Ma demonizzare Internet non serve. Ed è sbagliato

di Andrea Monti

La campagna di demonizzazione dell’Internet continua ancora oggi senza posa. Strumentalizza il tema della “tutela” dei minori associando alla rete false “patenti” di pericolosità e ingenerando nelle persone la paura che essere online significhi esporsi a chissà quali pericoli. E allora via così, dimenticando – in nome del mostro tecnologico – le tragedie quotidiane che si consumano nella più assoluta indifferenza all’interno delle mura famigliari o delle scuole.
Quando si cominciò a parlare di “minori” online – era più o meno il 1996 – di bambini in realtà non ce n’erano per niente (e mai ce ne saranno, considerato che l’interesse per la rete “arriva” con l’adolescenza). Ma ciò nonostante furono da subito evidenti le scelte che stavano maturando a livello politico: censura indiscriminata e “filtraggio” dei contenuti, magari grazie al “generoso” e “disinteressato” supporto di qualche multinazionale.
Certo, ci sono state anche alcune voci controcorrente (vedi la famosa “carta di Desenzano”, o l’intervento presentato da Alcei in un incontro organizzato dal Consumer Forum Intergroup a Strasburgo). Che hanno spiegato come non si possano abbandonare i bambini a loro stessi, e come il ruolo delle famiglie e degli educatori nella formazione dei più deboli sia irrinunciabile. Così come non si dovrebbe lasciare un bambino solo davanti ad un televisore, allo stesso modo lo si dovrebbe assistere quando usa un computer. E non solo – se proprio vuole – per fargli usare la rete, considerato che se di pericoli si vuole proprio parlare, allora si dovrebbe dare un’occhiata anche ai contenuti di certi videogiochi liberamente venduti nei centri commerciali. Sarebbe facile, a questo punto, invocare il ritiro di questi prodotti dagli scaffali. Facile quanto sbagliato, perché la soluzione, ancora una volta, non è “vietare”, ma educare – specialmente i genitori.
Nulla di tutto questo è giunto alle orecchie del potentissimo fronte comune – composto da novelli Torquemada, cinici imprenditori e politicanti succubi dei movimenti di piazza – che ancora una volta ha giurato guerra all’internet. Sull’onda di una sistematica fomentazione di isterismo provocata dai mass-media l’Italia ha approvato – nel 1998 – la legge 269. Che a sentire i suoi ispiratori avrebbe dovuto risolvere anche il problema della “pedofilia online”. Ma le “clamorose” indagini che invasero giornali e televisioni si sono risolte in bolle di sapone. Grande spreco di uomini e mezzi per denunciare qualche decina di persone che – si legge nei capi di imputazione – sarebbero al più colpevoli di avere scaricato qualche immagine pornografica. Mentre i mostri veri sono ancora in libertà. 
Fortunatamente non ha avuto grande attuazione pratica la proposta di stabilire un sistema generalizzato di filtraggio e classificazione dei contenuti online (pensate a dover mettere d’accordo sulla definizione di “contenuto illegale” un arabo musulmano, uno svedese e un italiano). Che avrebbe messo in piedi un gigantesco apparato per “etichettare” qualsiasi cosa. Con ciò arrogandosi il potere di stabilire il “valore” di un contenuto e dunque della manifestazione del pensiero di ciascuno di noi. Infine, alcuni motori di ricerca hanno “discretamente” attivato dei sistemi anonimi di rimozione dei contenuti. Come dire… la coscienza è a posto e i soldi non puzzano.

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Legge comunitaria e diritto d’autore: Law on Demand?

Ha concluso l’iter parlamentare la legge comunitaria, il grande calderone nel quale si mescolano le disposizioni per il recepimento delle direttive europee.
Non ostante l’Italia non abbia mai brillato per tempestività in questi adempimenti (ci sono voluti cinque anni per recepire la direttiva 90/388 che liberalizzava il mercato delle TLC), con l’istituzione della “comunitaria”  si è raggiunta una parvenza di efficientismo e ora sono state prese in considerazione anche le famigerate direttive 2000/31/CE (commercio elettronico) e 2001/29/CE (diritto d’autore). La prima, con la scusa di “razionalizzare” il settore e “garantire maggiore tutela” dei diritti dei cittadini ha, di fatto, stabilito la responsabilità autonoma del provider per i contenuti ospitati sui propri server. Secondo una formula contorta e ipocrita, che – pur affermando formalmente il contrario – colpevolizza il fornitore di servizi che, dopo essere stato informato (da chi? in che modo?) della presenza di contenuti illeciti (secondo quale legge?) non provvede a rimuoverli.

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Ennesima modifica della legge sui dati personali. Cosa cambia per l’ICT

di Andrea Monti – PC Professionale n. 132

Sarà meno facile negare informazioni con la “scusa” della riservatezza e sarà più regolamentato il meccanismo dello spamming e delle iscrizioni “d’ufficio” alle mailing list.
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Full disclosure. Risorsa o pericolo per la sicurezza?

ICT-Security n.ro 3 del 01-03-02

di Andrea Monti

Sembra essersi spenta – o quantomeno attenuata – l’eco generata dalla polemica “scoppiata” l’anno scorso sull’opportunità di praticare “full disclosure”. Cioè la pubblicazione dettagliata di bug e vulnerabilità che affliggono endemicamente un po’ tutte le piattaforme e gli applicativi del mondo ICT a cura di ricercatori indipendenti. Che divulgano sia l’analisi teorica del problema, sia l’exploit che consente di sfruttare praticamene il “buco” di sicurezza. Ma la questione è tutt’altro che sopita specie perché non è stata affrontata – a quanto mi risulta – dal punto di vista dell’organizzazione aziendale e dei riflessi legali.

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Uno strumento di lavoro: la lettera d’incarico

Linux&Co n.ro 23

di Andrea Monti

E’ un’esperienza comune a molti sviluppatori – specie ai free lance e a prescindere dall’uso di software libero – quella di essere contattati per eseguire un lavoro senza un minimo di formalizzazione dell’incarico. Il risultato è che si lavora praticamente “sulla parola”. Nulla di male quando le cose vanno come devono andare, ma in caso di contestazioni o problemi ecco che ci si trova a rimpiangere di non avere messo “nero su bianco” almeno gli elementi essenziali dell’incarico (con particolare riferimento ai diritti di proprietà intellettuale).
Dall’altro lato, le aziende si trovano spesso in imbarazzo ad operare con i software liberi perché non hanno ben chiaro il modo in cui gestire aspetti cruciali come la proprietà intellettuale o la responsabilità per l’esecuzione del lavoro.
E’ quindi necessario – prima di iniziare un qualsiasi lavoro – chiedere al cliente almeno di firmare una lettera di incarico come quella che leggete qui avanti. Ma attenzione, questa è solo una delle possibili modalità. Ovviamente non va presa e utilizzata così come è, visto che non è certo possibile prevedere quali possono essere le necessità del caso concreto. Certamente, però, rappresenta una buona traccia da seguire per dare un po’ di concretezza alla vostra attività.
Spero che vi sia utile.

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