La Corte costituzionale apre la strada al transumanesimo?

La sentenza che riconosce a due donne lo status di genitrici legali di un figlio è un indubbio consolidamento nel sistema dei diritti. Ma lascia aperti importanti interrogativi su come cambia il rapporto fra tecnologia, essere umano e società di Andrea Monti – inizialmente pubblicato su Italian Tech-La Repubblica

Una sentenza della Corte costituzionale ha riconosciuto a due donne il diritto di essere considerate genitrici di un bambino ottenuto con la procreazione medicalmente assistita legalmente disponibile all’estero. Questa sentenza è importante per varie ragioni, alcune strettamente giuridiche, altre di natura più generale che prescindono dal caso concreto.

Da un lato, ma non è il tema di cui si occupa questo post, la decisione colma un vuoto giuridico o, se vogliamo, afferma un principio politico. Mette la tutela del minore al centro dell’interesse dell’ordinamento e conferma che la genitorialità è un diritto a prescindere dalla formazione sociale minima nel quale questo diritto si esercita.

Questo indubbio consolidamento nel sistema dei diritti è stato possibile, perché il diritto non deve necessariamente seguire la realtà oggettiva (fatto acquisito da tempo, se consideriamo la tutela giuridica dei culti religiosi). Dunque, tecnicamente non è “fuori dal sistema” stabilire che il ruolo di genitore biologico non è più giuridicamente rilevante in via esclusiva per acquisire il relativo status giuridico.

A questo proposito, è importante capire che – si legge fra le righe della sentenza – non è importante se la nascita avvenga con l’apporto di un essere umano: oggi è ancora necessario, ma l’evoluzione delle tecniche per gravidanze artificiali extrauterine lascia intendere che in futuro possa non esserlo. Quindi, il tema della identità del genitore rimane dal punto di vista strettamente genetico, ma non necessariamente più da quello fisico e, dunque giuridico.

Il controllo sul corpo

Emanata certamente con le migliori intenzioni, questa sentenza ha, tuttavia, alcune criticità di sistema che non possono essere sottovalutate e che non riguardano il tema, pur importante, delle genitorialità.

In primo luogo, anche se la generalizzazione potrebbe apparire eccessiva, apre la strada a tutte quelle rivendicazioni giuridiche basate sulla trasformazione del corpo in “bene disponibile”; cioè il presupposto logico e filosofico per la teorizzazione di nuovi modelli di relazione non più basati sul concetto di società come la abbiamo conosciuta sino a oggi. Inoltre, apre la porta all’ingresso di visioni biopolitiche basate sul diritto all’accesso alle tecnologie che “migliorano” — o potenziano — l’essere umano.

In questo nuovo modello, gli individui sono determinati prima tecnologicamente e solo dopo, giuridicamente. Dunque, la società non è più caratterizzata dal legame che si crea fra generazioni e che è alla base della continuità culturale e dell’antropologia di un gruppo. Infatti, la possibilità tecnica di costruire artificialmente un essere umano con efficacia giuridica, ora validata dal diritto, realizza la contraddizione di una società fatta di monadi —entità singolari e autoreferenziali— che interagiscono fra di loro come gli elettroni di un atomo, senza riconoscere il ruolo dell’altro già a partire dalle proprie relazioni dirette e individuali.

Dalle comunità virtuali al capitalismo della solitudine

Come tutti i fatti storici, anche questa sentenza non cade dal cielo, ma è la logica conseguenza del processo di “solitudinizzazione” avviato e dominato dalle piattaforme di social networking per convincere/costringere le persone a vivere collegate a —e dipendenti da— interazioni tecnologicamente mediate.

In realtà un processo del genere ha origini più risalenti rispetto all’avvento dei social perché risale ai tempi delle prime “comunità virtuali” degli anni 70-80 poi compiutamente teorizzate da Howard Rheingold nel suo lavoro The Virtual Community scritto nel 2000.

La separazione fra “corpo” e “anima” —o forse meglio, fra identità fisica e identità informazionale— resa possibile dalle allora rudimentali forme di comunicazione a distanza aveva posto le basi per le successive rivendicazioni giuridiche basata sulla prevalenza dell’autopercezione sull’identità epigenetica dell’individuo.

Non deve stupire, dunque, che la decisione della Corte costituzionale abbia riconosciuto questo mutamento sociale, mettendo l’ordinamento giuridico italiano di fronte ai temi del “transumanesimo”.

Transumanesimo e discriminazione

Nato verso la metà del secolo scorso, il transumanesimo teorizza il superamento della specie umana così come la conosciamo, per creare un “nuovo” essere grazie alle tecnologie potenziative —dall’ingegneria genetica, alla prostetica avanzata, ai metodi riproduttivi diversi da quelli biologici.

Per quanto orientata a migliorare l’essere umano e scongiurarne la scomparsa, questa filosofia —che forse sarebbe opportuno chiamare “ideologia”— contiene in sé il germe malato della discriminazione.

Abbiamo già la prova storica di come le differenze economiche e sociali possano creare diversi livelli di umanità, ponendo —sia a livello di individui che di gruppi sociali e di Stati— a quelli più bassi i meno abbienti o meno capaci.

Dunque, non è difficile immaginare cosa accadrebbe su un gruppo di persone “eredi” di Steve Austin, l’uomo da sei milioni di dollari che era stato ricostruito per essere “migliore di come era prima. Migliore, più veloce, più forte” cominci a vivere male l’idea di dover trattare da pari a pari chi non appartiene alla stessa “specie superiore”.

È difficile evitare toni preoccupati quando si affrontano questi temi, ma nello stesso tempo nemmeno si può avere fiducia illimitata nelle magnifiche sorti e progressive del progresso, specie perché le evoluzioni non seguono percorsi lineari. Dunque, non è detto che da un fenomeno sociale consegua necessariamente un altro —e in particolare quello che stiamo descrivendo. D’altro canto, basta leggere la produzione scientifica sull’artificial life per capire che non stiamo parlando di fantascienza ma di obiettivi realisticamente raggiungibili.

Quale società ci aspetta?

L’impatto sociale del transumanesimo — ma anche delle visioni escatologiche come quelle di Don’t Die, e di approcci come quelli della medicina potenziativa— è rendere possibile una società senza legami, totalmente individualistica, basata sulla corrispondenza fra desiderio e diritto, dove il prossimo non esiste più.

I legami fra le persone non sono più basati sulla condivisione di esperienze anche negative, e sulla costruzione di una memoria comune, ma sul narcisismo autoreferenziale del “lo voglio quindi lo faccio” e, per converso, del “lo faccio perché lo voglio”.

Fermarsi non è possibile…

Per quanto disturbante e distopica possa sembrare questa prospettiva, è del tutto irrealistico pensare che possa —o debba— essere fermata. Questa è la posizione di Slavoj Žižek che proprio sul tema della denaturalizzazione della nascita dice: “Non ho nulla contro un’azienda che mi offre di congelare il mio sperma, i miei ovuli o qualsiasi altra cosa. … In linea di principio, perché no? Non condivido questo atteggiamento totalmente paranoico, secondo cui si tratterebbe solo di un altro mezzo di controllo, manipolazione e così via. Mio Dio, stiamo entrando in una nuova era, che lo vogliamo o no, in cui avere figli e così via sarà completamente denaturalizzato. Il problema non è se farlo o meno. … La soluzione non è semplicemente dire di non farlo, proibirlo. Se non altro, se non lo facciamo noi, lo faranno gli altri come matti. … Ecco perché sottolineo sempre che Internet e tutte queste nuove tecnologie digitali sono un fenomeno molto ambiguo, ma sono anche il campo di battaglia. Nuove forme di schiavitù, ma allo stesso tempo nuove incredibili forme di libertà. Dobbiamo accettare la lotta senza nostalgia per le vecchie comunità presumibilmente più autentiche o cose del genere. Non ho paura di questo nuovo mondo.

… o non è desiderabile?

Il dibattito pubblico innescato da questa sentenza è abbastanza miope. Entrambe le parti ricorrono ad argomenti stantii e usurati (da una parte “è una sentenza che non toglie diritti ma ne aggiunge”, e dall’altra “è una sentenza contro natura”) ma non colgono il dato strutturale rappresentato, appunto, dall’irruzione di scienza e tecnologia nei fondamenti della società occidentale e delle regole in base alle quali dovremmo stare insieme.

Le soluzioni che nessuna delle due parti vuole pubblicamente proporre sono due: la totale “body commodification”, la trasformazione del corpo in un “oggetto disponibile” del quale fare quello che si vuole, oppure la normalizzazione dell’individuo, cioè l’imposizione di limiti statuali al controllo sull’identità.

La prima opzione, quella resa concettualmente possibile dalla sentenza della Corte costituzionale, porta direttamente alla discriminazione degli “have not”, mentre la seconda ci precipita nell’abisso della memoria, dove il dissenso e la diversità dovevano essere “curate” o, più radicalmente, “eradicate” in nome della “superiorità”. Quale che sia la scelta, chi ne subirà le conseguenze è l’essere umano chiunque —o qualsiasi cosa— esso sia.

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