Meta-tag e concorrenza sleale: si pronuncia il tribunale di Milano

di Andrea Monti – PC Professionale n. 134

Chi inserisce parole nascoste in una pagina web per indirizzare a suo favore i risultati dei motori di ricerca è responsabile di concorrenza sleale. Con un’ordinanza depositata l’8 febbraio 2002 la prima sezione civile del tribunale di Milano ha affrontato il tema dell’abuso di meta-tag. Cioè del comportamento di chi inserisce parole “nascoste” in una pagina web che “forzano la mano” ai motori di ricerca, in modo che cercando il prodotto A si arrivi al web del prodotto B.
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GIP Milano Ord. 10 maggio 2002

Tribunale ordinario di Milano
Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari
Dott. Andrea Pellegrino
 
Ordinanza di archiviazione a seguito di opposizione non accolta 10.5.2002
Artt. 409 co.1, 410 c.p.p.
 
Nel proc. penale sopra epigrafato a carico di C.G. e F.F. entrambi difesi di fiducia dall’avv. Andrea Missaglia
Per il reato di cui agli artt. 51 n. 11, 616, 110 c.p. (in Milano il 31.7.01)Pers. Off.: A. A., dom. ex lege presso il dif. Avv. Mario Faggionato
 
Il Giudice per le indagini preliminari, dott. Andrea Pellegrino
 
Visti gli atti del procedimento,verificata la ritualità delle notifiche e degli avvisi, sentite le parti intervenute all’udienza camerale del 29.4.02, a scioglimento della riserva ivi assunta
 
OSSERVA
 
Con atto presentato presso gli uffici della Procura della Repubblica di Milano in data 7.11.01, l’avv. Mario Faggionato, nella sua qualità di difensore procuratore speciale di A. A., sporgeva denuncia querela nei confronti dei sigg.ri C. G. e R. F. (la prima, responsabile del reparto di project management della ditta (…); il secondo, legale rappresentante della predetta società) per il reato p. e p. dagliartt. 110 [1], 616 [2],61 n. 11 c.p.
[3] nonché per tutti gli altri reati eventualmente ravvisabili dall’Autorità Giudiziaria.
In fatto l’esponente deduceva che la A. in data 13.8.01 aveva ricevuto da parte del proprio datore di lavoro (…) presso la quale aveva svolto in qualità di impiegata mansioni di consultant/account sin dalla data di assunzione avvenuta l’1.9.00) raccomandata datata 6.8.01 del seguente letterale tenore: “il giorno 31 luglio u.s., la sua responsabile (C. G. n.d.r.), durante le normali e periodiche operazioni di lettura della casella aziendale di posta elettronica (cui fanno riferimento i clienti di (…), per i progetti a Lei assegnati) al fine di verificare eventuali messaggi ricevuti durante il Suo periodo di assenza per ferie, si imbatteva in comunicazioni inerenti soluzioni internet inequivocabilmente relative a progetti estranei a quelli attualmente gestiti da (.).”.
Con successiva missiva del 29.8.01 la A. veniva licenziata dalla ditta (.) per presunta violazione dei doveri inerenti al rapporto di lavoro (licenziamento che la lavoratrice impugnava con rivendicazioni economiche).
Nella denuncia-querela l’esponente deduceva che la condotta della C. e del R. presentava aspetti di rilevanza penale (art. 616 c.p.) avendo i medesimi fatto accesso alla corrispondenza della lavoratrice; corrispondenza – quella contenuta all’interno della sua casella di posta elettronica, al pari di quella effettuata per via epistolare, telegrafica, telefonica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza – la cui segretezza è garantita costituzionalmente. Né si poteva ritenere la ricorrenza di una causa di giustificazione (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere) dal momento che in nessun caso – con l’ovvia eccezione, nella specie non ricorrente, dell’ipotesi in cui si abbia motivo di ritenere che in essa siano contenuti elementi comprovanti fatti illeciti che interessino in modo diretto l’agente – è consentito al datore di lavoro di controllare il contenuto de
i messaggi di posta elettronica. Ad ogni buon conto occorreva evidenziare che:i messaggi inviati dai clienti erano, senza dubbio identificabili tra quelli contenuti nella casella postale (e ciò si deduceva dal fatto che la stessa società aveva assegnato tali clienti alla A. e le relative comunicazioni erano state oggetto di altri e precedenti controlli da parte della responsabile sig.ra C.);il controllo delle missive dei clienti era superfluo considerato che gli stessi erano in ferie;il controllo dei messaggi a carattere privato fu compiuto quanto la A. era in ferie evidentemente a sua insaputa e con l’avallo dei responsabili della società;non vi era alcuna fondata ragione, al momento del controllo della corrispondenza destinata alla A., da parte della società, per ritenere che in essa vi fossero contenuti elementi comprovanti fatti illeciti interessanti in modo diretto la società stessa.
 
In data 21.1.02 il P.M. avanzava richiesta di archiviazione del procedimento con la seguente motivazione: “le caselle di posta elettronica recanti quali estensioni nell’indirizzo e-mail @(…).it, seppur contraddistinte da diversi “username” d identificazione e password di accesso, sono da ritenersi equiparate ai normali strumenti di lavoro della società e quindi soltanto in uso ai singoli dipendenti per lo svolgimento dell’attività aziendale agli stessi demandata; considerando quindi che la titolarità di detti spazi di posta elettronica debba ritenersi riconducibile esclusivamente alla società. p.q.m. .omissis”.
L’opposizione risulta inaccoglibile mentre, di contro, l’archiviazione deve essere disposta ritenuta l’infondatezza della notizia di reato.
Dopo aver sgombrato il campo da impropri riferimenti alla normativa contenuta nella legge n. 675/96 relativa al ben diverso (ed assolutamente inconferente) problema della tutela del trattamento dai dati personali, una breve ma doverosa premessa s’impone.
La fattispecie dedotta avanti a questo giudice presenta aspetti di novità nell’ambito di una disciplina che solo da tempi relativamente assai recenti ha iniziato a fare la propria comparsa nelle aule giudiziarie.
Non può negarsi come la nascita e la diffusione di una nuova tecnologia precedono sempre e significativamente l’affermarsi di una cultura comune e standardizzata nell’utilizzo ad ogni livello del nuovo strumento. La preoccupazione della prima fase è solo quella di acquisire la padronanza, a volte anche solo parziale, dell’uso tecnico del nuovo mezzo o strumento senza alcun interesse (o attenzione) nel valutare le modalità di integrazione semiotica o antropomorfa dalla nuova tecnologia (cfr. il recente esempio della telefonia mobile). A questa regola non è certamente sfuggita la “posta elettronica” di internet.
In attesa di una codificazione dei comportamenti ai fini dell’omologazione e dell’accettazione di un uso standardizzato dello strumento, molte sono le problematiche che si sono affacciate con la nascita della “buca delle lettere elettronica”, tra queste dividendole per aree tematiche e con specifico riferimento all’utilizzo di tale strumento da parte del lavoratore si possono elencare le seguenti:
a) utilizzo anche per fine privato dell’indirizzo di posta elettronica da parte del lavoratore con eventuale esposizione dello stesso sulla carta da visita intestata a proprio nome;
b) possesso di un indirizzo “generalista” er cui la posta ivi indirizzata può avere come destinatario un qualunque altro dipendente con conseguente incertezza sulla “consegna”;
c) mancata individuazione del mittente (in possesso di un indirizzo in codice o con sigla) che non provvede a sottoscrivere il messaggio ovvero che non si preoccupa di farsi riconoscere rendendosi di fatto anonimo.
 
Limitando sostanzialmente la nostra analisi alla prima problematica, va detto innanzitutto come non possa mettersi in dubbio il fatto che l’indirizzo di posta elettronica affidato in uso al lavoratore, di solito accompagnato da un qualche identificativo più o meno esplicito, abbia carattere personale, nel senso cioè che lo stesso viene attribuito al singolo lavoratore per lo svolgimento delle proprie mansioni.
Tuttavia, “personalità” dell’indirizzo non significa necessariamente “privatezza” del medesimo dal momento che, salve le ipotesi in cui la qualifica del lavoratore lo consenta o addirittura lo imponga in considerazione dell’impossibilità o del divieto di compiere qualsiasi tipo di controllo/intromissioni da parte di altri lavoratori che rivestano funzioni o qualifiche sovraordinate (fattispecie che potrebbe effettivamente indurre a qualche dubbio), l’indirizzo aziendale, proprio perché tale, può sempre essere nella disponibilità di accesso e lettura da parte di persone diverse dall’utilizzatore consuetudinario (ma sempre appartenenti all’azienda) a prescindere dalla identità o diversità di qualifica o funzione: ipotesi, frequentissima, è quella del lavoratore che “sostituisce” il collega per qualunque causa (ferie, malattia, gravidanza) e che va ad operare, per consentire la continuità aziendale, sul personal-computer di quest’ultimo anche per periodi di tempo non limitati.
Così come non può configurarsi un diritto del lavoratore ad accedere in via esclusiva al computer aziendale, parimenti è inconfigurabile in astratto, salve eccezioni di cui sopra, un diritto all’utilizzo esclusivo di una casella di posta elettronica aziendale.
Pertanto il lavoratore che utilizza – per qualunque fine – la casella di posta elettronica, aziendale, si espone al “rischio” che anche altri lavoratori della medesima azienda che, unica, deve considerarsi titolare dell’indirizzo – possano lecitamente entrare nella sua casella (ossia in suo uso sebbene non esclusivo) e leggere i messaggi (in entrata e in uscita) ivi contenuti, previa consentita acquisizione della relativa password la cui finalità non è certo quella di “proteggere” la segretezza dei dati personali contenuti negli strumenti a disposizione del singolo lavoratore bensì solo quella di impedire che ai predetti strumenti possano accedere persone estranee alla società;E che detto rischio, per essere “operativo”, non debba essere preventivamente ed espressamente ricordato al lavoratore è una evenienza che può ritenersi conseguenziale alle doverose ed imprescindibili conoscenze informatiche del lavoratore che, proprio perché utilizzatore di detto strumento, non può ignorare questa evidente e palese implicazione.
Né si può ritenere che l’assimilazione della posta elettronica alla posta tradizionale, con consequenziale affermazione “generalizzata” del principio di segretezza, si verifichi nel momento in cui il lavoratore utilizzi lo strumento per fini privati (ossia extralavorativi), atteso che giammai un uso illecito (o, al massimo, semplicemente tollerato ma non certo favorito) di uno strumento di lavoro può far attribuire a chi, questo illecito commette, diritti di sorta. A questo punto, peraltro, il problema muta prospettiva perché non riguarda più l’individuazione ed il diritto di chi “entra” nel computer (e nell’indirizzo di posta elettronica) altrui avendo possibilità di leggere i messaggi di posta elettronica non specificamente a lui destinati, bensì diventa quello di “tutelare” il diritto di chi invia il messaggio (a qualunque contenuto: ossia a contenuto privato ovvero lavorativo) credendo che il destinatario dello stesso sia e possa essere esclusivamente una determinata persona (o una cerchia determinata di persone). E’ evidente che questa situazione può trovare tutela rendendo chiaro al proprio interlocutore che l’indirizzo di posta elettronica è esclusivamente aziendale (e, quindi, al di là dell’uso di intestazioni apparentemente personali del lavoratore-principale utilizzatore, lo stesso non è un indirizzo privato secondo quanto precedentemente detto); cosa che può avvenire o usando un inequivoco identificativo aziendale (indirizzato ad un destinatario virtuale) in aggiunta ad altro identificativo personale-nominativo ovvero provvedendo a segnalare adeguatamente al proprio interlocutore (destinatario reale) la circostanza del carattere “non privato” dell’indirizzo. Né può ritenersi conferente ogni ulteriore argomentazione che, facendo apoditticamente leva sul carattere di assoluta assimilazione della posta elettronica alla posta tradizionale, cerchi di superare le strutturali diversità dei due strumenti comunicativi (si pensi, in via esemplificativa, al carattere di “istantaneità” della comunicazione informatica – operante come un normale terminale telefonico – pur in presenza di un prelievo necessariamente legato all’accensione del personal e, quindi, sostanzialmente coincidente con la presenza stanziale del lavoratore nell’ufficio ove è presente il desk-top del titolare dell’indirizzo) per giungere a conclusioni differenti da quelle ritenute da questo giudice.Tanto meno può ritenersi che leggendo la posta elettronica contenuta sul personal del lavoratore si possa verificare un non consentito controllo sulle attività di quest’ultimo atteso che l’uso dell’e-mail costituisce un semplice strumento aziendale a disposizione dell’utente-lavoratore al solo fine di consentire al medesimo di svolgere la propria funzione aziendale (non si possono dividere i messaggi di posta elettronica: quelli “privati” da un lato e quelli “pubblici” dall’altro) e che, come tutti gli altri strumenti di lavoro forniti dal datore di lavoro, rimane nella completa e totale disponibilità del medesimo senza alcuna limitazione (di qui l’inconferenza dell’assunto in ordine all’asserito preteso divieto assoluto del datore di lavoro di “entrare” nelle cartelle “private” del lavoratore ed individuabili come tali, che verosimilmente contengano messaggi privati indirizzati o inviati al lavoratore e che solo ragioni di discrezione ed educazione imporrebbero al datore di lavoro/lavoratore non destinatario di astenersi da ogni forma di curiosità.).Parimenti irrilevante appare l’ulteriore rilievo che anche la posta tradizionale che presenti caratteri inequivoci di “privatezza” , non cessi di assumere detto carattere se fatta recapitare al suo destinatario sul posto di lavoro anziché al proprio domicilio dal momento che in questo caso l’inconfondibilità del carattere di privatezza-esclusività (busta chiusa con nominativo del solo destinatario) della corrispondenza non consente di operare un simile confronto!
Venendo alla fattispecie dedotta in giudizio, si evidenzia come le indagini esperite (assunzione di sommarie informazioni testimoniali rese da P. F., direttore tecnico nonché responsabile del settore informatico per la filiale italiana della (…) ) abbiano consentito di acclarare che:
– all’interno della (…) il lavoratore è depositario di un username e di una password (conosciuti dal solo responsabile tecnico) che vengono utilizzati per entrare nel sistema informatico: identificativi che il singolo lavoratore può in qualsiasi momento modificare;
– l’accesso a tutti gli strumenti aziendali (e-mail compresa) è funzionale all’occupazione del dipendente;
– la funzione svolta dagli identificativi non è quella di proteggere i dati personali contenuti negli strumenti a disposizione del singolo lavoratore bensì quella di proteggere i predetti strumenti dall’accesso di persone estranee alla società;
– è prassi comune fra i dipendenti dell’azienda fornire volontariamente i propri dati d’accesso ad altri lavoratori con funzioni societarie equivalenti onde permettere la continuazione delle relative funzioni in propria assenza;
– nel normale uso dello strumento viene anche tollerato un uso extra-lavorativo della e-mail senza tuttavia che si verifichi un mutamento della destinazione dello strumento, che è quello esclusivo della comunicazione con colleghi e clienti: in ogni caso non viene consentito, anzi è assolutamente vietato, l’utilizzo dello spazio di posta elettronica per motivi personali;
– l’indirizzo di posta elettronica dei dipendenti della società si compone, da sinistra a destra, del nome e del cognome del lavoratore seguiti dal simbolo @ e dal nome della società (…).it.
 
Tutte queste circostanze di fatto attestanti le consuetudini lavorative all’interno dell’azienda e le condotte dei dipendenti sono conformi alle premesse sopra esposte e consentono di escludere la configurabilità a carico degli indagati di fattispecie delittuose.
Fermo quanto precede, si può concludere ritenendo che:
– la A., così come gli altri lavoratori con mansioni e qualifica pari o assimilabili, era tenuta, secondo una consuetudine che non abbiamo difficoltà a ritenere universale, a segnalare (ovvero a non mantenere segreta nel caso di successiva modificazione) la propria password per consentire a qualunque altro suo collega di poterla adeguatamente sostituire durante la sua assenza dal lavoro;
– la A., nell’utilizzazione della casella di posta elettronica della società, non poteva non sapere che alla medesima, indipendentemente dalla sua presenza in società, vi poteva avere lecito accesso qualunque altro suo collega (e, ovviamente, il datore di lavoro) al fine del disbrigo delle incombenze lavorative connesse alle mansioni (invio e ricezione di comunicazioni di lavoro con colleghi e clienti).
 
Fermo quanto precede, da ultimo va detto che quand’anche – per assurdo, atteso quanto sin qui esposto – si volesse ritenere che con la loro condotta la C. e il R. nelle rispettive diverse qualità, entrando nella casella di posta elettronica in uso alla lavoratrice abbiano commesso nei confronti della stessa un’illecita intromissione in una sfera personale privata, nondimeno la configurabilità del reato di cui all’art. 616 c.p. verrebbe ugualmente esclusa sotto il profilo soggettivo attesa la totale mancanza di dolo nella loro condotta;
l’accesso alla casella di posta elettronica dell’A. è avvenuta per motivi assolutamente connessi allo svolgimento dell’attività aziendale, oltre che in assenza della lavoratrice: in una situazione, cioè, nella quale non vi era altro modo per accedere a quelle necessarie informazioni e comunicazioni che, diversamente, se non ricevute ovvero recepite con ritardo, avrebbero potuto arrecare un evidente danno (economico e non solo) per la società.
Da qui il rigetto dell’opposizione e l’archiviazione del procedimento.
 
Visti gli artt. 408 e segg. C.p.p.
 
P.Q.M.
 
rigetta l’opposizione proposta nell’interesse della persona offesa A. A. in data 14.2.02;
dispone l’archiviazione del procedimento e ordina la restituzione degli atti al Pubblico Ministero.
Manda la Cancelleria agli adempimenti di competenza.Milano, lì 10.5.2002
 
Il Giudice per le Indagini Preliminari
Dott. A. Pellegrino

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DIR 2002/38/EC

COUNCIL DIRECTIVE 2002/38/EC of 7 May 2002
amending and amending temporarily Directive 77/388/EEC as regards the value added tax arrangements applicable to radio and television broadcasting services and certain electronically supplied services

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DIR 2002/38/CEE

15.5.2002  Journal officiel des Communautés européennes L 128/41

LE CONSEIL DE L’UNION EUROPÉENNE,
vu le traité instituant la Communauté européenne, et notam­ment son article 93,
vu la proposition de la Commission (1),
vu l’avis du Parlement européen (2),
vu l’avis du Comité économique et social (3), considérant ce qui suit:
Les règles actuellement applicables à la TVA sur les services de radiodiffusion et de télévision et les services fournis par voie électronique en vertu de l’article 9 de la sixième directive 77/388/CEE du Conseil du 17 mai 1977 en matière d’harmonisation des législations des États membres relatives aux taxes sur le chiffre d’affaires — Système commun de taxe sur la valeur ajoutée: assiette uniforme (4) — ne permettent pas d’imposer de manière adéquate ces services consommés dans la Communauté et de prévenir les distorsions de concur­rence dans ce domaine.
(2) Afin d’assurer le bon fonctionnement du marché inté­rieur, ces distorsions devraient être éliminées et de nouvelles règles harmonisées introduites pour ce type d’activité. Des mesures devraient être prises pour assurer, plus particulièrement, que ces services, dès lors qu’ils sont exécutés à titre onéreux et consommés par des clients établis dans la Communauté, sont imposés dans la Communauté et ne sont pas imposés lorsqu’ils sont consommés en dehors de la Communauté.
(3) À cette fin, les services de radiodiffusion et de télévision et les services fournis par voie électronique à partir de pays tiers à des personnes établies dans la Communauté ou, à partir de la Communauté, à des preneurs établis dans des pays tiers devraient être imposés au lieu d’éta­blissement du preneur des services.
(4) Afin de définir la notion de «services fournis par voie électronique», il convient d’en donner des exemples dans une annexe de la directive.
(5) Pour faciliter aux opérateurs fournissant des services par voie électronique qui ne sont ni établis ni tenus d’être identifiés aux fins de la taxe dans la Communauté le respect des obligations fiscales, il convient d’établir un régime spécial. En application de ce régime, tout opéra­teur fournissant ces services par voie électronique dans la Communauté à des personnes non assujetties peut, s’il n’est pas identifié par d’autres moyens aux fins de la taxe dans la Communauté, choisir d’être identifié dans un seul État membre.
(6) L’opérateur non établi qui souhaite bénéficier du régime spécial devrait satisfaire aux exigences prévues par ce régime et respecter toute disposition pertinente en vigueur dans l’État membre de consommation des services.
(7) Dans certaines conditions, l’État membre d’identification doit pouvoir exclure du régime spécial un opérateur non établi.
(8) Lorsque l’opérateur non établi choisit de relever du régime spécial, toute taxe sur la valeur ajoutée en amont qu’il a acquittée pour des biens et services utilisés aux fins de ses activités taxées relevant du régime spécial devrait être remboursée par l’État membre dans lequel la taxe sur la valeur ajoutée en amont a été acquittée selon les modalités prévues par la treizième directive 85/ 560/CEE du Conseil du 17 novembre 1986 en matière d’harmonisation des législations des États membres rela­tives aux taxes sur le chiffre d’affaires — Modalités de remboursement de la taxe sur la valeur ajoutée aux assujettis non établis sur le territoire de la Commu­nauté (5). Les restrictions facultatives au remboursement prévues à l’article 2, paragraphes 2 et 3, et à l’article 4, paragraphe 2, de la même directive, ne devraient pas être appliquées.
(9) Sous réserve des conditions qu’ils arrêtent, les États membres devraient autoriser, voire exiger, la transmis­sion par voie électronique de certaines déclarations.
(10) Les dispositions concernant le dépôt des déclarations fiscales par voie électronique devraient être adoptées à titre permanent. Il est souhaitable d’adopter toutes les autres dispositions à titre temporaire pour une période de trois ans qui peut être prolongée pour des raisons pratiques, mais ces dispositions devraient, en tout état de cause, être réexaminées, en se fondant sur l’expérience, dans un délai de trois ans à compter du 1er juillet 2003.
(11) La directive 77/388/CEE devrait dès lors être modifiée en conséquence,

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DIR 2002/38/CE

IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, e in partico­lare l’articolo 93,
vista la proposta della Commissione (1),
visto il parere del Parlamento europeo (2),
visto il parere del Comitato economico e sociale (3), considerando quanto segue:
(1) Le norme attualmente vigenti in materia di IVA per i servizi di radiodiffusione e di televisione e i servizi prestati tramite mezzi elettronici a norma dell’articolo 9 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legisla­zioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari — sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (4), non sono adeguate per tassare la totalità di tali servizi il cui consumo ha luogo all’interno della Comunità e per impedire distorsioni di concorrenza in questo settore.
(2) Il corretto funzionamento del mercato interno impone l’eliminazione di tali distorsioni e l’introduzione di nuove norme armonizzate per questa categoria di atti­vità. In particolare andrebbero prese misure per garantire che tali servizi siano soggetti a imposizione nella Comu­nità, ove siano prestati a titolo oneroso e utilizzati da consumatori stabiliti nella Comunità, e non siano soggetti a imposizione se utilizzati al di fuori della Comunità.
(3) A tal fine, è opportuno che i servizi di radiodiffusione e di televisione e i servizi prestati tramite mezzi elettronici da paesi terzi a persone stabilite nella Comunità o dalla Comunità a destinatari stabiliti in paesi terzi siano soggetti a imposizione nel luogo del beneficiario dei servizi.
(4) Per definire i servizi prestati tramite mezzi elettronici si dovrebbero includere esempi di tali servizi nell’allegato della direttiva.
(5) Al fine di facilitare l’adempimento dei loro obblighi fiscali, agli operatori che forniscono servizi tramite mezzi elettronici, che non sono stabiliti nella Comunità e non devono esservi altrimenti identificati a fini fiscali, dovrebbe essere applicato un regime particolare.
Secondo tale regime gli operatori che prestano siffatti servizi tramite mezzi elettronici a persone che non sono soggetti passivi all’interno della Comunità, possono optare, se non sono altrimenti identificati a fini fiscali nella Comunità, per l’identificazione in uno Stato membro.
(6) L’operatore non stabilito nella Comunità che desidera beneficiare del regime particolare dovrebbe soddisfare i requisiti in esso previsti e le pertinenti disposizioni in vigore nello Stato membro in cui i servizi sono utilizzati.
(7) Lo Stato membro di identificazione deve a talune condi­zioni poter escludere un operatore non stabilito da tale regime particolare.
(8) Se l’operatore non stabilito opta per il regime partico­lare, qualsiasi imposta sul valore aggiunto a monte pagata dall’operatore per le merci e i servizi da questi utilizzati per le sue attività soggette a imposizione contemplate dal regime particolare dovrebbe essere rimborsata dallo Stato membro in cui è stata pagata l’imposta sul valore aggiunto a monte, conformemente alle disposizioni della tredicesima direttiva 86/560/CEE, del 17 novembre 1986, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari. Modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel terri­torio della Comunità (5). Non si applicherebbero le restri­zioni opzionali per il rimborso di cui all’articolo 2, paragrafi 2 e 3, e all’articolo 4, paragrafo 2, della stessa direttiva.
(9) Fatte salve le condizioni da essi stabilite, gli Stati membri dovrebbero consentire la presentazione di taluni elenchi riepilogativi e dichiarazioni tramite mezzi elettronici, e possono anche rendere obbligatorio il ricorso ai mezzi elettronici.
(10) Tali disposizioni relative all’introduzione di dichiarazioni fiscali e elenchi riepilogativi per via elettronica dovreb­bero essere adottate su base permanente. È auspicabile adottare tutte le altre disposizioni per un periodo prov­visorio di tre anni, prorogabile per motivi pratici, ma le disposizioni saranno comunque riesaminate, in base all’esperienza acquisita, entro tre anni a decorrere dal 1o luglio 2003.
(11) La direttiva 77/388/CEE dovrebbe essere modificata di conseguenza,

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Ethical Aspects on Patenting Inventions Involving Human Stem Cells

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