Internet fa male ai bambini ver. 2.0

di Andrea Monti – PC Professionale n. 87-88

Gli effetti delle mistificazioni giornalistiche degli ultimi anni cominciano a manifestarsi con sempre maggiore virulenza sia in ambito culturale che giuridico. I due piani sono molto più legati di quanto possa inizialmente sembrare, perché se il legislatore (che – ricordiamolo – non è uno spettro, ma un gruppo di persone) non ha una corretta percezione del fenomeno non può decidere se obiettivamente sia il caso di emanare provvedimenti oppure di non appesantire le (già oberate) pagine della Gazzetta Ufficiale.

Il martellamento dei media ha prodotto un malinteso concettuale dal quale è derivato un serio squilibrio normativo. Il malinteso è il pensare che la Rete sia un mondo a parte (ciberspazio o quello che meglio preferite), lo squilibrio è – parallelamente – trattare giuridicamente l’Internet allo stesso modo, invece di considerarlo per quello che è, vale a dire uno dei tanti servizi di telecomunicazioni sui quali in questi mesi i colossi del settore stanno combattendo un agguerrita battaglia.

Stranamente (ma nemmeno poi tanto) le cose corrono su due binari separati: da un lato – tanto per dirne una, anzi due – il problema della gestione delle frequenze radiotelevisive o l’ingresso del terzo gestore di telefonia mobile dall’altro si parla di censura, terrorismo e perversione… francamente c’è da restare perplessi.

Il problema è generalizzato se è vero che non è solo l’Unione Europea (come si è detto nel numero precedente) ad avere a cuore la virtù della Rete, ma anche il nostro italico establishment che non sciupa occasione per occuparsi di questi temi a scapito di una discussione più matura e produttiva.

Il senso di questo preambolo sta nella constatazione che – se vale il proverbio l’occhio vede quello che la mente sa – invece dei problemi veri (costo delle tariffe di accesso, qualità e sicurezza dei servizi, diffusione del mezzo) rischiamo – lasciando inalterato il nocciolo della questione) di venire sommersi da tonnellate di leggi assolutamente inutili.

Queste preoccupazioni – oltre che dal documento comunitario (uno dei tanti in argomento) del quale ho parlato il mese scorso – sono parzialmente accentuate dal dibattito che si è svolto nel corso di un importante convegno organizzato i giorni otto e nove maggio scorsi a Roma dal Garante per la protezione dei dati personali (volgarmente noto come Garante per la privacy) dal titolo “Internet e la privacy”.

Brillavano per la loro assenza (dalle brochure non figuravano nemmeno fra gli invitati) organi istituzionali come l’AIPA o l’Antitrust che avrebbero a buon diritto avuto qualcosa da dire sull’argomento, mentre una certa perplessità ha suscitato nel sottoscritto la totale assenza delle associazioni di utenti e fornitori. Non solo mancavano ANFOV e AIIP (per i fornitori) ma non è stata invitata nemmeno una delle varie associazioni che nei mesi passati è stata considerata degna – su precisa indicazione dell’Unione Europea che richiedeva la presenza degli utenti – di interloquire con il Ministero delle Comunicazioni sul problema dell’autodisciplina. A quanto pare l’opinione di chi vive e lavora tutti i giorni con la Rete non è stata ritenuta significativa… prendiamo atto.

Se – nonostante tutto – il bilancio di questo incontro può essere considerato moderatamente positivo sotto il profilo generale sono alcune “uscite” dei vertici istituzionali intervenuti percepite come marginali dai più ad essere dense di significato per l’orecchio degli osservatori più attenti, ma andiamo con ordine.

Gli interventi più autorevoli sono stati senz’altro quello del Commissario Europeo Emma Bonino e quello di Stefano Rodotà che ha disegnato per la Rete uno scenario sociale e giuridico in buona parte condivisibile. Le tesi hanno riguardato il rigetto di ogni forma più o meno mascherata e indiretta di censura evidenziando – finalmente a furia di urlare, qualcuno dei piani alti se ne è accorto! – che la pornografia non può essere una scusa per limitare la libertà dei cittadini; la necessità di promuovere l’alfabetizzazione informatica; l’inopportunità di addossare automaticamente al provider la responsabilità per ciò che accade per il tramite del proprio server.

Il sospiro di sollievo tirato durante questa relazione si è trasformato in un violento accesso di tosse quando il Ministro di Grazia e Giustizia – nel corso di un intervento che ribadisce la necessità di proteggere i minori – ha lasciato cadere indifferentemente una frase: … sistemi di protezione attraverso la cifratura delle trasmissioni, con l’individuazione dell’autorità che deve conservare le chiavi per decrittare i messaggi… Tradotta dal politichese all’Italiano significa: se volete la crittografia ci dovete consegnare le chiavi per decifrare comunque le vostre comunicazioni. Peccato. Solo poco tempo fa mi ero rallegrato per l’approvazione del regolamento sulla firma digitale che dichiaratamente rigettava ogni ipotesi di questo tipo e ora devo ricredermi a fronte di una posizione molto chiara e preoccupante alla quale fa eco quella espressa dal Vice Presidente del Consiglio.

L’On. Veltroni, dopo aver sottolineato gli indubbi lati positivi della Rete (ma và!) ritorna sul problema delle regole e fa esplicito riferimento alla legge sulla violenza sui minori come esempio di provvedimento necessario anche per quanto riguarda la Rete. Ne abbiamo già parlato sui numeri precedenti e quindi non mi ripeterò se non per ricordare che la legge in questione incrimina la diffusione di materiale osceno anche per via telematica come se la Rete avesse una specificità criminale che la rende diversa dagli altri. Un articolo del genere e (la celebrazione della legge che lo contiene) si giustifica solo in quanto rivelatore di un atteggiamento negativo nei confronti della libertà di espressione e dell’information technology.

Immagino le eventuali repliche (lei non ha capito, il senso del discorso era un altro e via discorrendo) ma l’impressione che ho avuto non mi è piaciuta affatto…

Altro tema in discussione – del quale parlo nel prossimo articolo – è stato quello del copyright digitale, trattato fra l’altro da Pamela Sameulson della Berkelee University che – dicendo pane al pane e vino al vino – ha sottolineato la necessità di comprendere esattamente quali sono le problematiche techniche proma di avanzare ipotesi normative… parole sante.

Riassumendo: il futuro prossimo venturo non sembra molto roseo, popolato com’è da censori e grandi fratelli. Non è che si stava meglio quando si stava peggio?

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