Un seminario al Parlamento Europeo per parlare di open source ed e-government

di Andrea Monti – PC Professionale n. 133

I sostenitori del modello open source discutono con i rappresentanti di Microsoft l’impiego del software proprietario nell’amministrazione dello Stato.

“The future of open source models” è l’iniziativa organizzata dalla European Internet Foundation e dall’associazione Pitch lo scorso 20 febbraio 2002 a Bruxelles, nella sede del Parlamento Europeo. Scopo del seminario era quello di analizzare le ragioni che militano a supporto dell’introduzione dell’open source nella pubblica amministrazione, e le misure che dovrebbero essere prese a sostegno di questa strategia. Nel corso della giornata – la cui moderazione è stata affidata a Brandon Mitchell, giornalista del Wall Street Journal – si sono alternati numerosi relatori. Come Roberto Di Cosmo, ordinario di informatica all’Università di Parigi, Steve Weber, professore associato all’Università di Berkeley, Brian Randell, professore emerito all’Università di Newcastle, e il sottoscritto. Era anche presente in forze la Microsoft che oltre a Richard Roy (EMEA Vice President Corporate Strategy) ha “schierato” componenti dell’ufficio legale insieme a un “alto grado” della Bsa.

Fra i numerosi temi discussi meritano sicuramente attenzione quelli sul “perché” la pubblica amministrazione non dovrebbe utilizzare software proprietario; l’insufficienza dell’impiego di soli standard aperti come strumento di garanzia e la licenza “shared source” con la quale Microsoft consente l’accesso ai propri sorgenti ma a condizioni molti restrittive. Il punto di partenza, ha sostenuto Roberto Di Cosmo, è l’“ecumenismo tecnologico”: le risorse e i servizi pubblici dovrebbero essere accessibili a tutti i cittadini senza costi aggiuntivi per l’acquisto di specifiche tecnologie o software. E spiega il concetto con un esempio: cercando di ottenere un preventivo on-line per l’acquisto di un’automobile, Di Cosmo si collega al sito della Fiatfrancese, che però, al momento di generare il preventivo, gli chiede di dotarsi di Explorer versione xx. Peccato che quel navigatore stava usando Linux. Il risultato, conclude il professore, è che acquisterà una Renault, il cui sito è utilizzabile con ogni piattaforma.

Veniamo al punto: un’azienda può liberamente scegliere se discriminare certi clienti rispetto ad altri, ma lo Stato, a qualsiasi livello, non ha il diritto di farlo. È evidente, quindi, che l’impiego di piattaforme proprietarie nell’amministrazione dello Stato si traduce in una discriminazione dei cittadini basata sulla capacità economica. Per non parlare dell’incertezza nella gestione delle risorse economiche, condizionate dalle strategie commerciali dei grandi produttori di software. Che mettono fuori mercato una release per vendere quella successiva, incompatibile (o non troppo tale) con quella precedente. Ma non è solo “questione di soldi”.

Mettere in rete i servizi pubblici implica (tanto per dirne una) esporre dati personali e sanitari di ciascuno di noi a grossi rischi. E l’utilizzo di software poco sicuri come quelli proprietari è un rischio che lo Stato non può permettersi. Specie perché, altro punto emerso nella discussione, l’attuale struttura delle licenze esonera il produttore di software da qualsiasi responsabilità e – addirittura – non garantisce che quel programma risponderà alle necessità dell’utente. Per di più, l’impossibilità di accedere ai sorgenti rende praticamente impossibile stabilire se il danno subito sia stato causato dalla cattiva progettazione del software o da altre ragioni.

La reazione di Microsoft non mi è sembrata particolarmente efficace, basata come era su argomenti d’immagine più che di sostanza. Che per di più si sono ritorti contro l’eminente rappresentante della software house. A partire dal tentativo di definire Microsoft un’azienda innovativa, al che gli è stato fatto notare – Di Cosmo – che, tanto per fare qualche esempio, il file system con i nomi lunghi, il multitasking, le interfacce grafiche e molto altro, erano già note alla ricerca e al mercato ben prima dell’arrivo dei prodotti Microsoft. Altro fronte aperto da Richard Roy è stato quello degli standard aperti. L’importante è che le applicazioni si basino su “principi comuni”, dopo di che non c’è nessuna necessità di andare a vedere i sorgenti. D’altra parte, ha detto il rappresentante Microsoft, nessuno chiede l’accesso ai software dei telefoni cellullari. L’importante è che funzionino. Anche questo è stato un autogol, perché gli è stato fatto notare che egli stesso, come chiunque altro usi un cellulare, non ha alcuna possibilità di sapere se l’algoritmo crittografico che protegge le comunicazioni (e disattivabile dal gestore) contenga una backdoor o altro. Quindi anche in questo settore l’accesso ai sorgenti non è solo desiderabile, ma necessario.

La parte più interessante e discussa dell’intervento di Roy è stata quella relativa alla licenza “shared source” che funziona più o meno così: Microsoft consegna i sorgenti delle proprie applicazioni a fronte dell’accettazione di una licenza di tipo “guardare e non toccare”. Il codice può essere solo analizzato, ma non si può ricompilare e ogni modifica (incluse quelle sulla sicurezza) devono essere comunicate solo a Microsoft. Per di più non si può parlare dei risultati delle analisi e non si può riutilizzare il know how acquisito. In realtà la cosa è stata presentata come un cambio nella strategia di sviluppo di Microsoft che ora chiede anche la collaborazione di soggetti esterni per migliorare la qualità dei propri prodotti. Ma questa pallida imitazione dei modelli open source ha suscitato forti critiche nella comunità scientifica che in molti casi, dopo aver letto le condizioni contrattuali, ha scelto di non accettarle.

Al di là degli argomenti trattati, comunque, il dato importante di questo seminario è stata la contemporanea presenza dei due “schieramenti”. In modo che i politici e gli amministratori abbiano potuto mettere immediatamente a confronto qualità e sostanza delle relazioni ottenendo un quadro sicuramente più completo di quanto sarebbe accaduto ascoltando una sola campana. Questa volta sono stati gli alfieri dell’open source a invitare Microsoft in un incontro ad alto livello. Chissà se Microsoft ricambierà mai la cortesia.

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