Ora anche il brevetto è la scusa per sequestrare un computer

di Andrea Monti – PC Professionale n.112 luglio  2000

Dalla vicenda giudiziaria che ha visto coinvolte Netfraternity e Payland per violazione di brevetto, ne esce l’ennesimo sequestro di un intero computer


Il  24 maggio 2000 il Tribunale di Padova ha emanato un’ordinanza che chiude la fase cautelare del processo Payland vs Netraternity, avente ad oggetto la presunta violazione di un brevetto che la prima avrebbe commesso a danno della seconda.

In estrema sintesi i fatti possono essere riassunti in questi termini: entrambe le società offrono un servizio che rimborsa all’utente il costo delle telefonate per il collegamento, a condizione che questi accetti di “dedicare” una parte del proprio monitor alla visualizzazione di banner pubblicitari. Tecnicamente, questo risultato viene raggiunto da Netfraternity con un sistema hardware\software, mentre Payland impiega esclusivamente un software sviluppato in proprio.

Ritenendo che l’attività di Payland avesse violato il brevetto in questione, Netfraternity ottiene dal Tribunale di Padova un decreto che… inibisce alla S.r.l. Y.e.S. di Ascoli Piceno l’impiego di ritrovati per la connessione a reti telematiche, comportanti diffusione di  messaggi pubblicitari, costituenti riproduzione del brevetto per invenzione industriale n. 1.296.354 concesso in data 25/6/1999 e… autorizza il sequestro degli oggetti prodotti in violazione del brevetto di cui al ricorso, dei mezzi utilizzati per la produzione e dei  mezzi di prova delle violazioni, autorizzando l’Ufficiale Giudiziario ad avvalersi di un perito anche con impiego di mezzi tecnici;

Alla successiva udienza del 19 maggio, il Tribunale padovano cambia radicalmente idea revocando il provvedimento emanato in precedenza (e in particolare il sequestro) perché le medesime caratteristiche sopra riportate come peculiari rivendicazioni, aventi connotati di novità ed originalità, consentono in realtà, ad un tempo, di ravvisare una netta differenziazione tra l’invenzione oggetto del ricorso ed il sistema utilizzato dalla resistente PayLand.com.

In pratica, sostiene il giudice, il fatto che entrambe le parti ottengano lo stesso risultato (lo split della finestra) ma con sistemi totalmente differenti esclude alla base che ci possa essere una violazione del brevetto.

Conclusa in questo modo la fase cautelare (il cui unico obiettivo è “limitare i danni” in attesa della decisione finale) , spetterà poi a quella di merito stabilire in modo definitivo torti e ragioni.

Veniamo ora all’analisi delle questioni giuridiche emergenti dall’ordinanza padovana.

Anche se questa vicenda ha avuto una certa eco essenzialmente in relazione al fatto che per la prima volta sarebbe stato brevettato un software, nessuno ha segnalato il vero nodo cruciale di tutta la storia, e cioè l’ennesima “estensione” del principio per cui è lecito sequestrare un intero computer (un server, nella specie).

Andiamo con ordine.

La questione della brevettabilità del software è, nel caso specifico, del tutto irrilevante.

La legge invenzioni afferma chiaramente che i software in quanto tali non si brevettano, e solo da qualche tempo gli organismi europei e ora anche quelli italiani stanno concedendo protezione a quelle invenzioni che integrano hardware e software purchè producano effetti fisicamente tangibili e non legati alla intrinseca funzionalità del software. Quindi, come scrivevano Laurence Tellier-Loniewski e Alain Bensoussan sul numero di  ottobre/novembre 1996 di IP Worldwide software that implements the operating functions of a computer or a calculator, or programs that deal with physical data can receive patent protection.

Circostanze, queste, che non sembrano ricorrere nella vicenda Netfraternity vs Payland.

Ben più preoccupante è l’orientamento espresso dal Tribunale in ordine alla sequestrabilità di un intero server contentente dati di migliaia di persone del tutto estranee alla lite giudiziaria.

Fino ad ora – di fronte ai sequestri di computer – eravamo abituati a sentire giustificazioni (comunque non accettabili) del tipo “si, ma stiamo dando la caccia ai pedofili”, oppure “stiamo investigando su casi di pirateria software”.

Ora, per una banale causa civile, nella quale il giudice avrebbe tranquillamente potuto ordinare la semplice disattivazione del servizio nei confronti degli utenti italiani e il deposito dei sorgenti del software di Payland, sono stati sequestrati insieme all’hardware anche tutti i dati dei “paylander” che hanno sicuramente ricevuto un danno da tutta questa vicenda che mai nessuno risarcirà.

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