L’affollamento delle orbite basse causato dal crescente numero di satelliti privati compromette le possibilità di osservazione astronomica dalla Terra e mette in dubbio il senso delle “politiche spaziali” di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su La Repubblica – Italian Tech
Uno studio della canadese Western University diffuso il 17 giugno 2025 contiene l’analisi dei dati di un anno di passaggi satellitari all’interno dei confini nazionali documentando decine di milioni di attraversamenti in una fotografia dall’enorme potere evocativo.
In bianco e nero, l’immagine ritrae le traiettorie dei satelliti come se fossero la trama di un tessuto sfrangiato, o la tela di un baco da seta e trasmettono la percezione di una Terra soffocata da un velo che sta diventando sempre più spesso, fitto e soffocante.
Ovviamente, si tratta di un’illusione ottica: le immagini astronomiche sono realizzate con degli apparati di ripresa che “seguono” l’oggetto da fotografare e che sono impostate con lunghissimi tempi di esposizione. Questo metodo consiste nel lasciare aperto l’otturatore della fotocamera in modo che la luce possa impressionare il sensore sufficientemente a lungo. Il risultato è che la fotografia cattura l’intero movimento come una striscia di luce e non il singolo istante. Inoltre, non tutti i satelliti attraversano contemporaneamente la stessa porzione di cielo. Dunque, non c’è nessuna tela che avvolge il nostro pianeta, ma l’immagine che illustra lo studio canadese è molto più evocativa del brulichio scintillante visualizzato dai siti che rendono disponibile, in tempo reale, la posizione e il numero dei satelliti che orbitano sopra le nostre teste.
Questa lunga premesse serve per introdurre due temi cruciali che caratterizzano la colonizzazione di quello che chiamiamo pomposamente “spazio” ma che in realtà costituisce —ancora— una zona esterna ma pur sempre afferente alla Terra (Luna, Marte e altri corpi celesti sono un altro discorso).
L’inquinamento luminoso acceca i telescopi
Il primo riguarda le conseguenze dell’affollamento orbitale. La miriade di satelliti che avvolgono la Terra sta progressivamente compromettendo l’efficienza dell’osservazione astronomica. Da anni gli scienziati stanno lanciando allarmi —inascoltati— sulle conseguenze per la ricerca dell’inquinamento luminoso causato dal sovraffollamento satellitare e dai detriti causati dagli impatti con altri oggetti orbitali. Ma questo progressivo accecamento non riguarda soltanto gli occhi artificiali dei telescopi, perché anche quelli dell’uomo sono condannati alla stessa sorte. Non si tratta di una lamentazione romantica e fuori moda, magari ispirata dal pastore errante dell’Asia che vede a rischio la possibilità di indirizzare le proprie domande alla “luna in ciel, muta ed inutile”, ma di una seria questione antropologica che riguarda il nostro rapporto ancestrale con la notte e con lo spazio, mirabilmente raccontato da Isaac Asimov in Nightfall.
Lo spazio è già militarizzato e sfruttato economicamente
Il secondo riguarda la confessione di fallimento —o l’ipocrisia— del “Trattato sullo spazio esterno” del 1967 che “vietava”, ma solo sulla carta, la militarizzazione del cielo prima e il suo sfruttamento economico. Con buona pace del formalismo giuridico, né l’una né l’altro si sono mai fermati, tanto da far pensare, con il senno di poi, che quell’accordo stipulato sotto l’egida dell’ONU non avesse poi tanto a cuore la “libertà spaziale” ma che fosse piuttosto una sorta di tregua armata fra gli unici due Paesi —USA e URSS—all’epoca in grado di occupare questo nuovo dominio strategico.
Lo scenario cambia con l’ingresso di due nuove categorie di concorrenti: gli “Stati emergenti” che rivendicano il diritto al proprio programma spaziale (UE assente ingiustificata, nonostante i proclami), e Big Tech come Starlink (Elon Musk) e Project Kuiper (Jeff Bezos). Mentre gli accademici discettano di “space economy” e i governi contano su poco più di una mano il numero di satelliti che potrebbero riuscire a lanciare, Big Tech occupa sistematicamente tutto lo “spazio” possibile (quello vero) con i propri oggetti orbitanti e le proprie tecnologie. Con la beffa, oltre al danno, di non dovere nemmeno fingere di rispettare il Trattato del 1967.
Le conseguenze della cecità strategica degli esecutivi e della UE
Il risultato —volenti o nolenti— è che con questi “governi privati” bisogna scendere a patti a meno di non avviare un massiccio esproprio di tecnologie e infrastrutture.
È ovvio che una opzione del genere non sia nemmeno in fondo alla lista delle ipotesi, ma è anche palese che continuando a ignorare la realtà fattuale determinata dallo storico disinteresse degli esecutivi verso le alte zone dell’atmosfera e oltre, si favorisce il consolidamento di equilibri economici, tecnologici e strategici dei quali l’Unione Europea non è parte come peso, contrappeso o fulcro.
Superare il Trattato sullo spazio esterno
Un primo passo per (provare a) invertire la rotta è superare il Trattato sullo spazio esterno e affermare la sovranità sulle porzioni di orbite che attraversano il territorio di ogni Stato, analogamente a quanto accade con lo spazio aereo. Da lì si potrebbe partire per ristabilire gli equilibri fra poteri pubblici e (quelle che dovrebbero essere soltanto) aziende private.
Superare il Trattato consentirebbe di ridiscutere, senza limitazioni antistoriche o basate su presupposti ideologici oramai trapassati, il tema dello sfruttamento dei corpi celesti e delle loro risorse. Questo, però, nella consapevolezza che gli unici a poter avere effettivamente voce in capitolo sono quei soggetti che controllano l’intera filiera, dalla costruzione di vettori, satelliti e spacecraft, al possesso di poligoni di lancio e dei carburanti. Gli altri, per quanto abili a costruire parti e componenti, devono decidere se entrare a pieno titolo nella competizione acquisendo il diritto di porre delle condizioni nel tavolo degli accordi internazionali, o di rimanere dove sono, subendo ancora una volta scelte compiute da (e nell’interesse di) altri.
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