Cass. Sez. II penale n. 32440/03

Presidente Sirena

Relatore Fenu

Pg Galasso

Ricorrente Vodafone Omnitel

Premessa

D.L. è stato tratto a giudizio del Tribunale di Torino per rispondere di detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici e telematici, codici contenuti nelle carte di credito telefoniche della società Omnitel (articolo 615quater Cp) e di frode informatica (articolo 640ter Cp), commessi in due tempi, in data anteriore e prossima al 30 ottobre 1999, in concorso con tale A.M., e in data anteriore e prossima al 12 novembre 1999. La società Vodafone Omnitel spa gìà Omnitel Pronto Italia spa – si costituiva parte civile. Era emerso dall’attività istruttoria che il L. aveva ricevuto da parte di persona a lui sconosciuta offerta di ricaricare il cellulare proprio e di altri dietro il versamento di somma inferiore a quella necessaria per l’acquisto della carta telefonica e, dopo aver acquisito e usato dei numeri di codice che gli erano stati segnalati, aveva fatto analogo favore a un suo collega di lavoro, tale A.M., di poi separatamente giudicato.

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Trib. Roma – Ord. 18 luglio 2003

IL TRIBUNALE
Composto da:
dr. Ernesto Caliento presidente
dr. Oronzo De Masi giudice
dr. Gabriele Muscolo giudice rel.
Sciolta la riserva
RITENUTO

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CTOSE: dalla Commissione Europea arriva uno standard per le indagini online

di Andrea Monti – PC Professionale n. 148

Allo studio una metodologia per la raccolta, conservazione e analisi delle “digital evidence”. Un difficile equilibrio tra tutela della riservatezza e indagini della polizia.
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Trib. Milano Sez. I Civile – Ord. 14 luglio 2003 – R.G. 186391/03

TRIBUNALE DI MILANO

Sezione I civile

Il giudice, dott. Claudio Marangoni;

sciogliendo la riserva assunta all’esito dell’udienza del 7/7/2003 nell’ambito del procedimento cautelare promosso da MP WEB s.r.l. nei confronti di ANSA s.c.a r.l., di ANSA WEB s.p.a. nonché di PARMA A.C. s.p.a.;

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Armani.it. Un dominio su misura.

Interlex n.ro 261

di Andrea Monti

Con la sentenza 0634-2003, il tribunale di Bergamo, I sez. civile , ha ordinato la cancellazione della parola “armani” nel nome a dominio registrato dal convenuto, inibendo allo stesso “l’uso della parola “armani” come nome a dominio, ove non accompagnata da elementi idonei a differenziarla dal marchio “Armani””.
La ratio della decisione sta nel fatto che il nome a dominio “armani.it”, registrato a fini commerciali da un incisore di nome Luca Armani (che tramite il dominio pubblicizzava i propri servizi e prodotti), lede i diritti del sarto Giorgio Armani. Essendo quest’ultimo titolare di un marchio celebre e meritevole quindi della “tutela allargata” a categorie merceologiche diverse da quelle per le quali il marchio è stato registrato.
In sostanza, il giudice ha fatto questo ragionamento: imprenditore celebre il sarto, imprenditore sconosciuto l’incisore, l’incisore “sfrutta” l’omonimia e ci guadagna “a prescindere”, come diceva Totò. Nessuno scandalo, dunque, che il giudice abbia ritenuto degna di tutela la posizione giuridica dell’Armani-sarto.
Desta invece qualche perplessità il modo in cui il giudice ha garantito la tutela al segno notorio, stabilendo la cancellazione della parola “armani” dal dominio in questione. Notoriamente un controsenso tecnico, visto che un dominio di secondo livello deve necessariamente contenere dei caratteri alfanumerici. Non è possibile “tenere in piedi” un dominio con il solo cTLD (.it, nel caso di specie). Per di più, dopo avere disposto la cancellazione della parola Armani dal nome a dominio, il giudice ne vieta l’utilizzo in assenza di altri elementi che lo distinguano dal marchio per il quale si invocava tutela. Il che è frutto di una palese contraddizione, perché se la parola Armani è stata cancellata dal nome a dominio, non può, evidentemente, essere usata con le modalità appena descritte.
E’ inoltre opportuno soffermarsi su un passaggio della motivazione che si occupa del valore giuridico delle regole di naming. Il cui vigore viene limitato, ancora una volta, al mero funzionamento interno del sistema di gestione dei nomi a dominio, senza che a queste possa attribuirsi una qualche cogenza giuridica esterna al proprio contesto operativo. “Le regole di naming dettate dalla Naming Authority – scrive il giudice – e cioè quelle che stabiliscono la procedura per l’assegnazione dei nomi a domino, costituiscono mere regole contrattuali di funzionamento del sistema di comunicazione delle rete Internet, di carattere amministrativo interno, che non possono essere utilizzate dal giudice atteso che l’autorità giudiziaria è chiamata ad applicare la legge e non una normativa amministrativa interna”.
Dunque, per il giudice bergamasco le regole di naming sono un contratto e non, come si è spesso sostenuto, un atto unilaterale dell’assegnatario che “spontaneamente” chiederebbe di ottenere l’assegnazione di un certo indirizzo. E come è noto, la (riaffermata) natura contrattuale delle regole di naming pone dei seri problemi di tenuta dell’attuale sistema delle registrazioni.

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