Censura di Stato. Oggi casinò e calcio, domani cos’altro?

Linux&C n. 51
Gli ultimi mesi della legislatura hanno registrato una iperproduttività normativa che si è tradotta nell’approvazione di leggi e provvedimenti nei settori più diversi tutti accomunati, però, dall’occuparsi dell’internet e della proprietà intellettuale in chiave estremamente repressiva.

DNS sotto controllo contro il gambling online legale
Il primo caso, in ordine di tempo, riguarda la legge finanziaria, che all’art. 536 ha stabilito – per la prima volta da quando esiste la rete in Italia – l’obbligo di filtraggio dell’accesso a siti di giochi e scommesse, anche (o soprattutto) se si tratta di servizi gestiti da società perfettamente legali basate in un altro paese dell’Unione Europea, demandando all’Azienda autonoma monopoli di Stato (AAMS) il compito di dettare le regole per attuare questa “inibizione”.

Senza entrare troppo nel merito di una questione legale molto complessa, basta dire che la Corte di giustizia dell’Unione Europea e moltissimi tribunali penali italiani hanno riconosciuto fin dal 2004 che le società di giochi e scommesse legittimamente autorizzate in un paese dell’Unione hanno il diritto di esercitare la propria attività anche in Italia senza necessità di licenze o concessioni. Ciò non ostante, il parlamento italiano continua a emanare norme – come quelle citate in apertura di questo articolo – che vanno esattamente nella direzione opposta e impongono ai provider multe salate (fino a 180.000 Euro) se non “inibiscono” l’accesso anche ai siti legali di scommesse.

Il risultato pratico è che per come è scritto il decreto emanato da AAMS in vigore dalle 00,01 del 24 febbraio 2006, tecnicamente questa inibizione potrebbe addirittura arrivare al filtraggio globale delle comunicazioni internet anche se, per il momento, il blocco funziona “solo” a livello DNS. Ma – e qui sta il trucco – l’intervento imposto ai provider non è limitato al blacklisting dei domini “incriminati”. Ogni ISP deve, infatti, redirigere gli utenti su una pagina residente sui server AAMS che spiega al navigatore che sta tentando di fare qualcosa di illegale. Nello stesso tempo, ma nessuno lo dice, AAMS acquisisce i dati di traffico che le consentono di inviare la Guardia di finanza dai provider per individuare gli utenti che hanno cercato di giocare o scommettere. In sintesi: una vera e propria honeypot sulla quale il Garante dei dati personali non ha mosso un dito.

Dunque, grazie a questa “legge antigambling” sono stati stabiliti due principi: è lecito filtrare preventivamente il traffico internet senza controllo del magistrato, sempre senza controllo della magistratura si possono fare le honeypot di Stato.
Andiamo avanti.

Filtri per “tutelare” i minori
Il 23 gennaio 2006 il Parlamento ha approvato definitivamente la modifica alla sciagurata legge 269/98 (che, con la scusa della tutela dei minori, stabiliva inaccettabili estensioni dei poteri di polizia, come per esempio la possibilità dello spaccio di pornografia di Stato).
Ancora una volta i destinatari delle “attenzioni particolari” del legislatore sono gli ISP che sono obbligati a:
– segnalare al centro nazionale, qualora ne vengano a conoscenza, le imprese o i soggetti che diffondono, distribuiscono o fanno commercio, anche in via telematica, di materiale pedopornografico, nonché a comunicare senza indugio a un fantomatico “centro nazionale” , che ne faccia richiesta, ogni informazione relativa ai contratti con tali imprese o soggetti;
– conservare per almeno 45 giorni il materiale oggetto della segnalazione
– pagare una multa salata in caso di mancata segnalazione;
– adottare i filtri decisi dal ministero delle comunicazioni e dalle associazioni dei provider;
Dunque, anche in questo caso è ribadito il concetto di controllo preventivo dei comportamenti degli utenti della rete, con addirittura la loro schedatura esplicita (quella degli “scommettitori” – almeno al momento – non è dichiarata).

Obbligo per gli ISP di fornire i dati degli utenti
È evidente che la (finta) tutela dei minori – come l’abusato pretesto della “lotta al terrorismo” o la “tutela dell’ordine pubblico” turbato dalle scommesse online – sono, ancora una volta, “cavalli di troia” per raggiungere tutt’altri obiettivi. Stabiliti questi princìpi, è ora facilissimo estenderli anche ad altri ambiti variamente repressivi e liberticidi, come il diritto d’autore, la manifestazione di opinioni scomode o la lotta politica – con le conseguenze che è facile immaginare.
E infatti, non potevano mancare all’appuntamento repressivo i “padroni delle idee” che in Europa hanno spinto fortemente per la presentazione della direttiva Frattini sulle sanzioni penali per le violazioni del diritto d’autore (nella quale, fra le tante, vorrebbero addirittura il diritto di affiancare i magistrati nelle indagini) e, in Italia, con l’approvazione semiclandestina (e a camere praticamente sciolte) lo scorso 3 febbraio 2006 del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2004/48 che si occupa del “versante” civile delle violazioni in questione.

Manco a dirlo, i provider sono ancora sotto tiro: prima il decreto legislativo stabilisce che gli “intermediari” che prestano servizi ai “contraffattori” devono essere punti e poi con una palese ambiguità definitoria (la stessa della direttiva), non fissa un limite espresso al significato attribuibile al termine “intermediario”. Lasciando il testo così com’è, si può arrivare a considerare responsabile di un illecito anche un corriere espresso perchè può trasportare merce contraffatta. Come anche, grazie ai “dovrebbe comunitari” che consentono di “invadere” il terreno delle regole online, un ISP perchè tramite la sua rete qualche utente commette degli illeciti. Sarebbe stato necessario – come peraltro si accenna (ma si nega) nella direttiva – specificare che la norma si applica solo a chi volontariamente e consapevolmente mette a disposizione servizi internet per fini illeciti.

Ma il legislatore italiano è andato ben oltre quello comunitario arrivando addirittura travisare il senso delle parole. Come ha fatto notare il comunicato di ALCEI, un esempio di uso strumentale degli errori di traduzione è la trasposizione dell’art.6 della direttiva, che fissa le condizioni alle quali il giudice può concedere un provvedimento di urgenza in caso di violazioni. L’articolo in questione è intitolato nel testo portoghese “prova”, nel testo spagnolo “pruebas”, nel testo francesce “preuves”, nel testo tedesco “beweise”, e nel testo italiano “elementi di prova”. Ma il legislatore italiano ha preferito affidarsi al solo testo inglese che usa la parola “evidence” (che quando è definita “circumstantial” può essere intesa come “indizio”) per inserire nel testo del decreto legislativo il significato sbagliato. Così facendo è possibile ottenere provvedimenti di urgenza senza dover fornire “troppe spiegazioni” (è noto che gli “indizi” sono molto meno di una “prova”).
Lo scenario complessivo, dunque, è quello di un sistema normativo repressivo e incivile che consente di imporre ai provider (“intermediari”) di consegnare subito i dati dei propri utenti, a fronte di soggetti (le “associazioni per la tutela dei diritti”) che non devono dimostrare di essere titolari di alcunchè, ma limitarsi a fornire solo qualche “indizio” del fatto che, più o meno, potrebbero avere qualche ragione da rivendicare.

Questi sono solo esempi di come il testo del decreto legislativo peggiori sensibilmente quello della direttiva 2004/48 che nelle “parti che contano” è inaccettabilmente sbilanciata a favore della tutela degli interessi dei “soliti noti” e si limita a qualche “contentino formale” per utenti e operatori (anche dell’internet). Come se questo non bastasse, il “legislatore” italiano ha fatto ricorso a un vero e proprio repertorio di “tecniche manipolative” del testo comunitario che rendono il decreto legislativo sufficientemente vago da essere interpretato a seconda delle convenienze.

Vi invito a leggere, per esempio il “considerando” n. 14 che , tradotto, significa: questa direttiva consente di emanare norme repressive indifferentemente anche nei confronti dei consumatori finali in buona fede.
Oppure il “considerando” n.18 che si legge: questa direttiva attribuisce alle royalty collecting agency e alle “associazioni di categoria” il potere autonomo da quello del titolare dei diritti di promuovere azioni giudiziarie.

Oppure ancora il successivo “considerando” n. 19 che significa: gli sfruttatori dei diritti economici sulle creazioni artistiche – non gli autori, dunque – quando “fanno causa”, sono esentati dal dimostrare di avere il diritto di agire in giudizio.

Conclusioni
Messi in fila, questi provvedimenti normativi – già inquietanti presi uno per uno – assumono un aspetto ancora più sinistro e fanno somigliare l’Italia a uno di quei paesi (scegliete voi quale: Cuba, Cina, Iran, Cile ecc.) solitamente portati a esempio di “campioni di censura” dalla stampa e dagli altri mezzi di informazione. Che quando si tratta di registrare quello che accade nella nostra “parrocchia”, invece, diventano improvvisamente miopi, ciechi, sordi e con l’artrosi alle mani.

Ma, potrebbe dire qualcuno, tutto sommato a me che non faccio niente di male, uso solamente software libero, non scommetto e non cerco materiale pedopornografico, cosa interessa di tutto questo?

Il punto è che a prescindere dell’odiosità dei reati contro i minori e della liceità o meno del gioco online, queste norme appena emanate sanciscono per la prima volta il principio che lo Stato possa decidere a priori cosi si può vedere e cosa no su web, invece di limitarsi a punire chi si assume la responsabilità di violare la legge conformemente ai principi di civiltà del diritto.

Una volta “messo a punto” lo strumento – magari grazie anche all’ubiquo Fritz Chip (quello che implementa Palladium sulle motherboard dei nuovi PC e Mac) – sarà un gioco da ragazzi usarlo per impedire l’accesso a contenuti sconvenienti o dannosi per l’economia come, per esempio, sistemi operativi liberi, formati aperti, specifiche tecniche trasparenti…

Per approfondire:
La direttiva Frattini – http://www.edri.org/edrigram/number3.14/IPR
La direttiva 2004/48/CE – http://www.alcei.it/wp-content/200448it.pdf
Il decreto legislativo di recepimento della 2004/48/CE – http://www.alcei.it/wp-content/rec482004.pdf
La legge finanziaria e l’obbligo di filtraggio – http://www.interlex.it/testi/comma535.htm
Il decreto AAMS che attua l’obbligo di filtraggio – http://www.interlex.it/testi/pdf/aams060207.pdf
Il comunicato ALCEI sulla legge Prestigiacomo – http://www.alcei.org/index.php/archives/108

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