L’AI e l’escalation a livello globale del dossier Taiwan

La convergenza di criticità storiche dell’industria tecnologica, delle questioni irrisolte a livello unionale e delle tensioni nell’area indopacifica rischiano di compromettere la sovranità europea sull’AI di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nel corso di laurea magistrale in Digital Marketing dell’università di Chieti-Pescara inizialmente pubblicato su Formiche.net

La creazione di un sistema di apprendimento automatico richiede la sinergia fra progettazione di GPU (processori grafici) e della relativa architettura di calcolo parallelo, la possibilità di produrre hardware, sistemi operativi software che le sfruttano nel modo più efficiente, la disponibilità di una enorme base di informazioni per costruire data-set di addestramento e, aspetto non irrilevante, la disponibilità di reti ad altissime prestazioni e di enormi quantità di energia per alimentare il sistema nella sua globalità. Di conseguenza, l’accoppiata hardware-software (GPU e architettura di calcolo parallelo da un lato, e software che li sfruttano, dall’altro) è il fattore condizionante per lo sviluppo di prodotti e servizi basati su AI.

La geografia dei produttori

Sulla carta (a parte Huawei e altri produttori cinesi che difficilmente potranno competere sui mercati occidentali in questo settore) i cinque più importanti produttori occidentali, o meglio, statunitensi, che si contendono la supremazia sono IBM, nVidia, Alphabet (Google), AMD e Intel. Anche Amazon, Microsoft (che ha avviato una collaborazione con AMD) e altre aziende sono entrate nel settore ma solo una di queste, tuttavia, ha un ruolo di particolare criticità non solo dal punto di vista del mercato ma anche da quello geopolitico: nVidia.

Grazie a una strategia pianificata con largo anticipo e mirata al mercato del gaming nVidia ha sviluppato non solo processori grafici estremamente potenti, ma anche l’ecosistema software che consente di sfruttarli al meglio. Questo ha consentito alle tecnologie nVidia di diventare sostanzialmente lo standard di riferimento per il mercato e quando è partita l’isteria sull’AI l’azienda non si è fatta trovare impreparata.

Il ruolo geopolitico di TSMC

Come tutti i concorrenti (con l’eccezione di IBM che ha annunciato una partnership con il Giappone e Intel) nVidia ha affidato la costruzione dei propri chip al gigante taiwanese TSMC, ma a differenza loro, nVidia pur essendo un’azienda californiana è “governata” da un CEO, Jensen Huang, originario di Taiwan che ha recentemente confermato la volontà di continuare le relazioni commerciali con la madrepatria al punto da volerla far diventare un hub mondiale per l’AI. È vero che oltre al Giappone anche la Corea del Sud sta entrando pesantemente nel settore della produzione di chip da utilizzare nell’AI ma, come insegna sempre nVidia, non di solo silicio vive il machine learning: ci vogliono anche software adottati da una larghissima base di utenza. Pertanto, prima di vedere (se si vedranno) gli effetti della concorrenza nippo-coreana, TSMC —e dunque, Taiwan— rimangono il single point of failure dell’intero ecosistema di prodotti e servizi basati sull’AI.

Se cade Taiwan, cade l’AI e con questa cadono investimenti, strategie e superiorità tecnologica.

L’escalation del dossier Taiwan da contesa regionale a questione globale

Questo stato di fatto eleva il dossier Taiwan da contesa regionale a problema globale perché il ritorno dell’isola sotto il controllo politico pieno della Mainland China implicherebbe automaticamente la disponibilità per Pechino di una potentissima leva di negoziazione non soltanto con gli USA ma, a quel punto, con l’intero Occidente.

È chiaro che una prospettiva del genere sarebbe difficilmente accettabile e, in termini di Realpolitik, costituirebbe una ragione molto più concreta e “digeribile” internamente per giustificare il coinvolgimento diretto nell’annosa questione anche di altre entità politiche, rispetto al fragile slogan sul rispetto del diritto all’autodeterminazione dei popoli.

Non è irragionevole, dunque, considerare in questo modo il significato geopolitico della scelta dei maggiori operatori statunitensi di rinforzare i rapporti con Taiwan, invece di diversificare la produzione altrove, magari in Europa.

Il che introduce il secondo punto di questa analisi, quello della sostanziale assenza (o incapacità) dell’Unione Europea di ricavarsi un ruolo in un settore che è considerato strategico non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche da quello dei rapporti internazionali.

La strategia di cronica inefficienza della UE

Nonostante le dichiarazioni congiunte rilasciate dal Trade and Technology Council lo scorso 31 maggio 2023, è chiaro che in materia di AI —e non solo— quella fra USA e UE è una relazione totalmente sbilanciata a favore dei primi, dato che gli USA posseggono la tecnologia, il modo per realizzarla e il mercato nel quale venderla.

Invece di accelerare l’adozione di scelte industriali volte a creare un sistema interno e autonomo per la progettazione e produzione di semiconduttori e delle tecnologie correlate, la UE ha scelto di approvare a tappe forzate un regolamento, quello sull’AI, su una materia che non controlla e che riguarda assetti nelle mani di interlocutori non comunitari.

Questo vale non solo per le tecnologie, ma anche per i dati che sono la materia indispensabile per addestrare in modo efficace i sistemi di apprendimento automatico.

Le polemiche sorte all’indomani della messa a disposizione del pubblico di ChatGPT, ma che in realtà riguardano questioni aperte da almeno vent’anni, hanno evidenziato che per far funzionare un servizio del genere è stato necessario utilizzare dati fattualmente (ma non per forza giuridicamente) disponibili su risorse online fruibili da chiunque e che potrebbero esserci problemi di “privacy” e di proprietà intellettuale oltre che di “destabilizzazione informativa”. Da un altro lato, il fatto che i contenuti in questione siano raggiungibili da qualsiasi parte del mondo, consente a qualsiasi Stato, specie a quelli che hanno deciso per legge di non riconoscere la proprietà intellettuale di Paesi non amici, di usarli senza dover rendere conto a nessuno e dunque conseguendo un vantaggio competitivo rispetto agli Stati membri, le cui aziende saranno sommerse dagli adempimenti necessari per l’utilizzo dei dati in questione.

Non solo dunque, come si è iniziato timidamente a lasciar intendere, si tratterebbe di cominciare a pensare all’isolamento delle reti europee a livello di trasporto, ma si dovrebbe cominciare anche a riflettere sulla necessità di impedire l’accesso indiscriminato ai dati memorizzati su risorse UE e liberamente disponibili anche al di fuori dei confini esterni.

Una scelta del genere, che significa balcanizzare definitivamente la geografia delle reti di trasporto e dei contenuti che sono veicolati loro tramite, potrebbe avere conseguenze inimmaginabili, ancora più gravi della “mera” compartimentazione dei cavi.

Invece di concentrarsi su questi temi che non sono certo facilmente risolvibili, il regolamento comunitario di prossima approvazione (salvo incidenti di percorso il Parlamento Europeo voterà il prossimo 14 giugno) è impostato, ancora una volta, in modo da costruire un sistema burocratico, farraginoso, scollegato dalle necessità di tutela degli interessi nazionali degli Stati membri e ispirato da paure archetipiche più che da fatti concreti.

Il ruolo degli Stati nazionali nella geopolitica dell’AI

Un altro effetto collaterale del modo in cui è progettato il regolamento comunitario sull’AI sarà mettere di fronte gli Stati membri alla scelta se consentire o meno che siano disciplinate da Bruxelles anche le questioni di difesa e sicurezza dello Stato, che pure il Trattato UE sottrae alla competenza unionale.

Il tema è estremamente complesso e le necessità derivanti dal conflitto russo-ucraino hanno già evidenziato quanto, su una questione del genere, sia problematico il rapporto fra Stati membri e Unione. Rimane, tuttavia, il fatto che le questioni connesse all’AI non riguardano più “soltanto” lo sviluppo del mercato e la tutela dei consumatori ma coinvolgono direttamente gli interessi strategici di ciascuna nazione.

Sarebbe quindi auspicabile pensare a un approccio basato su un “doppio binario” che, rispettando il riparto di competenze, consenta ai singoli Stati —e dunque all’Italia— di integrare le decisioni in materia di AI nelle più articolate scelte di politica estera e internazionale lasciando alla UE il compito di armonizzare le regole negli ambiti di propria stretta attribuzione.

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