I messaggi Whatsapp sono “corrispondenza”? La risposta (positiva e banale) arriva da lontano

Nel dibattito parlamentare sulle vicende giudiziarie della fondazione Open la natura giuridica dei messaggi Whatsapp è stata (relativamente) marginale ma in realtà di grande interesse. La sintesi della questione è (apparentemente) semplice: un messaggio Whatsapp può essere considerato “corrispondenza”? di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech

La risposta non soddisfa soltanto una curiosità accademica, ma ha conseguenze dirette su indagini e processi. Lo chiarisce, come riportano i mezzi di informazione, il senatore Pietro Grasso che, commentando la decisione sul caso, avrebbe dichiarato: “La relazione considera l’acquisizione dei messaggi come sequestro di corrispondenza e conclude che occorre in ogni caso l’autorizzazione preventiva. Vorrei che l’aula comprendesse l’abnormità di tale pretesa … Basterebbe che in un telefono sequestrato ad un mafioso vi fosse un whatsapp a un parlamentare per determinarne l’inutilizzabilità anche nei confronti del mafioso”.

Le cose non stanno esattamente in questo modo ma la sintesi giornalistica e, probabilmente, il dibattito parlamentare non potevano certo entrare in un disquisizioni giuridiche troppo approfondite o nei problemi di efficienza dei processi burocratici necessari agli adempimenti del caso. Questo ha comportato una certa confusione su un argomento che, in realtà, è in discussione da oltre venticinque anni e sul quale è andrebbero fatte due considerazioni: una di merito e l’altra si sistema.

Corrispondenza è tutto ciò che costituisce comunicazione fra persone, a prescindere dallo strumento

La considerazione di merito è che la nozione di corrispondenza prescinde dallo strumento tecnologico usate per comunicare. In altri termini, con buona pace di Mcluhan, in diritto il mezzo non è il messaggio.

Dunque, se i messaggi scambiati tramite Whatsapp e simili sono “corrispondenza” allora sono tutelati dalla segretezza della comunicazione riconosciuta dalla Costituzione.

Il punto, quindi, non è se si possa sequestrare un messaggio Whatsapp perché questo è sempre possibile. Non ci sono quindi rischi di impunità per il parlamentare che intrattenesse relazioni inconfessabili con esponenti della criminalità organizzata o con soggetti con i quali non dovrebbe essere segretamente in contatto.

Altro è il discorso della “utilizzabilità” in un procedimento penale del messaggio ricevuto o inviato da un parlamentare. Ma è questione tecnica, della quale il dibattito politico dovrebbe prendere semplicemente atto, facendo riferimento a quello che dottrina e giurisprudenza hanno da tempo stabilito su cosa sia “corrispondenza”. Che un messaggio Whatsapp sia “corrispondenza” è fuori discussione; per cui se il Parlamento dovesse (o volesse) ritenere diversamente, dovrebbe emanare una norma.  La “semplice” discussione politica non è idonea a cambiare la lettera della legge e men che meno l’interpretazione dottrinale o giurisprudenziale.

Regolare la tecnologia invece dei comportamenti umani è come dire che la coda agita il cane

Veniamo ora alla seconda questione, quella di sistema. Il dibattito odierno sulla natura giuridica dei messaggi Whatsapp è la replica di quello che si celebrò quando si sosteneva che non si potessero fare le testate giornalistiche online perché non erano “di carta” e dunque non potevano essere “stampate” (poi arrivò il Tribunale di Roma che per primo autorizzò la pubblicazione di una testata diffusa “con i protocolli tecnici della rete internet”). Prima ancora, si sosteneva con altrettanto discutibile formalismo giuridico che la “corrispondenza” tutelata dalla legge fosse solo quella postale perché le email spedite tramite provider e Bbs non erano gestite dallo Stato. Anche in questo caso la realtà ha fatto giustizia di astratti ragionamenti giuridici.

Il che ci mette di fronte al nodo da sciogliere: ogni volta che il marketing delle Big Tech rovescia qualcosa sul mercato (che siano blockchain, Nft, Metaverso o criptovalute) parte inevitabilmente la corsa a cercare “nuovi problemi giuridici” perché le “nuove tecnologie” creerebbero problemi mai affrontati prima.

Non è così, perché salvo rari casi ciò che viene sanzionato (o regolato) è il “cosa” non il “come”. Per punire l’omicidio volontario esiste un solo articolo (“chiunque cagiona la morte di un uomo è punito”), non tanti articoli quanti sono i modi per eliminare una persona. Allo stesso modo, porsi il problema se un messaggio inviato via Whatsapp sia giuridicamente equivalente a una raccomandata a/r significa che la coda sta agitando il cane. Ciò che conta, infatti, è la volontà delle persone: scambiarsi informazioni e, dunque, comunicare. Sarebbe paradossale, al contrario, sostenere che solo una Pec sia “comunicazione” in quanto sistema regolamentato mentre la normale email, no; con la conseguenza che in un caso la violazione della Pec sarebbe reato e quella della mail, penalmente irrilevante.

Conclusioni

Come disse Piero Angela, la velocità della luce non si decide per alzata di mano. Il diritto invece, aggiunge questo commentatore, sì. Non c’è da dubitare quindi che, in caso di necessità, sia possibile “rivedere” il concetto di “corrispondenza” per espanderlo o restringerlo alla bisogna. L’importante è essere chiari sul perché lo si sta facendo e sulle conseguenze della scelta.

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