Il Ddl Passigli. Proposte inutili e confuse

Il clamore suscitato nelle settimane precedenti dall’ enorme numero di richieste di registrazioni di nomi a dominio presentate da alcune società si è tramutato in un prevedibile e non desiderabile (vedi Gli accaparramenti dei nomi a dominio: lei non sa chi sono io!) disegno di legge che dovrebbe “mettere ordine” nel controverso settore.

In realtà questa iniziativa del Governo, oltre ad essere inutile, serve soltanto ad aumentare la confusione e a comprimere inutilmente diritti individuali e libertà d’impresa. Quel che è peggio, senza aggiungere alcuna concreta tutela per chi subisce la lesione dei propri diritti.

 E’ oramai un luogo comune affermare – peraltro senza cognizione di causa – che gli attuali criteri per l’assegnazione dei nomi a dominio, stabiliti dalla Naming Authority italiana, siano insufficienti o privi di efficacia.

Non è vero, come è facile capire leggendo le Regole di Naming che, seppur con qualche sbavatura, hanno dimostrato di funzionare in modo sostanzialmente corretto (rinvio per gli approfondimenti al libro di Alessia Ambrosini “La tutela del nome di dominio” ed. Simone).

L’assegnazione dei domini, infatti, avviene in modo praticamente automatico, e la Registration Authority italiana effettua (o dovrebbe effettuare) soltanto controlli di natura tecnica, senza entrare nella semantica del nome prescelto.

 Per di più, non esiste un limite quantitativo al numero di domini richiedibili da un singolo soggetto, ma i privati cittadini hanno diritto ad un solo nome (questo in effetti è discutibile). Però ci sono alcuni nomi dei quali è già vietata la registrazione (internet, ftp) o consentita solo ad alcune categorie di soggetti (i nomi di città sono assegnati d’ufficio ai vari Comuni).

Questa situazione ha indotto gli operatori (alcuni certamente scorretti) ad “accaparrarsi” un gran numero di indirizzi eo registrare impunemente domini corrispondenti anche parzialmente a segni distintivi altrui.

Per questi fenomeni patologici, le attuali Regole di Naming stabiliscono poteri di revoca d’ufficio del dominio contestato da parte della Registration Authority, la possibilità di accedere ad un arbitrato irrituale, salva – ovviamente – la possibilità di rivolgersi direttamente all’autorità giudiziaria.

A questo proposito va chiarito che i casi di registrazioni abusive di nomi a dominio (affatto nuovi anche in Italia) sono correttamente gestibili con le norme vigenti. Fin dal 1996, infatti (vedi l’ordinanza del Tribunale di Pescara Ballardini c. Nautilus), la giurisprudenza italiana ha stabilito un principio abbastanza chiaro: al nome di dominio si applica, di volta in volta, la normativa che più si adatta al caso specifico. Così è stato possibile applicare non solo la legge marchi, ma anche quella che tutela il diritto al nome o quella sul diritto d’autore che protegge il nome delle testate, o ancora gli artt. 2598 e seguenti del codice civile in materia di concorrenza sleale.

Questo non significa che l’argomento “nome a dominio” sia scevro da problemi – dei quali mi occuperò in un prossimo articolo – ma sicuramente non sono quelli di cui si stanno occupando Governo e mezzi di informazione.

Ciò premesso, è abbastanza palese come il DDL Passigli istituisca una sostanziale duplicazione di tutela di situazioni giuridiche già protette da altre norme e quindi sia sostanzialmente ridondante.

Andando più nel dettaglio, si nota che – curiosamente – il DDL non vieta la “registrazione” ma il semplice “uso” (Per l’utilizzazione di nomi a dominio è vietata…) del dominio. Che viene per di più sottoposto ad un “regime di circolazione” immotivatamente burocratizzato dalla previsione del necessario consenso scritto da parte dell’avente diritto (il che taglia fuori – lasciamo perdere il documento informatico – le procedure elettroniche).

Dato e non concesso poi che il “legittimato” a prestare il consenso sia identificato o identificabile (“monti” è un cognome o un nome generico?). Il secondo comma, di notevole oscurità sintattica, devo dire, evidenzia una robusta dose di schizofrenia: ledere un diritto di privativa con modalità “tradizionali” implica la condanna al risarcimento del danno quantificato dal giudice in base alle risultanze istruttorie del processo. Se per ventura la violazione è commessa per il tramite di un nome a dominio, allora viene stabilito per legge un “minimo sindacale” da risarcire, peraltro di dubbia e difficile giustificazione. Inutilmente vessatoria, poi, è la previsione secondo la quale la sentenza che accerta l’illecito o quantifica il danno ordina la cancellazione del nome, visto che costringe l’eventuale titolare legittimo ad attivare nuova e distinta procedura di registrazione invece di ottenere semplicemente la modifica degli apposti campi del data-base gestito dalla Registration Authority.

Per quanto riguarda i profili “amministrativi”, con l’art. 2 l’attuale RA viene trasformata in una “Anagrafe nazionale dei nomi a dominio” che riassumerebbe in sé il potere legislativo, quello esecutivo e – almeno parzialmente – quello “giudiziario”. Da un lato dunque la RA eserciterebbe un controllo di merito sulle richieste di assegnazione, dall’altro le sue decisioni sono impugnabili davanti al TAR, vale a dire per esclusive questioni di legittimità. A buon intenditor… Altra stigmatizzazione merita la scelta di attribuire la competenza esclusiva per le controversie in questione al TAR del luogo in cui è stabilita l’Anagrafe. In questo modo non solo le aziende, ma soprattutto privati cittadini, si troveranno a sostenere, oltre ai costi già rilevanti di un ricorso amministrativo, anche quelli relativi alle cause “fuori foro”. Il che significa limitare di fatto i diritti dei soggetti più deboli che ben difficilmente adiranno il giudice amministrativo. A meno di non istituire delle Anagrafi dislocate su scala locale, ma una soluzione del genere si commenta da sé.

Sulla questione della “procedura di conciliazione” per risolvere le dispute vale la pena di lasciare la parola al senatore Passigli che dice:

Nei confronti di un eventuale abuso, fino ad oggi, chi si sentiva colpito nel proprio diritto aveva la possibilità di ricorrere al giudice ordinario, aggravando così la giustizia civile che come sapete è già sufficientemente gravata di pendenze in corso, ma soprattutto avendo giustizia in un numero di anni abbastanza lungo (vedi il resoconto stenografico della conferenza stampa).

Si tratta evidentemente di un’affermazione di maniera e quindi priva di un sostanziale valore argomentativo. Se proprio si vuole parlare dei fattori di rallentamento dell’attività della giustizia civile, allora – per esempio – ci si dovrebbe occupare piuttosto delle cause derivanti da incidenti stradali, non certo di quelle sui domi a dominio.

Due parole – infine – sul concetto di “utilizzazione” del nome a dominio. La gestione – anche e soprattutto – tecnica dei nomi a dominio spetta all’ICANN, un soggetto di diritto statunitense, e ad altri organismi sovranazionali, che in piena autonomia dettano regole, standard e protocolli e che rappresentano la fonte primaria dalla quale l’Italia deriva la “potestà” per gestire il Top Level Domain geografico .it. Secondo le norme tecniche un dominio è attivo quando il DNS risponde e funziona un Postmaster; tutto il resto è irrilevante (mi perdonino i colleghi della Naming Authority per le eccessive semplificazioni). Orbene: se il legislatore italiano pretende di sostituirsi o sovrapporsi agli standard e ai protocolli tecnici universalmente adottati nel funzionamento dell’internet, la conseguenza è molto semplice: non ci sarà più nessuna internet in Italia.

Infine, una considerazione di ordine generale. Se oggi in Italia esiste qualcosa che somiglia anche lontanamente all’internet, lo si deve anche alla Naming Autorithy che, allo stato, è il soggetto che consente a tutti di “mandare avanti la baracca”. Ma nessuno ha pensato di consultarla prima di rendere pubblico il testo del DDL.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

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