Tassare l’internet: l’OECD allontana il fantasma della bit-tax

di Andrea Monti – PC Professionale n. 98

Nel corso di E-commercing 99, la manifestazione svoltasi lo scorso 23 marzo a Milano e organizzata da Somedia – Le conferenze di Repubblica, è stato dedicato ampio spazio al problema delle nuove regole giuridiche per il commercio elettronico in Rete, con particolare riferimento alle questioni fiscali.

Si tratta di un argomento spesso trascurato ma non meno importante per lo sviluppo su scala globale dei sistemi di e-commerce, tant’è che persino l’OECD, Organization for Economic Cooperation and Development, www.oecd.org (che notoriamente non si occupa in modo continuativo di tasse e imposizione), ha realizzato uno studio che si estende anche a questi argomenti. Dei risultati di questo studio si è parlato nel corso del convegno Somedia, grazie all’intervento di un rappresentante dell’OECD.

L’approccio dell’OECD si ispira a criteri di grande ragionevolezza che possono essere riassunti in cinque punti:
Neutralità. Nessuna discriminazione fra le forme tradizionali di commercio e quelle elettroniche, e fra le differenti forme di commercio elettroniche
Efficienza. Minimizzazione dei costi per contribuenti ed amministrazione
Certezza e semplicità. Far sì che il contribuente abbia immediatamente la chiara percezione di quanto, cosa e come pagare
Effettività e correttezza. L’imposizione deve produrre un gettito equo in un periodo accettabile di tempo, minimizzando i rischi per l’evasione fiscale
Flessibilità. Le regole devono essere adattabili ai mutamenti della tecnologia

Nella posizione dell’OECD dunque non si trova alcuna traccia di bit tax o regimi vessatori specificamente previsti per gli operatori della Rete, ma più semplicemente la volontà di creare una cornice normativa per la tassazione di chi svolge attività commerciali tramite l’internet, alla pari di qualsiasi altro imprenditore.

È da segnalare anche l’esplicita “dichiarazione di principio” secondo la quale gli Stati dovrebbero cercare di applicare quanto più possibile le normative vigenti, senza crearne di nuove. Un’indicazione che potrebbe causare non pochi problemi al nostro prolifico (per non dire ipertrofico) legislatore casalingo.

L’attuazione pratica dei principi OECD non crea problemi insormontabili quando la transazione online si applica a beni materiali che – una volta arrivati alla frontiera – vengono assoggettati all’imposta se provengono da un paese extracomunitario (come gli Stati Uniti) e hanno un valore superiore ai 22 euro; mentre circolano liberamente se il mittente si trova nell’Unione Europea.

Le cose si complicano quando si passa a beni (come programmi, musica e testi) che possono essere ricevuti “scavalcando” le dogane. Benché gli operatori corretti possono senza dubbio documentare ogni transazione (e relativa consegna) avvenuta tramite la Rete, è abbastanza intuitivo che altri contribuenti meno diligenti potrebbero utilizzare l’Internet per evadere le tasse, ad esempio sfruttando le incertezze derivanti dall’avere un server che risiede in un “paradiso fiscale”. L’OECD – conformemente a quanto stabilito nella proposta di direttiva sul commercio elettronico diffusa lo scorso novembre – ritiene che la semplice localizzazione di un server in un luogo diverso dalla sede dell’imprenditore, non basti a sottrarre la vendita al regime fiscale normalmente applicabile.

Per quanto riguarda la distribuzione di software, se viene ceduto (anche tramite la Rete) un applicativo pacchettizzato, il regime fiscale applicabile è quello della vendita di un prodotto (anche se giuridicamente questo non è corretto, visto che in realtà si paga per ottenere soltanto l’uso del programma). Se invece viene ceduto a titolo definitivo un software sviluppato ad hoc (in pratica: se si paga per diventare proprietario dei sorgenti) allora il regime applicabile è quello dell’appalto di servizi.

In definitiva quindi il diavolo non sembra poi così brutto come lo si dipinge… e speriamo che la Rete non diventi una bolgia.

Sgravi fiscali alle imprese per l’e-commerce
È una proposta che sarà quanto prima portata all’attenzione del Ministro dell’Industria Antonello Bersani, quella lanciata durante il convegno di Somedia da Franco Morganti, vicepresidente di Databank Consulting. L’idea è di applicare una serie di sgravi fiscali alle imprese che investono nello sviluppo del commercio elettronico, simili a quelli applicati oggi a chi ristruttura la propria casa. In pratica, seguendo il precedente applicato al settore dell’edilizia, le imprese che investiranno in e-commerce potranno dedurre dalle imposte parte delle spese sostenute (nel caso della ristrutturazione della prima casa è il 41 per cento). La proposta è stata ripetuta anche in occasione dell’ultimo Rapporto Eito 99 alla presenza di Enore Deotto, presidente Smau, che si è impegnato a trasferirla al Ministro Bersani.

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