Perché l’accordo su TikTok non è proprio una vittoria di Trump

L’executive order del presidente USA chiude la battaglia sul futuro della piattaforma. Ma tra deroghe, quote cinesi e controlli politici, restano dubbi sulla reale portata della decisione di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato da Italian Tech – La RepubblicaL’executive order firmato il 25 settembre 2025 dal presidente Trump ha scritto la parola fine sulla lunga e complicata vicenda della “divestiture”, la vendita forzata  del ramo americano di Tik Tok imposta da una legge varata dal Congresso a tutela della sicurezza nazionale.

Il punto chiave di questo accordo è avere trasformato TikTok da piattaforma di intrattenimento a terreno di scontro fra sicurezza nazionale, libertà di espressione e diplomazia USA-Cina.

Nel futuro assetto, infatti, la “Tik Tok USA” sarà una joint-venture di diritto statunitense, con sede legale negli USA, con almeno l’ottanta per cento del capitale nelle mani di soci americani e fino al 20 per cento di proprietà di “entità o persone avversarie straniere”.

Chi modererà i contenuti

Gli algoritmi, i “codici” —qualsiasi cosa voglia dire la parola— e le decisioni sulla moderazione dei contenuti saranno sotto il controllo della joint-venture. I dati dei cittadini americani dovranno risiedere in un’infrastruttura cloud gestita da un’azienda statunitense e trattati in modo da non essere sotto il controllo di un “avversario straniero”.

Infine, l’executive order prevede “il monitoraggio intensivo degli aggiornamenti software, degli algoritmi e dei flussi di dati da parte dei partner fidati degli Stati Uniti, e richiede che tutti i modelli di suggerimento di contenuti, compresi gli algoritmi, che utilizzano i dati degli utenti statunitensi siano riaddestrati e monitorati da tali partner fidati”.

Sulla carta, il risultato ottenuto dall’amministrazione Trump sembrerebbe un notevole successo dal momento che ByteDance —e la Cina— sono state costrette ad accettare un accordo apparentemente molto penalizzante, ma in realtà le cose non stanno esattamente così.

Le contraddizioni dell’executive order

In primo luogo, è lecito avere qualche dubbio sulla legittimità dei numerosi rinvii concessi dall’amministrazione USA per la conclusione della vendita coatta di Tik Tok.

In secondo luogo, è un po’ difficile affermare che avere lasciato in mani cinesi fino al 20 per cento del controllo sulla futura joint-venture sia qualificabile come trasferimento del pieno controllo sull’operatività della piattaforma. Ci sarebbe, infatti, da chiedersi se la semplice riduzione della partecipazione societaria dei “foreign adversary” sia sufficiente ad eliminare il controllo effettivo sul funzionamento di Tik Tok USA, quando invece il Congresso aveva chiaramente deciso di recidere qualsiasi legame con la Cina.

In terzo luogo, non può sfuggire la contraddizione fra avere dichiarato per legge che TikTok è gestita da “entità straniere nemiche”, e avere consentito a queste “entità straniere nemiche” di rimanere all’interno della joint-venture, mantenendo tutti i diritti che derivano, appunto, dall’essere comproprietario.

Il lato politico dell’executive order

L’executive order lascia intendere in modo abbastanza chiaro i termini della mediazione fra il presidente Trump e il presidente Xi.

La scelta di avocare esclusivamente all’esecutivo USA il potere di indagare sul rispetto della legge che impone la vendita coatta fa sì che nessuno al di fuori del Department of Justice —e dunque del presidente USA— può entrare nel merito dell’operazione TikTok. Questo elimina preventivamente il rischio di azioni legali promosse da soggetti privati come per esempio le ONG per i diritti civili o di leggi emanate da singoli Stati dell’Unione che possano compromettere l’accordo e la sua applicazione.

Detta in modo ancora diverso, l’executive order stabilisce una sorta di governance politica condivisa fra USA e Cina da gestire tramite la presenza negli apparati di controllo societario, di una pur minoritaria ma significativa rappresentanza cinese, senza che nessuno, a parte gli esecutivi dei due Paesi, possa avere voce in capitolo.

Il controllo sui controllori

Questa conclusione è rinforzata dalle conseguenze del mantenere una presenza negli organi amministrativi di Tik Tok USA o comunque avere la possibilità di esercitare i diritti che spettano ai soci di minoranza. In questo modo si consente alle “foreign adversary entity” di avere un accesso diretto alle scelte informazioni sulle scelte di management degli amministratori e sull’utilizzo delle tecnologie e dei dati che la nuova società riceverà in dote. Il che, evidentemente, significa poter segnalare a chi di dovere eventuali violazioni sostanziali degli accordi assunti in sede politica, con tutte le conseguenze del caso.

Un conto, dunque, è il controllo giuridico sull’operatività dell’azienda, un altro conto è quello politico.

L’impatto sui contenuti e sulla loro monetizzazione

Una delle ragioni per le quali l’amministrazione Trump ha accettato questa mediazione è rappresentata da un numero: 170 milioni. Tanti sono gli utenti di TikTok citati nell’executive order, e tanti sono i soggetti che potenzialmente avrebbero potuto manifestare, per esempio nelle elezioni di mid-term del prossimo novembre 2026, il proprio dissenso per la chiusura definitiva della piattaforma.

Saranno proprio gli utenti a rappresentare il banco di prova dell’efficacia dell’executive order dato che, come detto, la nuova joint-venture controllerà l’addestramento degli algoritmi, gestirà la profilazione degli utenti e ne modererà i contenuti.

Sarà dunque interessante vedere se, e in che termini, tutto questo cambierà la natura dei video suggeriti agli utenti. Saranno eliminati o ridotti quelli che, secondo il Congresso USA, rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale, e sostituiti con contenuti più edificanti e “patriottici”? E come reagiranno i “content creator” se crolleranno le monetizzazioni?

Solo il tempo consentirà di rispondere a questa domanda, ma già da ora va rilevato che un’opzione del genere —orientamento dei contenuti verso temi “graditi”— non sarebbe troppo diversa da quanto ha stabilito la stessa Cina, per esempio, con le proprie regole sullo sviluppo di AI rispettose dei valori del socialismo come nel caso di DeepSeek R1.

Il ruolo politico della libertà di espressione

Il potere giuridico di determinare il funzionamento di TikTok non ha preso in considerazione un ingombrante convitato di pietra: la libertà di espressione.

Orientare in modo troppo spinto la fruizione della piattaforma da parte degli utenti rischierebbe di innescare contestazioni anche giudiziarie che potrebbero arrivare fino alla Corte Suprema. Questo potrebbe addirittura rimettere in discussione l’intero impianto della mediazione faticosamente raggiunta fra i due presidenti, riportando tutti al punto di partenza, ma in condizioni molto più complesse da gestire.

Un tema del genere, peraltro, non riguarda soltanto gli USA dal momento che anche il regolamento europeo sui servizi digitali, il “DSA” contiene sostanzialmente norme censorie che affidano a soggetti privati (i “trusted flagger”) il ruolo di segnalare anche contenuti leciti ma “inappropriati” e alle grandi piattaforme quello di decidere in autonomia se, come e quando rimuoverli senza una preventiva supervisione da parte di un giudice.

Un nuovo modello delle relazioni fra USA e Cina?

In termini più generali, sarà interessante vedere se questa mediazione USA-Cina è destinata a rimanere un evento isolato, oppure se diventerà un paradigma per consentire di eliminare i bandi e le restrizioni imposte ad aziende tecnologiche come per esempio Huawei.

L’ipotesi non sarebbe, di per sé, priva di fondamento dato che lo stesso approccio è seguito dalla stessa Cina dove, già almeno dal 2005, le aziende straniere possono operare tramite una joint-venture con soci locali.

La crisi dei diritti e la prevalenza degli interessi politici

La lettura complessiva della vicenda TikTok suggerisce tre spunti di riflessione.

Il primo è squisitamente politico: l’ennesimo confronto fra sicurezza (in questo caso) nazionale e libertà di espressione dimostra che la compressione dei diritti dovrebbe avvenire solo in via eccezionale, con estrema cautela e senza meccanismi impediscono di eliminarla.

Il secondo spunto è geopolitico: questo accordo non è soltanto un compromesso commerciale o una tregua armata fra due superpotenze. Esso rappresenta, piuttosto, la consacrazione di quel neomedievalismo tecnologico in nome del quale tecnologia, sovranità e rappresentanza perdono identità e si confondono l’una con l’altra.

Il terzo spunto riguarda la costruzione della coscienza sociale—o la sua destrutturazione: eliminare la diversità e costruire narrative partigiane basate sul nudging reso possibile dalla profilazione tecnologica rendono possibile elevare ad un livello superiore le distopie manipolative costruite da Edward Bernays, dai suoi eredi e dai suoi imitatori da entrambi i lati dell’Atlantico e del Pacifico.

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