Quando un operatore/internet provider cresce oltre una certa misura, diventa in grado di condizionare il modo in cui funziona la Big Internet e diventa parte, di fatto, del governo sulla rete di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su MIT Technology Review Italia
Come ho scritto in questo articolo, la natura stessa delle reti in tecnologia internet consente a ciascuno di costruire la propria che non necessariamente deve interagire con altre infrastrutture: per descrivere questa situazione, trent’anni fa il marketing high tech aveva coniato il termine “intranet”. In un contesto del genere, dunque, ognuno prende le decisioni che preferisce senza dover dare conto a nessuno.
Tuttavia, quando si vuole entrare in un ecosistema abitato da più soggetti non legati fra loro né organizzati gerarchicamente è chiaro che la struttura tecnica richiede regole condivise. Ed è già a questo livello che viene meno la retorica dell’internet libera.
Infatti, a dispetto dell’immaginario che descrive la rete come un territorio anarchico, privo di regole e di centri di controllo, la Big Internet è sempre stata governata da organi verticali che, pur essendo partecipati da un gran numero di soggetti —persone, organizzazioni, aziende ed esecutivi—alla fine gestiscono in proprio il modo in cui funziona l’intero sistema.
I padroni della rete
Nell’ambito dell’internet governance ci sono tre organi di riferimento: l’IETF (Internet Engineering Task Force), la IANA (Internet Assigned Numbers Authority), e l’ ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers).
La prima elabora e manutiene gli standard tecnici (Request For Comments – RFC) per i protocolli Internet (IP, TCP, UDP, TLS, QUIC, DNS, ecc.).
La seconda ha il controllo di risorse chiave per il funzionamento della Big Internet come gli indirizzi IP, gli Autonomous System Numbers (ASNs), e la root zone del DNS. Questi elementi sono fondamentali per la gestione del routing, cioè delle scelte di instradamento dei singoli pacchetti di dati che si muovono all’interno della rete. A livello regionale, ci sono poi degli appositi registri come, per l’Europa, il RIPE —Reseaux Internet Europeenne.
La terza coordina il sistema globale dei nomi di dominio (registrazione, Top Level Domain), e le policy associate a DNS e indirizzi IP. ICANN ha il potere di attribuire o revocare la “delegation” cioè il diritto di gestire un TLD. Per esempio, il suffisso .it che identifica i nomi a dominio geograficamente associati all’Italia è, si, gestito dall’Istituto di informatica e telematica del CNR di Pisa. Ma questo accade solo perché ICANN lo consente; e dunque nulla vieterebbe che la delegation sul nostro dominio nazionale possa essere attribuita ad altri.
Parallelamente agli organi —per così dire— istituzionali dell’internet governance opera Big Tech sia tramite la partecipazione e il supporto ai vari gruppi di lavoro che definiscono gli standard tecnici, sia sviluppandone di propri così creando delle sacche di incompatibilità con il resto della Big Internet.
Un esempio è l’Oblivious DOH (ODOH), un protocollo sviluppato da Cloudflare e Apple che serve per anonimizzare le connessioni ai DNS in modo che non si possa sapere chi sta cercando di collegarsi a un certo dominio e a quale dominio l’utente sta cercando di collegarsi. ODOH non è riconosciuto dalla IETF ma questo non ha impedito che fosse e continui ad essere largamente utilizzato da questi due giganti tecnologici.
L’internet governance fra politica e diritti
La dimensione geopolitica dell’internet governance è emersa con forza negli ultimi anni, mostrando come le decisioni tecniche possano trasformarsi in strumenti di pressione politica e come decisioni politiche possono essere assunte da organismi —almeno apparentemente— privi di un ruolo statuale.
Durante la guerra in Ucraina, ad esempio, le autorità di Kiev chiesero a RIPE di revocare la delega del dominio nazionale .ru per isolare la Russia dalla Big Internet. La richiesta non venne accolta perché non è il RIPE ma ICANN ad avere un potere del genere, ma a prescindere da questo errore grossolano, il semplice fatto che una decisione di enorme impatto politico per il mondo intero possa essere stata rimessa a un organismo privato, impone di riflettere sul potere simbolico e sostanziale degli organi dell’internet governance.
Analogamente, nel 2022 alcuni grandi operatori di rete hanno modificato i propri instradamenti per evitare che i dati transitassero attraverso infrastrutture russe. La scelta, geopoliticamente motivata, dimostra come il controllo del routing faccia a pieno titolo parte dell’arsenale tecnologico occidentale e come abbia conseguenze dirette sugli equilibri internazionali.
A questo si aggiunge il fatto che le grandi piattaforme tecnologiche hanno sviluppato proprie infrastrutture di trasporto globale, di fatto reti autonome capaci di influenzare il funzionamento complessivo della Big Internet. Un esempio su tutti: l’adozione di fatto degli standard di configurazione dei server di posta elettronica per poter scambiare messaggi con Gmail.
Infine, non va dimenticato che gli Stati conservano il controllo delle infrastrutture fisiche di base —cavi, data centre, dorsali terrestri e sottomarine— e che questo controllo rappresenta uno degli strumenti più efficaci di esercizio della sovranità pubblica. Tanto è vero questo, che anche l’Italia si è dotata del “kill switch”, il potere che l’allora governo Conte si fece attribuire e che ancora esiste, grazie al quale il Presidente del Consiglio italiano può “spegnere la rete”.
Il conflitto multipolare
La narrativa della Big Internet libera e autogovernata, fino a quando ha funzionato, ha garantito la stabilità tecnica che ha reso possibile l’espansione della Big Internet.
Questo equilibrio, fragile quanto vogliamo, ora si è definitivamente rotto ed è quindi necessario chiedersi come Big Internet possa continuare a funzionare in un contesto di pressioni politiche, concentrazione industriale e conflitti di sovranità.
È questo conflitto multipolare fra poteri istituzionali e soggetti privati a decidere se sarà possibile mantenere un’infrastruttura comune su scala planetaria o se, invece, andremo verso una balcanizzazione delle reti, con tanto di checkpoint per consentire il transito soltanto a certi tipi di dati e verso certi tipi di destinazioni.
Oggi, dunque, le scelte da compiere non sono soltanto di natura tecnologica —scalabilità, sicurezza, interoperabilità— ma afferiscono soprattutto alla politica e dunque al diritto.
Bisognerà decidere chi avrà il diritto di definire le regole, quali valori guideranno le scelte di governance, quale equilibrio verrà trovato tra interessi globali e sovranità locali.
In questo senso, dunque, l’internet e la sua governance non sono più soltanto un’infrastruttura, ma un terreno di negoziazione permanente fra potere, diritti e controllo.
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