concerti, a fronte di una complessa questione di diritto d’autore sulla riutilizzazione di una registrazione dal vivo riteneva di cavarsela “con una chiacchierata”.

Questa è la conseguenza dell’offerta ‘gratuita’ di contenuti di scarso valore come esca per attirare clienti, che abbassa, nelle aziende, la percezione del valore professionale di una consulenza seria. Non solo di chi usa questi mezzucci difficilmente riesce a “farli fruttare” ma provoca danno anche a professionisti e consulenti che fanno seriamente il loro lavoro.

4 – Mancato riconoscimento delle necessità delle funzioni IT

Le funzioni IT sono quelle che, trasversalmente, hanno assunto una importanza centrale in ogni comparto perchè sono quelle che anche nella situazione di maggiore gravità hanno consentito al sistema di funzionare. Hanno acquisito ancora maggiore importanza anche in comparti dove, prima della pandemia, erano relegati a ruoli di secondo piano. Diventano un target anche per le iniziative di comunicazione ma sempre nell’ottica di vendere ferro oppure carta. Ci vorrebbe una forbice per tagliare tutte queste proposizioni commerciali che considerano le funzioni IT come dei semplici “centri di acquisto” ai quali “mollare” qualsiasi cosa, invece di rapportarsi loro come a professionisti da aiutare a capire come risolvere le difficoltà che possono avere.

5 – Deumanizzazione del rapporto professionale

La dematerializzazione dei contatti sta provocando la deumanizzazione dei rapporti. Non possiamo permetterci di perdere il valore del lato umano della comunicazione.

In un capitolo del libro su COVID-19 e public policy che uscirà per Routledge entro l’anno (spero) mi occupo del ruolo della deumanizzazione nell’assumere decisioni importanti. Non tutto quello che accade in azienda è questione di vita o di morte, ma le considerazioni che svolgo sul modo in cui il potere prende certe decisioni vale anche nel mondo imprenditoriale:

Ideology, Realpolitik – or pragmatism, in a more neutral attire – and Machtpolitik represent the ‘triangle of death’ of public policy, the lines along which flows the path to extreme decisions. But hard decisions can be taken easier, though non necessarily lighthearted, if the outcomes are far enough not to be seen, if they don’t affect directly the concerned ruler – or its executioner, or if there is some ‘higher authority’ that makes the decision ‘right’.



Dehumanization as a rationale to support or develop a policy, though, is hardly peculiar to WWII Germany. Not only, indeed, it is an essential part of the standard military training to overcome the fact that an enemy is – first of all – a fellow human being and the uneasiness coming from having to kill him; but it represents the core of ‘hard’ sciences such economics, built either on the pretended existence of Homo Economicus or other ‘predictive models’.

Like Mr. Spock, the all-logic Star Trek’s Volcanian character, Homo Economicus is supposed to act out of sheer rationality to pursue his goals. In this case, though, ‘hard’ is not used to move economics into the domain of actual sciences such as physics or chemistry. Rather, the word is used to connote the nature of a discipline that disregards humanity and disguise its fundament, egoism, behind a facade of logic and rationality.

The pursuit of his own interest, indeed, has nothing to do with calculus, and much ado with violence and greed.

Dovremmo ricordare che quando vediamo l’immagine di qualcuno in una finestra di Zoom o di Meets abbiamo di fronte una persona e non un “assistente virtuale”, un “avatar” o uno dei tanti parenti di Clippy che, grazie a dio, hanno smesso di impestare i nostri monitor.

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