In Australia è entrata in vigore la legge che vieta i social ai minori: ecco cosa prevede

Canberra inaugura la prima stretta nazionale sull’accesso ai social, ma l’efficacia del divieto dipenderà da come verranno gestiti controlli, piattaforme e contenuti non registrati di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su La Repubblica – Italian Tech

Il 10 dicembre si avvicina inesorabilmente.

Da quel giorno, in Australia, gli account (di molti) social attivati da minori di sedici anni dovranno smettere di funzionare: questo stabilisce l’Online Safety Amendment Act (OSA), una legge approvata nel 2024 con l’obiettivo di “proteggere i minori”.

Cosa prevede davvero la nuova legge australiana

L’OSA sembrerebbe un provvedimento rivoluzionario, basato su un approccio che non scende a compromessi e che mette le piattaforme con le spalle al muro: rispettare la legge nazionale anche se si opera da altre giurisdizioni, oppure pagare sanzioni (relativamente) pesanti. Tuttavia, come sempre quando si parla di legge, il diavolo è nei dettagli.

Innanzi tutto, gli account sottoposti alla legge non necessariamente dovranno essere cancellati perché insinuandosi fra le pieghe delle norme è possibile interpretarle in modo da sospenderli per poi riattivarli una volta raggiunta l’età fissata dall’OSA per l’utilizzo di quelle piattaforme. Quindi le piattaforme devono attendere pazientemente la scadenza dell’embargo sull’età e poi ricominciare a profilare e “orientare” i propri utenti—citando Modugno— “come prima, più di prima”.

Le zone franche del divieto: dove i minori possono comunque entrare

In secondo luogo, non tutto è vietato ai minori di 16 anni perché il “divieto di accesso” riguarda YouTube, X, Facebook, Instagram, TikTok, Snapchat, Reddit, Twitch, Threads e Kick, mentre piattaforme orientate ai ragazzi come Youtube Kids o destinate a un impiego (teoricamente) professionale come Linkedin rimangono accessibili.

Whitelist e blacklist: quando la protezione diventa discrezionale

Il problema, tuttavia, è che sia i contenuti della blacklist, sia quelli della whitelist non sono predeterminati dalla legge, il che significa poter espandere o restringere gli elenchi applicando criteri sostanzialmente discrezionali, nell’ambito delle indicazioni fissate dalla legge. Questo significa, in altri termini, che la legge consente alle autorità australiane il condizionamento di fatto delle attività delle piattaforme senza che un giudice abbia preventivamente valutato se il loro comportamento sia lecito o meno.

Rimangono i rischi di esposizione a contenuti illeciti e di abuso di dati

Infine, oltre alle piattaforme incluse in whitelist, rimangono accessibili tutti quei contenuti e servizi che non richiedono una qualche forma di registrazione dell’utente.

Se queste sono le premesse, è più che lecito chiedersi quale sia il senso di una legge di questo genere. Infatti, non impedisce l’accesso a contenuti illeciti o anche solo inappropriati, perché basta che chi li veicola non richieda una registrazione; né impedisce la raccolta di dati sugli utenti, perché anche in assenza della registrazione, tutto il patrimonio informativo consistente in metadati, modalità di fruizione dei contenuti, geolocalizzazione e via discorrendo rimane liberamente utilizzabile. Sembra proprio, in altri termini, che l’obiettivo di questa legge sia piuttosto quello di stabilire un potere diretto sulle piattaforme e non la protezione delle fasce deboli della società.

Un divieto che non educa

Anche volendo dare il beneficio del dubbio e volendo riconoscere la buona fede al parlamento australiano e alle autorità che hanno salutato con favore l’approvazione di questa legge, va riconosciuto che l’OSA è, in realtà, una confessione di impotenza.

Anche in Australia, come in altre giurisdizioni e nella UE si fa una grande fatica a riconoscere che la responsabilità e l’educazione dei minori sono compiti che spettano ai genitori o a chi esercita la potestà genitoriale e non allo Stato o, peggio, a soggetti privati.

L’illusione della scorciatoia normativa

Decidere che questo compito possa essere delegato —o meglio, trasferito— per legge alle piattaforme o a chiunque altro significa avere compiuto un ulteriore passo verso la deresponsabilizzazione individuale e, parallelamente, verso la costruzione di un sistema in cui valori e principi sono decisi dallo Stato e praticati tramite le piattaforme il cui scopo è fare attività di impresa, non tutelare i diritti.

Un test sul campo

Sarà estremamente interessante analizzare i risultati dell’applicazione dell’OSA e vedere se e in che termini la scelta politica del parlamento australiano avrà effettivamente incrementato i livelli di sicurezza e di incolumità dei ragazzi che intende proteggere.

Fino a quel momento, opinioni a parte, non si può che sospendere il giudizio.

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