Si riducono gli spazi di difesa dei diritti dei cittadini e, per quanto strano possa sembrare, anche di quelli che non rispettano le regole di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Italian Tech – La Repubblica
Con la giustificazione del “online”, da tempo è in atto uno spostamento “sistemico” del potere di applicare il diritto dalle mani della magistratura a soggetti privati e autorità indipendenti.
Norme europee, come il regolamento sui servizi digitali, affidano ai “trusted flagger” —novelli delatores — il compito di segnalare contenuti illeciti e “inappropriati” (cioè “sgraditi” ma non vietati) e alle piattaforme il potere di rimuoverli e “sanzionare” gli utenti senza coinvolgere un giudice. Altre, come la direttiva Audiovisual and Media Service, promuovono la “coregolamentazione” —sulla carta un accordo fra regolatori pubblici e regolati privati, ma in realtà frutto di una trattativa squilibrata che, dunque, tutto è tranne che negoziata, ma soprattutto non è sottoposta al controllo del Parlamento.
Allo stesso modo, le autorità indipendenti, che pure non fanno parte della magistratura, hanno progressivamente invaso il campo della giustizia rivendicando il potere di tutelare i diritti dei cittadini. Dunque, si sono attribuite il potere di compiere atti —come gli oscuramenti di siti e la rimozione di contenuti — che spetterebbero solo a un giudice.
Molti sarebbero i casi da citare, ma in ordine di tempo, basta ricordare il provvedimento dell’undici luglio 2025 emesso dal Garante per i dati personali che ha adottato una vera e propria misura cautelare reale —un sequesto per oscuramento— per impedire la diffusione di immagini relative all’autopsia di Chiara Poggi e, appunto la delibera di approvazione delCodice di condotta e le linee guida per gli influencer che stabilisce come priorità l’onnipresente “tutela dei minori” (pagina 22) o che a pagina 31 afferma apertamente che “l’Autorità intende garantire piena libertà di espressione e di impresa senza pregiudicare il pluralismo…”.
Anche nelle attività online, solo i giudici possono tutelare i diritti
Per capire la gravità di quello che sta accadendo è necessario partire da tre premesse: la prima è che, giuridicamente, non esiste la differenza fra “online” e “offline” perché conta soltanto la conseguenza di un’azione. In altri termini, se minaccio, diffamo oppure truffo qualcuno usando un profilo social sto commettendo dei reati in un certo modo invece che in un altro, ma il mio comportamento rimane sempre e comunque reato. Quindi, se un “influencer” è accusato di non rispettare il diritto d’autore, di avere messo in piedi una “social-truffa” o di avere causato la morte di una persona con dei comportamenti irresponsabili non c’è autorità amministrativa che possa sostituirsi a un giudice solo perché si tratta di azioni “commesse per via telematica”.
Lo stesso discorso vale per la “disinformazione” che è già punita almeno dall’articolo 656 del Codice penale nella sua “forma base” e da altre norme, come l’articolo 243 sempre del codice penale, che punisce chi si accorda con uno Stato straniero per consentirgli di commettere atti ostili contro l’Italia. Anzi, in questo caso, la situazione sarebbe ulteriormente complicata dalla necessità di coinvolgere anche il Ministero della difesa e quello degli esteri.
La seconda premessa è che il diritto della vittima ad avere giustizia e quello dell’autore di un atto illecito a essere giudicato correttamente si possono applicare solo all’interno di un processo celebrato da un giudice. La Costituzione è chiara e granitica sul punto e non c’è altro da dire.
La terza è che pubbliche amministrazioni, enti locali e, per l’appunto, autorità indipendenti possono soltanto applicare sanzioni amministrative. Semplificando all’osso, dunque, enti del genere possono sanzionare l’eccesso di velocità o il mancato rispetto di qualche prescrizione burocratica, ma non possono incidere direttamente sulla sfera dei diritti costituzionali come il diritto all’autodeterminazione, la libertà di espressione o di iniziativa economica, la tutela della riservatezza.
Perché è importante che solo i giudici possano tutelare i diritti
Al di là delle etichette e delle qualifiche di “indipendenza” o “autonomia” il problema rappresentato dalle autorità indipendenti è che non essendo corti, hanno procedure non altrettanto garantiste di quelle dei processi veri e propri. Applicano criteri di rapidità e semplificazione, ma al prezzo di sacrificare le garanzie procedurali che sono alla base del rule of law quando ci sono diritti fondamentali in gioco.
È veramente possibile difendersi?
Il che ci porta a un altro aspetto problematico, che riguarda la possibilità di contestare le decisioni delle autorità indipendenti. Sulla carta si possono impugnare davanti a una corte, ma essendo “atti amministrativi” si presumono corretti e dunque spetta a chi li contesta avviare un percorso complesso per contestarli e ottenere giustizia in tempi —e costi— ragionevoli. In breve: da un lato ci sono poteri sanzionatori sempre più incisivi e dall’altro ci sono strumenti di difesa inadeguati. Questo è particolarmente vero se consideriamo che sempre più spesso, a livello di Unione Europea e di ordinamento nazionale, i testi di riferimento non sono più leggi e decreti ma provvedimenti, pareri, comunicati stampa, linee-guida e —come accaduto durante la pandemia— addirittura delle anonime FAQ pubblicate sui siti di qualche amministrazione centrale o locale.
Verso un vecchio-nuovo modello di regolazione?
Gli argomenti che di solito vengono utilizzati per rispondere a queste considerazionieccepiscono che non si può andare davanti a un giudice per qualsiasi cosa, oppure che troppe vertenze di (relativamente) scarsa importanza aggraverebbero il carico di lavoro degli uffici giudiziari, e che non servono leggi complicate e ponderose perché basta fare “quello che dice il garante” per non sbagliare. Dunque, continua il ragionamento, tanto vale affidarsi a sistemi alternativi come appunto la giustizia semi o totalmente privata invece di rivolgersi al tribunale.
Il ragionamento può non essere del tutto privo di fondamento, però bisogna mettersi d’accordo su un punto: qual è — se c’è— la soglia invalicabile.
Non si può, in altri termini, parlare contemporaneamente della “sacralità dei diritti fondamentali” e poi tollerare, accettare o lasciare che questi diritti vengano sottratti, anche solo in parte, al controllo di chi deve proteggerli garantendone il corretto esercizio.
Allora, delle due l’una: o si ricostruiscono i confini di quella che i tecnici chiamano “giurisdizione” —cioè gli ambiti dell’esercizio del potere pubblico— o si cancellano definitivamente questi confini per creare un sistema dove vale il diritto del caso singolo, cioè l’arbitrio di chi, in un determinato momento e in un certo luogo, ha il potere di esercitare il potere, con buona pace per il rule of law.
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