La riforma del diritto d’autore cambia nuovamente faccia. Ed è sempre più brutta.

di Andrea Monti – PC Professionale n.114

Si è concluso in Parlamento l’iter che ha portat alla trasformazione del ddl S1496 nella nuova normativa sul diritto d’autore.

Il testo approvato definitivamente dal Senato peggiora sensibilmente i contenuti del provvedimento aggiungendo ulteriori vincoli alle modifiche vessatorie già introdotte nelle precedenti formulazioni

Un’analisi dettagliata della nuova legge è contenuta nel dossier curato da ALCEI.

I punti essenziali (e fortemente criticabili) della legge sono:

* criminalizzazione del semplice scambio di informazioni sul funzionamento di sistemi di sprotezione, a prescindere dall’impiego (invece di punire soltanto chi abusa di questi sistemi)
* istituzione di un regime di “pentitismo” che promette sconti di pena a chi denuncia altri soggetti
* annullamento delle interpretazioni giurisprudenziali sul concetto di “fine di lucro” (vedi l’altro articolo in questa rubrica), che nell’art.171 bis viene sostituito dal “profitto”, ampliando così assurdamento lo spazio della sanzione penale (che per la duplicazione abusiva può comportare pene fino a quattro anni di reclusione)
* legittimazione della barbara prassi del sequestro di computer

In aggiunta a tutto questo, la legge aumenta la pressione sugli utenti e le aziende “in regola” che dovranno sottoporsi ad una vera e propria schedatura presso gli uffici delle Questure, quasi fossero “pericoli pubblici”.

Dispone infatti il nuovo art. 75 bis l.d.a. che Chiunque intenda esercitare, a fini di lucro, attività di produzione, di duplicazione, di riproduzione, di vendita, di noleggio o di cessione a qualsiasi titolo di nastri, dischi, videocassette, musicassette o altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, ovvero intenda detenere tali oggetti ai fini dello svolgimento delle attività anzidette, deve darne preventivo avviso al questore che ne rilascia ricevuta, attestando l’eseguita iscrizione in apposito registro. L’iscrizione deve essere rinnovata ogni anno.

Una schedatura ingiustificata e ingiustificabile, che va a colpire non solo le aziende più grandi, ma anche l’intero settore dello sviluppo e commercializzazione di applicazioni multimediali. Il “perché” di questa norma è abbastanza evidente: “se non hai nulla da temere, allora ti iscrivi, ma se non sei iscritto, allora hai la coscienza sporca”.

Viene poi stravolto un principio cardine del diritto d’autore (la paternità dell’opera si acquista per il semplice fatto della creazione) stabilendo al comma 8 dell’art.181 bis che l’apposizione del “bollino SIAE” (obbligatorio anche per il software) è considerato segno distintivo di opera dell’ingegno. Pregiudicando in questo modo i diritti di chi non può o non ha interesse ad iscriversi alla SIAE. E infatti un’altra caratteristica di questa legge è l’estensione indiscriminata dei poteri della Società degli Autori e degli Editori anche nei confronti di chi (sviluppatori e autori indipendenti) non vuole farne parte.

Non basta: all’Autorità per le comunicazioni viene attribuita una vera e propria funzione di polizia, mentre presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri viene istituito un Comitato per la tutela della proprietà intellettuale (del quale fa parte un componente della SIAE) dai compiti non meglio definiti, se non nella parte in cui (art. 19 del testo di legge) si stabilisce che Ai fini dell’esercizio dei propri compiti, il Comitato può richiedere copie di atti e informazioni utili alle pubbliche amministrazioni, alle imprese e alle associazioni di categoria… e che Fermo restando l’obbligo di denuncia di reato, il Comitato segnala all’autorità giudiziaria e agli organi che svolgono funzioni di vigilanza in materia i fatti e le circostanze comunque utili ai fini dell’attività di prevenzione e di repressione degli illeciti. Va da sé che – specifica l’articolo – tutte le informazioni raccolte dal Comitato finiscono in un enorme database. Manco fossimo di fronte a trafficanti di droga o armi.

E’ evidente che la pressione delle lobby di settore non ha trovato grande resistenza nel legislatore, vuoi per la sua impreparazione, vuoi per l’indifferenza nei confronti di norme che vanno ad incidere pesantemente sui diritti individuali e sulle attività d’impresa con la insostenibile e teorica scusa della tutela dei diritti di un fantomatico “autore” ma che in realtà significa protezione degli interessi economici di una specifico settore produttivo.

Costi quello che costi.

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