La duplicazione abusiva di software non è sempre reato

di Andrea Monti – PC Professionale n. 80

Ha destato molto scalpore la notizia pubblicata da un quotidiano economico secondo la quale una sentenza della Pretura penale di Cagliari, copiare software non è reato.

Come è facile immaginare quest’affermazione ha provocato da un lato le reazioni preoccupate dei produttori e dall’altro grande gioia fra gli utenti (almeno a giudicare da quello che è successo in vari newsgroup) che probabilmente già si preparavano a spendere un bel pacco di soldi per acquistare un po’ di licenze.

Come spesso accade l’accesso diretto alle fonti (la sentenza del giudice cagliaritano) consente di chiarire precisamente i termini della questione.

I fatti

Una società detiene legittimamente una suite di programmi (videoscrittura, foglio elettronico ecc. ecc.) che installa – pur disponendo di una sola licenza d’uso – su più macchine. Questa azione è stata qualificata come duplicazione abusiva a fine di lucro e come tale ha dato origine ad un procedimento penale.

Al dibattimento il Pretore di Cagliari assolveva l’imputato perché il fatto non sussiste.

E’ interessante – oltre che sensata e ragionevole – la motivazione della sentenza.

In sintesi il magistrato ha fatto questo ragionamento:

L’art.171 bis punisce la duplicazione a scopo di lucro, quindi ciò significa che per l’esistenza del reato non è sufficiente la semplice riproduzione del programma, bisogna che ciò avvenga con il fine esplicito (dolo specifico, dicono i tecnici) di ottenere un incremento del patrimonio.

In altri termini – secondo il giudice – installare più copie dello stesso programma in assenza di una licenza multipla concreta piuttosto una mancata spesa (non pagare le licenze aggiuntive) e quindi piuttosto un profitto che è nozione più ampia del lucro.

La differenza è sottile ma sostanziale tant’è che – appunto – la formula dell’assoluzione è quella per cui “il fatto non sussiste”.

Le conclusioni

Questa sentenza è molto importante perché per la prima volta un giudice prende posizione sul contenuto della nuova legge sulla tutela del software.

La decisione del magistrato risponde all’esigenza di applicare un principio fondamentale del diritto penale secondo il quale il ricorso alla sanzione penale deve essere previsto solo in casi estremi (c.d. extrema ratio)

Molto correttamente il magistrato ha riconosciuto che le duplicazioni non sono tutte uguali secondo il testo dell’art.171 bis Alcune infatti anche se effettuate senza l’autorizzazione del produttore sono soltanto violazioni contrattuali (equivalenti, ad esempio, al non pagare l’affitto di casa o una rata della macchina) e come tali la sede per le controversie relative è il giudice civile che – eventualmente -condannerà al risarcimento del danno.

Questa sentenza è anche l’occasione per sollevare una questione annosa in relazione alla tutela del software.

La duplicazione non autorizzata di un software causa al produttore il mancato percepimento delle royalty cioè gli causa un da economico, né più né meno che se non si pagasse il conto al ristorante.

A questo punto, il produttore dovrebbe farmi causa (civile) e chiedermi i danni, punto e basta.

Invece no, perché la legge è strutturata in modo che sia l’autorità giudiziaria a togliere le castagne dal fuoco alle software-house, che quindi devono solo aspettare che qualcun altro tuteli i loro interessi.

Che questo compito tocchi allo Stato, sembra veramente eccessivo.

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